venerdì 29 dicembre 2017

Ma il re è nudo!


La domanda che dobbiamo porci per migliorare la nostra strategia è sostanzialmente una: questa cosa serve veramente alla causa della liberazione animale? 
Se la risposta è sì, allora va bene.
Se è no, no sul breve termine, no sul lungo termine, allora quel che rimane, al netto di tutto, è solo egocentrismo o identitarismo vegano/animalista, e/o bisogno di sfogarsi.

Scrivo questa riflessione sulla scia dell'indignazione sviluppatasi sui social, e non solo, in seguito alla pubblicazione di un autoscatto di due donne che lavorano in un punto vendita del Carrefour mentre dileggiano un povero agnellino scuoiato e pronto per essere venduto un tanto al kg. 
Un'immagine certamente orribile, simile a quella che qualche mese fa ha pubblicato anche Cruciani. 
Premetto che anche io ho provato dolore nel vederla, ma il mio dolore non è dovuto tanto al dileggio in sé - come ho già scritto nel post precedente, funzionale a chi agisce la violenza e a chi svolge certi lavori - ma al fatto che quell'agnellino sia stato ucciso per essere mangiato. 
Lo stesso orrore, né di più e né di meno, lo provo quando passo davanti ai banchi del supermercato e vedo tutti quei corpi di animali fatti a pezzi. Anzi, l'idea che qualcuno li abbia disossati, assembrati e confezionati in maniera asettica, come se anziché corpi stesse maneggiando merci, se vogliamo, mi disturba ancora di più. Ma il punto qui non sono io o miei sentimenti, quel che provo o non provo, il punto è che viviamo in una società che legittima la schiavitù degli animali e istituzionalizza la violenza. È questo che deve indignarci, non il modo in cui questa violenza viene agita, se insieme al dileggio o con asettico distacco.
Vero che si sono scandalizzati anche molti onnivori, ma non perché provano empatia per gli animali uccisi per essere mangiati - se così fosse non li mangerebbero -, ma perché quell'immagine mette a nudo la loro ipocrisia. 
A tutti quelli che mangiano gli animali piace illudersi di essere comunque rispettosi di quegli stessi animali. Vittime di una dissociazione cognitiva che da una parte glieli fa mangiare senza accusare il minimo senso di colpa (o, se ce l'hanno, è presto rimosso) mentre dall'altra li fa indignare se qualcuno prende quello stesso corpicino - che pure loro stessi hanno guarnito con rosmarino e infilato nel forno - e ci scatta una foto oltraggiosa. Domandiamoci però quale sia il vero oltraggio, oltre l'apparenza.

Tornando all'incipit di questo mio scritto: ha senso chiedere il licenziamento di quelle due donne? 
Serve davvero agli animali, cioè a inceppare in qualche modo il meccanismo della violenza legalizzata che avviene al riparo da occhi indiscreti in luoghi quali mattatoi, laboratori per la vivisezione, allevamenti ecc.? O serve a noi vegani perché così ci siamo sfogati un po' contro due poveracce (poveracce di spirito, cioè due persone stupide, miserevoli).
Io penso che il licenziamento sia una misura welfarista e porti vantaggio solo all'azienda Carrefour che così potrebbe vantarsi di "trattare con rispetto" gli animali (che vende un tanto al kg.!). Una misura del tutto ipocrita che sposta e ridimensiona il nocciolo della questione.

Non solo: offriremmo ai detrattori della causa animale un bel motivo per ribadire i loro pregiudizi (o la loro malafede), ossia che noi animalisti saremmo più interessati alle sorti degli animali non umani e che saremmo anti-umani. Specialmente in tempi di crisi del lavoro come questi. 
Cosa cambierebbe se quelle due donne perdessero il lavoro? Sarebbe un vantaggio per gli animali che comunque continueranno a essere venduti e uccisi in quel supermercato? 
La misura non proverebbe nemmeno un cambiamento in corso di mutata sensibilità perché, come ho spiegato sopra, se quello stesso corpicino fosse stato esposto sul bancone nessuno dei carnisti avrebbe trovato da ridire.

