mercoledì 27 febbraio 2013
sabato 23 febbraio 2013
Like me? Mente e diritti negli altri animali
Il secondo numero di Animal Studies, rivista italiana di antispecismo, curato da Domenica Bruni, è ora acquistabile in libreria.
Gli autori di questo numero: Domenica
Bruni; Marco Carapezza; Alessandro Minelli; Pietro Perconti; Simone
Pollo; Tom Regan; Emanuele Rigato; Giorgio Vallortigara.
Recensioni di: Rita Ciatti; Leonora Pigliucci; Francesco Pullia.
Il circuito distributivo delle librerie;
L'acquisto online;
L'abbonamento.
Il circuito distributivo delle librerie;
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venerdì 22 febbraio 2013
Tutti contro tutti: Rolando Ravello ci racconta la storia tragicomica della lotta per l’occupazione delle case
A casa di Agostino (Rolando Ravello) quel giorno doveva essere un giorno di festa: la prima comunione del figlio Lorenzo, cui sarebbe seguito un rinfresco tra i parenti più stretti. Al ritorno dalla cerimonia però
l’intera famiglia, in attesa sul pianerottolo, con i vassoi delle paste
in mano, ha una brutta sorpresa: impossibile riuscire ad aprire la
porta di casa, la serratura è stata cambiata, la musica proveniente
dall’interno annuncia che degli sconosciuti hanno occupato e preso
possesso dell’abitazione.
Continua su Mentinfuga.
mercoledì 20 febbraio 2013
La specie contro
Su Uncommons potrete leggere il mio report della conferenza "Gli antispecismi in discussione" che si è tenuta mercoledì 13 febbraio scorso presso la facoltà di Filosofia dell'Università degli Studi La Sapienza di Roma; relatori Leonardo Caffo, Marco Maurizi e Oscar Horta.
Buona lettura!
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martedì 19 febbraio 2013
Morire per una pelliccia
Vi mando qui.
Prima di acquistare un qualsiasi giaccone o altro guarnito in pelliccia, o, addirittura, una pelliccia intera, sarebbe proprio il caso che vi informaste.
L'ignoranza non può essere una scusa. L'indifferenza nemmeno.
Nell'articolo si parla di allevamenti di visoni, ma il discorso vale per qualsiasi altro animale, anzi, in paesi dove vengono effettuati meno controlli e dove ci sono normative meno rigide, gli animali vengono tenuti e uccisi in condizioni ben peggiori.
Donne, uomini, una pelliccia non vi rende più belli, solo inutilmente crudeli (ammesso che possa esistere una crudeltà utile).
venerdì 15 febbraio 2013
Spigolature (2)
Condizionamenti culturali (ridiamoci su):
- ah, sei vegana e... che significa?
- che non mangio animali, né derivati quali uova, latte, formaggi ecc. e non compro nulla che abbia comportato sfruttamento e morte di animali, quindi nemmeno scarpe o borse in pelle, lana, prodotti testati su animali ecc.;
- ah, e che mangi allora?
- beh, tutto il resto, combinandolo in maniera creativa e in più ci sono tantissimi sostituti della carne come il seitan ad esempio (segue spiegazione di cosa sia il seitan, come si ottenga, come si possa cucinare), poi hamburger e cotolette di soia e questo e quell'altro ancora (elenco un po' tutte le tantissime alternative della cucina vegana);
- ho capito... ma, solo una domanda, e di secondo che mangi?
- eh, te l'ho detto, mangio gli hamburgher di soia, il seitan, i legumi, altre combinazioni a base di alimenti ottenuti dalle proteine vegetali ecc.;
- ma, non capisco, se non mangi la carne e nemmeno il pesce e nemmeno le uova e i formaggi... di secondo che mangi?
giovedì 14 febbraio 2013
Flash mob per l'abolizione della carne
In occasione della settimana mondiale per l'abolizione della carne - dal 19 al 27 gennaio 2013 - Parte in Causa, con la collaborazione di Per Animalia Veritas e di diversi attivisti, ha organizzato un flash mob che si è tenuto in vari punti del centro di Roma: via del Corso, Piazza di Spagna - proprio ai piedi della suggestiva scalinata di Trinità dei Monti - e davanti al McDonald's, sempre nei pressi di Piazza di Spagna.
Il bellissimo brano che sentite in sottofondo è il famoso Meat is Murder eseguito da The Smiths.