Dobbiamo smetterla di sentirci offesi e urtati noi vegani. I soggetti in gioco in questa battaglia, in questa guerra, non siamo noi, ma gli animali non umani. Il meccanismo è lo stesso di quando ci domandano se ci offende che qualcuno a tavola con noi mangi carne. Offende noi? Siamo noi le vittime in quel piatto? Sono nostri quei corpi fatti a pezzi?
Certo, si offendono le nostre idee, ma le nostre idee devono o non devono essere al servizio degli animali che tanto ci auto-compiacciamo di difendere?
L'unico offeso, in questa vicenda, è stato l'agnellino. Ma l'agnellino è stato offeso nel momento in cui è stato fatto nascere per diventare merce. Il dileggio è lì, in questa idea, in questa pratica, nello specismo.
È questa società tutta che ci offende e ci prende continuamente per il culo trattandoci come consumatori pronti a bersi qualsiasi cazzata welfarista e ipocrita; è questa società tutta che ci offende perché il sistema in cui viviamo è totalmente privo di un fine etico ed è tutto volto alla mercificazione del vivente - in vari gradi - per ottenere il profitto.

Chiedere il licenziamento di quelle due donne è ipocrita, è uno sviare l'attenzione dalla vera posta in gioco. Si tratterebbe di una richiesta welfarista, cioè la stessa di chi chiede che gli animali siano trattati meglio senza metterne in discussione lo sfruttamento e l'uccisione.

Ringrazio la mia amica Francesca Giannone per gli spunti e per lo scambio su questa vicenda. Giustamente ha detto: "a volte sembra che si perda di vista il fine della nostra battaglia".

Ecco, lottiamo per fare in modo che non si vendano più pezzi di animali morti al supermercato, anzi, per fare in modo che non esistano più i supermercati, e non per far licenziare due mentecatte che hanno solo messo a nudo la violenza istituzionalizzata e legittimata di cui l'intera nostra società è intrisa.

martedì 26 dicembre 2017

Dileggiare le vittime


Il dileggio degli animali morti da parte di addetti al mattatoio e/o rivendita al dettaglio fa parte di tutto un insieme di reazioni psicologiche che la normalizzazione della violenza insita in questo tipo di lavoro - seppur legittimata - richiede.
Una parte della coscienza riconosce e sa che quelli che stanno maneggiando sono individui, comunque essere viventi (anche se ritenuti inferiori, stupidi ecc.), proprio per questo nasce l'esigenza di rimuovere, negare, nascondere questa consapevolezza infinitesimale e quindi si mettono in atto dei precisi meccanismi che hanno lo scopo di sminuire ancora di più le vittime, quasi a convincersi che in fondo non ci sia nulla di male nell'ucciderli, farli a pezzi, venderli. 
Il dileggio è funzionale a rimuovere ogni residuo di empatia, pietà, compassione.
Lo stesso meccanismo è stato evidenziato nel carcere di Abu Ghraib da parte dei carcerieri sui condannati. Per riuscire a torturarli dovevano rimuovere ogni minima traccia di empatia e la derisione era funzionale in tal senso.

Chi dileggia non è un mostro, ma una comunissima persona che mette in atto banalissimi meccanismi. 
Piuttosto chiediamoci come mai esistano certi lavori. 
A me spaventa la massa che continua a non vedere l'ingiustizia dello sfruttamento animale, non il comportamento stolto e immorale da parte di un singolo.

venerdì 15 dicembre 2017

E buon Natale!