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martedì 12 febbraio 2013
Spigolature (1)
Ciò che trovo veramente triste dell'episodio in cui Berlusconi chiede all'impiegata "quante volte viene?" non è tanto l'ormai noto atteggiamento sessista del suddetto
(ne ho preso atto da tempo!), ma l'accondiscendenza della donna che
si sottomette ben volentieri - facendo buon viso
a cattivo gioco - all'uomo (di potere! Essì, perché scommetto che se a
porle la domanda fosse stato un operaio che purtroppo fatica ad arrivare
a fine mese, diversa sarebbe stata la sua reazione, ci vogliamo
scommettere?).
Decenni di lotte per i diritti e l'emancipazione femminili gettati al vento.
A tal proposito, val la pena ricordarlo, femminismo non significa, né mai ha significato volersi rendere biologicamente uguali agli uomini o rivendicare un'uguaglianza in tal senso, bensì scrollare via il giogo del potere patriarcale e maschilista, rivendicando il nostro diritto ad essere parte attiva della società e della storia, senza alcun tipo di discriminazione.
Decenni di lotte per i diritti e l'emancipazione femminili gettati al vento.
A tal proposito, val la pena ricordarlo, femminismo non significa, né mai ha significato volersi rendere biologicamente uguali agli uomini o rivendicare un'uguaglianza in tal senso, bensì scrollare via il giogo del potere patriarcale e maschilista, rivendicando il nostro diritto ad essere parte attiva della società e della storia, senza alcun tipo di discriminazione.
Nota di servizio:
comunico ufficialmente ai miei lettori che da circa un paio di mesi sono su FB. A tal proposito oggi inauguro una rubrica qui sul blog - sotto il titolo di "Spigolature" - in cui riporterò, di volta in volta, brevi pensieri estemporanei che scriverò di getto sulla mia pagina FB. Ovviamente avviene anche il contrario: ossia i post del blog sono condivisi su FB (da quando ho iniziato a farlo è infatti aumentato notevolmente il numero delle visite per giorno, non che ci debba campare... ma, intendiamoci, fa piacere essere letti, io non sono una di quelle che scrive per sé stessa).
Lo so, tante volte ho dichiarato che non mi sarei mai iscritta a questo social netowork di massa, ma alcune circostanze che sarebbe ozioso spiegarvi mi hanno convinta a farlo. Mi sforzo di farne un uso il più possibile intelligente, soprattutto per condividere la notizie animaliste e per essere informata sui vari eventi dell'attivismo.
Devo dire che il bello e il cattivo tempo di Facebook lo stabilisce soprattutto la rete di contatti che si hanno. Se si ha la fortuna di contattare amici e persone intelligenti, arguti, profondi, si avrà la possibilità di fare, se non proprio vere e proprie discussioni (per queste ritengo più utile forse i blog o i forum), quantomeno conversazioni interessanti. Se qualcuno che mi legge volesse chiedere la mia amicizia, compaio con il mio vero nome e come foto profilo c'è quella della gattina nera Ariel (che avrete certamente visto in qualche post più sotto).
Guardare, ma non saper vedere.
Tutti i giorni leggo notizie mostruose in
merito allo sfruttamento degli animali, tutti i giorni provo una fitta
al cuore osservando questa assurda realtà di sterminio e sopraffazione
dei più deboli.
Eppure ci sono storie che, chissà perché, mi colpiscono ancora in maniera assoluta, inedita, devastante, come se fosse la prima volta in cui ho aperto gli occhi sul dolore animale.
Così questa notizia di un cucciolo di bufala partorito in mezzo ai visitatori di una fiera, esposto agli sguardi indiscreti di chi si trovava lì per acquistare animali al pari di oggetti, mi ha fatto scoppiare a piangere.
Penso a quell'evento meraviglioso che sempre è la nascita (meraviglioso nel senso di "meraviglia", "stupore", proprio), penso al disagio e sofferenza di una madre che si contorce nei dolori del parto e poi all'intimità di tutto questo, penso allo stato di confusione del piccolo che respira la sua prima aria, al suo bisogno del contatto materno, alla necessità di essere accudito in un ambiente confortevole, ovattato, non certo rumoroso quale è quello di una fiera.
E penso alla brutalità del gesto di questo allevatore anempatico il quale, ben sapendo che la bufala era nell'imminenza del parto, non si è fatto scrupoli di trasportarla e di esporla, quale un fenomeno da baraccone, agli sguardi indiscreti dei visitatori.