"Beee, beee, il papà non c'è", dice un addetto a un agnellino di poche settimane che piange disperato, e poi lo trascina dalla sala di sosta al mattatoio; "dovete andare a pulire casa", dice un altro, o forse sempre lo stesso, a noi, che siamo donne e attiviste; ci guarda con sfida un terzo mentre affila i coltelli, uscito dalla struttura al solo scopo di provocarci o magari intimidirci, in fondo è lui quello che ha un'arma in mano, noi abbiamo solo cartelli; cartelli, telecamere e ombrelli perché sta diluviando da quando siamo qui. Almeno non c'è il sole come l'altra volta, sembra più straniante stare davanti a un mattatoio mentre gli uccellini danzano nel sole, ma anche così, col cielo che ti si riversa addosso, è straniante lo stesso. 
Siamo di nuovo qui, per chi è dentro è un altro giorno di lavoro, o la fine della vita, dipende da che parte si sta, se da quella di chi tiene in mano il coltello o da quella di chi ne subisce la lama. Un altro giorno di ordinaria follia, o di folle normalità, cambia poco come lo si chiami, alla fine è sempre la solita banalità del male che prende vita davanti ai nostri occhi. Ma, a differenza degli altri giorni, non scorre indisturbata come sempre perché i nostri corpi rappresentano un piccolo elemento di disturbo, un inceppo nell'ingranaggio. Siamo pochi, ma è la seconda volta che veniamo in questo mattatoio ed è evidente che la nostra presenza non è gradita. Intanto hanno dovuto sistemare diversi mezzi davanti alla stalla di sosta per impedirci di vedere il momento dello scarico e quello dell'entrata nella camera di macellazione. 
Cinque camion - cinque - carichi di piccole vite, talmente piccole che in alcuni abbiamo dovuto infilare la testa all'interno per riuscire a vederli, ché coi loro musetti non riuscivano nemmeno ad arrivare alle sbarre; in un altro c'era una pecora adulta in mezzo a loro, sicuramente una madre e tutti i piccoli le stavano stretti stretti attorno, in cerca di una protezione che di lì a poco non sarebbe più riuscita a dargli; un altro a momenti mi investe, tutto preso dalla fretta di entrare dentro al cancello; "non vi azzardate a toccare il camion!", ci ha urlato con uno sguardo carico di odio. Ma chi te lo tocca il tuo lurido camion, sporco di merda e di sangue. Si affrettano ad entrare, non vogliono che riprendiamo i musetti degli agnellini, tanto meno che gli facciamo una carezza.

Non è per niente facile restare lucidi in mezzo a tanta follia, eppure in qualche modo bisogna riuscire a fare appello a tutta la forza interiore possibile per restare lì a documentare il passaggio dei camion che entrano al mattatoio perché tanto ci sarebbero comunque, solo nell'invisibilità totale, invece almeno così abbiamo la possibilità di raccontare a tutti di cosa è fatta questa realtà infernale e come ci finisce il loro pezzetto di abbacchio sullo scaffale del supermercato. 
Una realtà fatta di totale dissonanza cognitiva in cui gli addetti cantano, ridono, mangiano, dileggiano cuccioli spaventati che belano in cerca della mamma e si divertono a provocare un gruppetto di donne e ragazze mostrandogli coltellacci lordi di sangue. 
Come se ci facessero paura. 
E c'è da aver paura, ma non del coltello, ma di tutta quella massa di brave persone che, tra risa e banalità, si rende complice di uno sterminio di proporzioni inaudite.
E ancora ci dovremmo sentire dire che gli estremisti siamo noi?

Sul retro del mattatoio ci sono due cani di razza pastore maremmano, mi hanno fatto una pena incredibile anche loro, chissà se qualcuno gli farà mai una carezza? E poi, sempre sul retro, c'è anche un piccolo pollaio. Non si fanno mancare niente: dal piccolo allevamento direttamente al mattatoio in pochi secondi, tanto, animale più, animale meno, che differenza fa quando se ne ammazzano centinaia al giorno?

Tutto intorno, sul piazzale, come l'altra volta, rumori di mezzi meccanici, muletti, furgoncini, la meccanizzazione della vita e della morte. L'azzeramento di ogni emozione.

Oggi un carabiniere si è commosso. Ho visto la sua espressione cambiare quando è arrivato il primo camion. Se n'è stato tutto il tempo in silenzio, con la faccia sempre più scura e gli occhi lucidi. Alla fine sono andata a parlarci. "Lei è una brava persona", gli ho detto, anche se qui sta ricoprendo un ruolo. "La legge è un atto di forza", mi ha risposto. "Faccio questo lavoro perché ho vinto il concorso tanti anni fa, ma a me dispiace, dispiace per quelli che i giudici mi chiedono di arrestare magari perché hanno fatto qualcosa che non andava tempo prima, ma so che sono bravi ragazzi che magari hanno trovato anche un lavoretto, mi dispiace per gli animali, io amo gli animali"; "e non è necessario ucciderli", ho proseguito", "no, non è necessario", ha confermato, scuotendo la testa.

A volte un briciolo di umanità la trovi dove meno te lo aspetti, io oggi l'ho trovata negli occhi di questo signore, non voglio nemmeno chiamarlo carabiniere perché si vedeva che era uno di quelli che non si identifica con la divisa.

Negli occhi delle mie compagne e compagni di lotta, invece, ho visto la mia stessa impotenza, la mia stessa dolorosa frustrazione per non poter far nulla per salvare gli animali.

Negli occhi di quei cuccioli... non voglio dire cosa ho visto nei loro occhi, so solo che per loro non ci sarà più niente da vedere. A quest'ora saranno già tutti morti. Non belano più, non cercano più la mamma. 
Per cosa?

Ecco, domandatevi per cosa.

Poche notti fa ho fatto un sogno. Ho sognato che mentre camminavo per strada, all'interno di un centro abitato di un piccolo paese, a un certo punto incrociavo un tir carico di agnellini. Ho sognato che si fermava e io mi avvicinavo. Gli agnellini erano tanti, tantissimi, mi guardavano e io guardavo loro. Ho sognato che a un certo punto incominciavano ad avvicinarsi altre persone. Due, tre, quattro, dieci, venti, cento. A un certo punto eravamo tante, tantissime, una massa sterminata di persone. Ho sognato che eravamo così tanti che alla fine aprire quel maledetto camion e liberare tutti gli agnellini è stato come bere un bicchier d'acqua.

mercoledì 13 dicembre 2017

Strane parole


Chiamo gli altri animali individui, dico che non li mangio, racconto che sono schiavi costretti a vivere dentro lager fetidi e oscuri, definisco sorelle le mucche e le femmine di altre specie, faccio attenzione a non usare espressioni che, in maniera del tutto pregiudiziale, ne ribadiscano l'inferiorità, non dico i "miei" gatti, ma i gatti con cui convivo, tanto meno dico "mucche da latte", "cavallo da monta", "animali da circo" perché nessun individuo dovrebbe essere definito in base a una funzione a lui attribuita per trarne profitto e poi ancora dico animali non umani, a ribadire che animali lo siamo anche noi.
A volte le persone che non hanno dimestichezza con la questione animale mi guardano come se stessi parlando una strana lingua.
Eppure c'è bisogno di parole nuove per il mondo nuovo che vogliamo costruire. Se abbiamo mangiato animali e considerato normali tutti gli orrori che subiscono è perché da quando siamo nati abbiamo subito il linguaggio del dominio, specista, pieno di bugie e stupidi stereotipi, mistificatorio e ingannevole.
Certo, la mia voce arriva a pochi, non è pervasiva come quella della società in cui siamo immersi o della tv, ma se lo farete anche voi, se anche voi presterete attenzione alle parole, forse potremmo aprire squarci di verità nel buio di una menzogna diffusa.
La narrazione deve cambiare.

martedì 5 dicembre 2017

I limiti del linguaggio verbale


Il linguaggio verbale è il linguaggio del potere. Alla fine, è con questo che dominiamo e opprimiamo ed è con questo che dobbiamo fare i conti per imparare ad apprendere i nostri limiti.
Se gli altri animali potessero infatti parlare la nostra lingua, non potremmo stare tanto a disquisire sul fatto che siano autocoscienti, che sappiano rappresentarsi il futuro o meno e altri pretestuosi argomenti che, alla fin fine, servono solo alla nostra specie per dipingersi superiore.
In realtà gli altri animali si sforzano sempre di comprenderci, mentre siamo noi che restiamo sordi alle loro altre diverse modalità di comunicazione.
C'è gente che vive con i cani da decenni e ancora non ha imparato a riconoscere un tipo di abbaio da un altro. Tutti presi come siamo dalla nostra spocchia di formulare parole, sempre ingannevoli, peraltro, poiché spesso poco aderenti alla realtà e a quel che si vuole rappresentare, dire, comunicare. 
Molto spesso un limite. Perché non ci sforziamo di andare oltre. I nostri limiti non dovrebbero essere i confini del nostro mondo, ma ostacoli da superare per vedere al di là.
"Gli manca solo la parola", diciamo degli altri. No, essi non sono carenti di nulla. Siamo noi che dobbiamo superare questo scoglio del linguaggio verbale e imparare a comprendere altri segni, altre gestualità, altre sonorità. Per esempio, da quando vivo con i gatti, ora saprei distinguere i loro diversi miagolii per ogni richiesta. Fame, gioia, richiamo, curiosità, stupore, malessere, tristezza e tutta una gamma di situazioni ed emozioni. 