Penso allo sguardo di chi in quel cucciolo e in quella madre ci vede solo oggetti, fonti di reddito, incapace di coglierne la bellezza dell'unicità di ogni vita. Lo sguardo di chi violenta la vita animale poiché ritenuta priva di valore. Lo sguardo di chi reifica gli esseri senzienti.
Tutto ciò mi ferisce, mi ferisce enormemente perché penso che se non si riesce a rispettare nemmeno un momento così, a saper andare oltre lo sguardo della consuetudine di quella "normalità" che induce alla reificazione degli animali non umani, allora è proprio la fine.
Eppure ci sono storie che, chissà perché, mi colpiscono ancora in maniera assoluta, inedita, devastante, come se fosse la prima volta in cui ho aperto gli occhi sul dolore animale.
Così questa notizia di un cucciolo di bufala partorito in mezzo ai visitatori di una fiera, esposto agli sguardi indiscreti di chi si trovava lì per acquistare animali al pari di oggetti, mi ha fatto scoppiare a piangere.
Penso a quell'evento meraviglioso che sempre è la nascita (meraviglioso nel senso di "meraviglia", "stupore", proprio), penso al disagio e sofferenza di una madre che si contorce nei dolori del parto e poi all'intimità di tutto questo, penso allo stato di confusione del piccolo che respira la sua prima aria, al suo bisogno del contatto materno, alla necessità di essere accudito in un ambiente confortevole, ovattato, non certo rumoroso quale è quello di una fiera.
E penso alla brutalità del gesto di questo allevatore anempatico il quale, ben sapendo che la bufala era nell'imminenza del parto, non si è fatto scrupoli di trasportarla e di esporla, quale un fenomeno da baraccone, agli sguardi indiscreti dei visitatori.
Penso allo sguardo di chi in quel cucciolo e in quella madre ci vede solo oggetti, fonti di reddito, incapace di coglierne la bellezza dell'unicità di ogni vita. Lo sguardo di chi violenta la vita animale poiché ritenuta priva di valore. Lo sguardo di chi reifica gli esseri senzienti.
Tutto ciò mi ferisce, mi ferisce enormemente perché penso che se non si riesce a rispettare nemmeno un momento così, a saper andare oltre lo sguardo della consuetudine di quella "normalità" che induce alla reificazione degli animali non umani, allora è proprio la fine.
lunedì 11 febbraio 2013
Re della terra selvaggia: la storia della piccola Hushpuppy conquista il mondo (ma non me)
Hushpuppy e il suo papà Wink vivono in
un villaggio all’interno di una zona paludosa denominata
affettuosamente dai suoi abitanti “la Grande Vasca” (the Bathtub),
tagliata fuori dal resto del mondo da una diga. L’intero contesto, dichiara il giovane regista Benh Zeitlin, è un concentrato di tutti quegli elementi che caratterizzano la cultura e la vita nel sud della Louisiana, portati alle estreme conseguenze, narrati in maniera iperbolica e racchiusi in una sorta di racconto mitologico.
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sabato 9 febbraio 2013
Il proprio corpo come strumento di lotta nonviolenta: Davide Battistini e lo sciopero della fame contro l’uso della catena per i cani
I quotidiani ne hanno parlato poco e niente, qualche trafiletto, come fosse una questione secondaria.
Eppure c’è un uomo, un coraggioso e straordinario attivista per i diritti degli animali, che oggi sta affrontando il quarantesimo giorno di sciopero della fame per ottenere che la sua regione, l’Emila Romagna, abolisca il vergognoso uso della catena per i cani.
Eppure c’è un uomo, un coraggioso e straordinario attivista per i diritti degli animali, che oggi sta affrontando il quarantesimo giorno di sciopero della fame per ottenere che la sua regione, l’Emila Romagna, abolisca il vergognoso uso della catena per i cani.
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P.S.: comunico, oggi 13 febbraio 2013, che Davide Battistini ce l'ha fatta! Le sue richieste sono state ascoltate, la Regione dell'Emilia Romagna prenderà in considerazione la sua proposta di abolire l'uso della catena per i cani.
Un altro passo avanti è stato fatto, un passo importante. Impegnarsi, come sempre, serve!