martedì 28 novembre 2017

Se niente importa...


Ieri abbiamo fatto il nostro 32° presidio davanti al mattatoio di Passo Corese, in provincia di Rieti.
A differenza degli altri organizzati a Roma, gli agenti di polizia ci hanno permesso di andare fin davanti all'ingresso e ci hanno lasciato osservare tranquillamente quanto avveniva all'esterno, sul piazzale, su cui era posizionata anche la stalla di sosta, piena di animali in attesa di essere macellati, e su cui affacciavano varie porte; su una c'era scritto: uscita pelli. 
Abbiamo potuto così assistere da vicino al "lavoro" giornaliero dei vari addetti alle operazioni di smontaggio dei corpi, iniziato con l'andirivieni di quelli che uscivano a prendere gli animali dalla stalla di sosta per trascinarli dentro alla stanza di macellazione, per poi proseguire con la pulizia della stessa una volta "svuotata" e l'uscita dei carrelli contenenti i resti della macellazioni dalla porta su cui c'era scritto "uscita pelli", oltre la quale, attraverso uno spiraglio, si sono intravisti i corpi di alcune pecore appese e già scuoiate. 

Nonostante non fosse certo la prima volta che vedevamo degli animali poco prima di entrare al mattatoio, la giornata di ieri è stata per tutti particolarmente dura, probabilmente perché è stata la prima volta che abbiamo potuto osservare dal vivo tutta una serie di gesti routinari eseguiti con una freddezza agghiacciante. 
Gli addetti cantavano mentre portavano pecore e agnelli a morire, ascoltavano la radio, mangiucchiavano, fischiettavano. Più volte ci hanno guardato con sfida. Uno ci ha detto: "Io mi sono alzato alle cinque e mezza per venire a lavorare". "Anche io", gli ho risposto, "ma la differenza tra me e te è che io sono venuta per difendere quelli che tu stai per uccidere". Non ha replicato. Ma immagino che lui si sentisse legittimato a sfidarmi, in fondo lui era quello che stava facendo soltanto il suo lavoro, come ogni bravo cittadino e padre di famiglia che si rispetti, mentre io quella che aveva trovato il tempo di andargli a rompere le scatole, come una nullafacente qualsiasi che osa criticare chi si guadagna il pane.
Siamo sempre lì. Alla banalità del male. Alla deresponsabilizzazione individuale. Alla legittimazione sociale e culturale di chi sfrutta e schiavizza per il profitto, alla totale inconsapevolezza e incoscienza del peso delle proprie azioni e scelte.

Uno degli addetti alla macellazione è uscito fuori più volte. Aveva il grembiule imbrattato di sangue e così gli stivali. Vestita come lui c'era anche una donna. 
Ricordo di aver pensato una cosa, quando l'ho vista: la sua faccia è l'ultima cosa che vedranno gli agnellini prima di essere sgozzati.

Ho pensato alla maternità, al valore femminile del dare la vita, alla tenerezza dei cuccioli, così stridenti con il suo grembiule macchiato di sangue e con la normalità con la quale mangiava un pezzo di pizza dopo il "lavoro".

Un'altra cosa che mi/ci ha colpito è la casetta del guardiano a pochi metri dalla stalla di sosta. Addobbata per il Natale. Con le lucine e tutto il resto. 

C'è una forte dissociazione cognitiva nella mente di queste persone. Agiscono come automi convinti di fare un lavoro uguale a un altro, magari necessario, anzi, sicuramente necessario, dal momento che tutti poi vanno a comprare la carne, no?

Non abbiamo potuto fare nulla per salvare quegli animali e sono soltanto una parte infinitesimale rispetto ai milioni che vengono macellati ogni giorno nei mattatoi di tutto il mondo. 
Ma di una cosa sono certa: la nostra presenza lì non è passata inosservata. I nostri occhi increduli, il nostro sguardo addolorato ha lasciato un segno sulle macchine che passavano al di sopra, persino sulle forze dell'ordine che erano lì per controllarci ("noi siamo nel mezzo", mi ha detto un agente, "capisco voi, sono sensibile, ci rifletto da mesi ormai sulla vostra lotta, ma devo stare qui anche a difendere il lavoro dei macellai perché purtroppo è legale"), e poi, forse anche su quelle persone stesse che abbiamo osservato tutto il tempo come se provenissero da un altro pianeta. Anzi, come se NOI provenissimo da un altro pianeta in cui quello che oggi qui sembra normale, uccidere animali per il profitto e l'abitudine, lì non lo è. La nostra presenza DEVE aver lasciato un segno. Deve essere così. Altrimenti significa che è tutto inutile. 

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venerdì 24 novembre 2017

Io sono un animale!


Io sono un animale. Voi siete degli animali. 
Scontato, no?
Niente affatto perché anche nelle menti apparentemente più laiche continua ad annidarsi il creazionismo.
In quale altro modo chiamare, infatti, quell'errata convinzione ideologica per cui noi saremmo altro rispetto al regno animale?
Non è solo antropocentrismo, è qualcosa di più subdolo e irrazionale. 
Se così non fosse non staremmo qui a chiederci se gli altri animali abbiano coscienza e autocoscienza, intelligenza e una mente complessa. 
La risposta in fondo è molto semplice. 
Se noi possediamo questi attributi, devono in qualche modo possederli anche tutti gli altri, perché NOI SIAMO ANIMALI. 
Noi siamo la prova che gli animali, tutti, sono coscienti e autocoscienti. Non ci può esser prova migliore di questa perché noi siamo animali come loro. 

Non c'è evidenza scientifica per dimostrare che noi avremmo un quid in più che gli altri non hanno. A meno che, appunto, sotto sotto non si continui a restare convinti che noi siamo altro in virtù di questo quid che molti, ahimè, fanno coincidere con il concetto religioso di anima. Che è un concetto creazionista.
Ma l'anima non esiste. O meglio non esiste un soffio vitale o altro di metafisico che permane al di fuori dei nostri corpi dopo che sono morti. Abbiamo una mente che è fisica, localizzata nell'attività cerebrale, abbiamo ricordi, pensieri, sogni, desideri e ce l'abbiamo perché abbiamo un cervello e una superficie corporale, esattamente come ce l'hanno gli altri animali. Abbiamo cinque sensi, esattamente come ce l'hanno gli altri animali. 
Siamo corpi. Come tutti gli altri animali.
Per quale motivo il mio corpo dovrebbe valere di più di quello di un leopardo? Davvero la differenza morfologica può giustificare un diverso trattamento morale?

Ora, a me sembra che siamo ancora molto indietro. Che ancora  siamo fermi al punto di raccontare CHI sono gli animali. Prima ancora di dire agli altri quanto sia ingiusto e sbagliato ucciderli, dobbiamo far capire CHI sono perché fino al momento in cui le persone - filosofi compresi - continuano a esser convinti che essi non possano sapere cosa sia la sofferenza psichica, non possano progettare, desiderare, sognare, volere, proiettarsi nel futuro e passato, si continuerà a giustificare il diverso trattamento morale a loro riservato. 

Non so voi, io ancora mi sento dire che non possiamo paragonare le tragedie umane con quelle animali. Ancora questa differenziazione ontologica, noi da una parte e gli animali dall'altra.

NO. SIAMO TUTTI ANIMALI! 