P.S.: comunico, oggi 13 febbraio 2013, che Davide Battistini ce l'ha fatta! Le sue richieste sono state ascoltate, la Regione dell'Emilia Romagna prenderà in considerazione la sua proposta di abolire l'uso della catena per i cani.
Un altro passo avanti è stato fatto, un passo importante. Impegnarsi, come sempre, serve!
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martedì 5 febbraio 2013
La banda dei fantastici nove (più uno)
L'avevo promesso a molti di voi già da un po'.
Cominciamo con lui, Blake, il primogenito, abbandonato la mattina del 15 agosto di ormai quasi otto anni fa nel cortile di casa: quando lo trovai - svegliata dal suo miagolio insistente - fu amore a prima vista. E l'inizio di tutto. Poi, col tempo, vennero gli altri.
Subito dopo lei, Emily, la gatta perfetta, dal carattere sempre allegro e socievole; più di tutti ama starsene sul tavolo ad osservarmi mentre cucino o mi aggiro per la stanza. Ma va bene ovunque, purché possa seguirmi con lo sguardo.
E fu il momento di Dick, piccolo, piccolo, minuscolo, mi stava quasi sul palmo di una mano. Oggi è un gattone superbo e fiero, anche se, sotto sotto, un po' fifone (non appena entra qualcuno si nasconde) e... sbadiglione.
L'elegante Ariel, raffinatissima e sinuosa, la gatta dai molti misteri. Ogni descrizione è superflua.
Lei invece è Nora, ama starsene in terrazzo, anche d'inverno, da brava
certosina. Ma non disdegna nemmeno il divano, o il letto, o una morbida cuccia, specialmente se è quella più contesa di tutte. Chissà perché poi? Forse anche i gatti amano la fantasia scozzese?
Christabel, gatta schiva e silenziosa, ma quando le vien voglia di farsi coccolare non esita a far sentire la sua vocetta stridula: forse la mamma non le ha insegnato a miagolare?
Silvestrino, ama starsene appollaiato sulle spalle del mio compagno, meglio ancora se gli lascia la possibilità di succhiargli il lobo dell'orecchio sinistro (solo il sinistro, gli piace quello, non si capisce perché).
E c'è lui, Cirillo, qui era ancora un cucciolo, trovato che era stato investito da un'auto e prontamente soccorso. Oggi è un gattone grande e grosso, benché sia rimasto pieno di paure e timori, si fida solo di me; ama stendermisi accanto durante la notte, e poi al mattino, al suono della sveglia, mi dà dei colpettini sul viso con la zampetta, come per dirmi: "Ehi, sveglia, è ora di alzarsi, mi prepari la pappa?"
E infine Agostina, l'ultima arrivata, di lei ho parlato qui; un altro incontro ferragostiano, di due anni fa. Era una cucciola affamatissima che stava tentando di attraversa la trafficatissima via Cristoforo Colombo di Roma. Potevo lasciarla lì? Nella foto è quella a sinistra (l'altro lo avete già visto, è Dick).
Dulcis in fundo, il gatto alieno, ossia Marty. Talmente alieno che non sembra neanche un gatto.
Foto sparse di tutti loro.
Ci terrei altresì a ricordare gli altri mici che purtroppo non sono più con noi: Kirill, Agostino, Pallina e Nera.
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venerdì 1 febbraio 2013
A Charlie
Quella
mattina sei venuto a salutarmi come ai vecchi tempi e avrei dovuto capirlo che
qualcosa non andava. Ormai era da tanto che non ti precipitavi più nella mia
camera al suono della sveglia, vecchio e stanco com’eri. Preferivi restartene a
dormire sotto alle coperte fino a mezzogiorno inoltrato e solo al mio rientro
da lavoro trovavi la forza per tirarti fuori da quel mucchio di panni;
cominciavi col stirarti gli arti doloranti, una stiratina qui, un’altra là e
così facendo avanzavi fino a raggiungermi. Com’eri buffo e tenero quando mi
venivi vicino aspettando che io mi accorgessi di te. Io lo sapevo che c’eri.
C’eri talmente tanto che ti davo per scontato. Scontato. Così come le albe, gli
inverni, i lunedì.
Non
ho mai pensato abbastanza che un giorno avresti potuto non esserci più.
Di
quella mattina conservo l’immagine di una mia carezza distratta, allungata
nella fretta della concitazione mattutina perché stavo preparandomi per andare
a lavoro; conservo il tuo sguardo insistente, come una domanda, ma che non
seppi interpretare.
Del
resto del giorno ricordo poco, se non che, tornata a casa per pranzo, chiamai
il veterinario perché ci accorgemmo che respiravi a fatica.
-
“Nulla di grave, solo un’influenza che gira, vi prescrivo comunque degli
antibiotici per scrupolo, visto che è anziano”.
Ci
tranquillizzò. Mi tranquillizzò. Ci tranquillizzammo.
Così
la sera uscii.
Tu dormivi sereno nella tua cuccia. Ti diedi un buffetto
affettuoso. Ti dissi: “domani starai meglio”.
Uscii
per incontrarmi con un uomo che forse nemmeno mi amava, certamente non tanto
quanto mi amavi tu.
Ricordo
che a un certo punto mi resi conto di essere nel posto sbagliato: lontana da
casa, lontana da te. Tu stavi male e io invece di starti accanto sono uscita
per andare ad incontrarmi con quell’uomo, che era importante per me,
importantissimo, ma forse io non abbastanza per lui.
Certo,
non eri solo, c’erano i miei genitori, ma che importa, che importa quando avrei
dovuto esserci io? Ricordo i sensi di colpa che mi azzannarono all’improvviso e
le mie tattiche di autoinganno per alleviarne i morsi.
È solo un’influenza, che vuoi che sia,
non è nulla di grave, guarirà in un paio di giorni.
Che
cazzo ci sto a fare in questo ristorante?
Stai
tranquilla, tanto sta dormendo, la tua presenza è irrilevante. Lo sa che gli
vuoi bene. Lo sa, altrimenti non sarebbe venuto da te questa mattina. Appunto!
È da me che è venuto, da me! Mica da mamma e papà. Da me! E io che faccio? Esco
e lo lascio solo? Maddai, sta dormendo!
Tu
dici? Sììì, stai tranquilla.
Ricordo
il ritorno in macchina, ormai in preda all’ansia, alla fretta di arrivare.
Mezzanotte
passata, forse l’una, le due, non ricordo adesso.
Dal
momento in cui giro la chiave nella toppa tutto sembrò accadere come su un altro piano di realtà, tanto la percezione di ciò che avevo attorno risultava alterata, distorta, sbagliata.
Entrai,
con cautela per non svegliare mamma e papà, attraverso il breve ingresso al
buio, mi affacciai in cucina, accesi la luce e guardai in direzione della tua
cuccia, lì dove ti avevamo sistemato perché stessi più al caldo, sotto al
termosifone. Guardai, cercai con lo sguardo, ma tu non c'eri. Non c'eri, non
c’era niente lì sotto al termosifone, nemmeno la cuccia. Il vuoto, solo il vuoto, nient'altro. Un vuoto che cresceva, che si materializzava, che si faceva quasi minaccioso.
Un
urlo mi rimase smorzato in gola mentre entrò mio padre e lo guardai e lui mi
rispose scuotendo la testa.
- "Dov’è" -
gli chiesi? Dentro di me conoscevo già la risposta, ma la domanda la feci lo
stesso come se il solo tentativo di farla potesse in qualche modo restituirmi
l’attesa, la speranza di un esito diverso. In quei due tre secondi in cui mio padre tardò a
rispondere nulla era ancora successo, tutto era ancora possibile, metà e metà, come
l’esperimento del gatto di Schrödinger
– quel brutto esperimento, fortunatamente solo mentale.
Poi
mio padre si mise seduto e mi raccontò. Mi raccontò del tuo peggioramento
improvviso, della corsa inutile per portarti dal veterinario, mi raccontò con
dovizia di particolari – chissà perché poi, a volte non sarebbe meglio mentire?
– del tuo ultimo sguardo in cerca di aiuto (di aiuto? O di me?) e di
quegli istanti di agonia prima di morire.
-
“Meglio così” – disse mio padre – “è stato meglio che non c’eri, tanto non
avresti potuto fare niente e così ti sei risparmiata quegli ultimi momenti
strazianti”.
Risparmiata?
Che strano, a me sembrò di vedere tutto, di vivere tutto, lui che mi cercava, che cercava aiuto, i
suoi ultimi istanti. E io che non c’ero. Non ero lì accanto a lui.
Come
potrò perdonarmi? Come potrai perdonarmi? Potrai?
-
“Comunque stai tranquilla” – proseguì mio padre – “non era solo, c’eravamo io e
mamma, gli siamo stati vicini fino alla fine. Lo abbiamo coccolato, confortato”.
Sentii il dolore che saliva, lentamente, la mia impotenza crescere, farsi come un'onda gigante pronta a sommergermi.
-
“Ma... “ – chiesi – “... la sua cuccia, il suo corpo, perché non c’è più
niente? Perché portar via anche la sua cuccia?”
-
“Io e mamma abbiamo pensato che fosse meglio così, l’abbiamo messo dentro una
scatola con una coperta e fatto portar via, anche la cuccia, per farti star
meno male, per non fartela trovare vuota”.
Mi
girai e lì dove prima c’era la tua cuccia vidi il vuoto. Solo il vuoto, di nuovo quel vuoto. Un vuoto
talmente vivido, talmente grande da farsi ingombrante, da divenire presenza quasi, ecco, l'ho detto, presenza.
Chi
l’avrebbe mai detto che persino l’assenza, il vuoto, il niente potrebbero
trasformarsi in qualcosa che c’è, in qualcosa capace di incollarsi
plasticamente al corpo, ai pensieri, a divenire, appunto, un'essenza?
La
morte, il lutto, un qualcosa che prima non c’era e ora c’è. C’era infatti questa cosa ora
dentro di me. Non c'eri più tu, ma c'eri ugualmente, nella tua essenza/assenza/presenza.
Così
per me tu oggi sei l’immagine di quel vuoto, e di quegli ultimi istanti che non
ho visto, ma che il senso di colpa mi ha impresso a vita nella mente.
In
seguito, parlando con qualcuno di quel vuoto che avevo percepito come una
presenza, mi fu risposto che lì, probabilmente, in quel vuoto, c’era il germe
della fede.
Non
lo so. So solo che darei non so che cosa per tornare a quella mattina quando
insolitamente venisti a porgermi il tuo ultimo saluto. Ora lo so perchè
trovasti la forza di alzarti e di scendere dalla tua cuccia così presto,
nonostante l’artrite che negli ultimi anni aveva offeso le tue povere zampette
stanche. Eri venuto a salutarmi.
E
io, potrò mai rispondere a quel tuo saluto come avresti meritato?
Ti
chiedo scusa Charlie per non esserci stata quel giorno e per non esserti stata
accanto mentre morivi.
Vorrei
che tu mi conoscessi oggi, che sono una persona diversa, con un’empatia di gran
lunga maggiore di quanta potessi averne all’epoca, così troppo occupata a
correre dietro ad uomini che non mi amavano, o, almeno, non come avrei voluto
io. Certo, ti volevo tantissimo bene, ma non basta voler bene se poi non lo so
si sa dimostrare e se, quel bene, non arriva come e dove dovrebbe arrivare.
Poche
storie, su, io quella sera avrei dovuto restare a casa a vegliarti, rinunciare
ad uscire. E per quanto ripeta a me stessa che ti volevo bene, tantissimo bene,
la verità è che tu sei morto cercandomi mentre io non c’ero.
Cazzo,
vorrei tornare indietro per rimediare ai tanti errori commessi.
E
invece tutto quello che posso fare è andare avanti, sperando di aver appreso
abbastanza da quegli errori da essere divenuta una persona migliore.
*** *** ***
Questa
sorta di auto-confessione mi è stata ispirata dalla lettura di In morte di un
cane di Jean Grenier. In realtà era tanto che volevo scrivere della morte di
Charlie, solo che ammettere per iscritto una propria mancanza, renderla
pubblica, non è poi tanto facile.
Charlie
è stato il mio secondo cane, un meticcio di taglia piccola, incrociato con un
Pinscher. Aveva quasi 15 anni quando è morto, per complicazioni insorte in
seguito a una banale influenza. Ha vissuto una vita piena, bella, intensa. Ma
non so se riuscirò mai a perdonarmi per non essergli stata accanto in quei suoi
ultimi istanti di agonia. Morire è sempre un’agonia. Manca il fiato, è così che
si muore e non dev’essere bello. Certo, mi dico per perdonarmi, non potevo
sapere che sarebbe morto. Però diciamo sempre così e alla fine le persone e gli
animali che amiamo se ne vanno ed è allora che ci accorgiamo di non averle sapute
amare abbastanza. Un monito. Che questo mio scritto mi/ci serva come monito a darci sempre oggi, qui, senza mai risparmiarci. E a farci comprendere il valore di ogni singola esistenza.
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