Non deriviamo dai primati. Non siamo una specie che si è perfezionata rispetto al resto del mondo animali. Noi siamo primati.
Abbiamo paura di dirlo. Perché? Perché la cultura creazionista e antropocentrica e il cattolicesimo ci hanno inculcato nella testa tutta una serie di pregiudizi negativi sulle altre specie.

A me sconvolge pensare che ci siano persone pronte a credere all'esistenza di dio e che allo stesso tempo abbiano invece ancora dubbi sulla coscienza degli animali. 

giovedì 23 novembre 2017

Limiti


Una delle obiezioni che viene fatta più di frequente a chi si occupa degli animali non umani è che dovremmo occuparci della sofferenza all'interno della nostra specie.
Dirò una cosa che può sembrare una provocazione, ma non lo è (noi di NOmattatoio abbiamo sempre riflettuto anche su questo e ne abbiamo parlato spesso durante i presidi).
Come giustificare il fatto che per avere la fettina già bella e confezionata, al netto di sangue, urla e violenza, si "obblighi" un'intera categoria di persone - i macellai e in una certa misura anche gli allevatori - a svolgere un lavoro che è violento, alienante, desensibilizzante, sporco, che provoca traumi psichici devastanti, tra cui la totale dissociazione cognitiva?
Le statistiche e le tante interviste ottenute da ex macellai ci dicono che nei macelli lavorano le persone più disperate e povere, che hanno incubi di notte, che dopo un tot di tempo si danno al bere per dimenticare le urla degli animali che uccidono, che si abbrutiscono, che cominciano ad adottare comportamenti violenti anche all'interno della famiglia, ormai resi incapaci di distinguere tra "violenza legittima" - cioè quella legalizzata dentro i macelli - e violenza tout court; e del resto, l'abbiamo sempre detto, come si può regolamentare la violenza? Perché sgozzare un maiale dovrebbe essere lecito, mentre prenderlo a calci no?
Il punto importante è che i macellai per poter fare quello che fanno si devono auto-convincere che gli animali siano cose o che siano cattivi, stupidi, esseri insulsi che meritano di morire. Ma come fare quando davanti a te hai un maiale che urla come un bambino perché ha capito cosa gli sta per accadere e si dibatte, scalcia, lotta con tutte le sue forze per non entrare nella gabbia di contenzione? Come fare quando un cavallo ti guarda con rassegnazione? Come fare quando un agnellino di poche settimane o un vitellino che nemmeno si regge sulle zampe piange insistentemente per chiamare la sua mamma?
Ci vuole coraggio per convincersi che siano solo pezzi di carne da smontare!
E quel coraggio richiede una progressiva desensibilizzazione psichica, richieda un enorme lavoro di rimozione, negazione e dissociazione. Praticamente un lavoro mentale continuo fino a che si arriva a non sentire più niente. Niente.
I mattatoi sono contenitori di violenza. Sacche di violenza sparse nella nostra società in cui lavorano persone che fanno cose che noi non faremmo mai. E legittimiamo tutto ciò per avere la fettina di carne bella e pronta.
Questo è lottare per i diritti umani?
Vi sembra giusto?
Se non uccidereste un agnello con le vostre mani, pensate sia giusto che debbano farlo altri al posto vostro?
Ovvio, questo è un argomento indiretto. Un mega argomento indiretto. Io penso che gli animali non debbano essere uccisi perché sono soggetti della loro stessa vita e non oggetti per soddisfare un capriccio di gola e per riempire le tasche di chi li sfrutta, ma quando vi diranno che bisogna pensare prima agli esseri umani, parlategli un po' dei macellai, parlategli un po' anche di questo e vediamo fin dove arriva la tanto decantata umanità di molti.
Un'altra cosa: in un dibattito filosofico recente, quello tra il filosofo Caffo e il filosofo Zohk, il secondo ha tentato di giustificare lo sfruttamento degli animali asserendo che gli animali soffrono in misura minore degli esseri umani.
Ora, con tutto il rispetto per entrambi, io penso che se la filosofia è ancora ferma alle categorie di minore, maggiore, superiore, inferiore quando si parla di specie, evidentemente è rimasta molto indietro; praticamente come se Darwin non ci fosse stato. 
Le differenze tra noi e gli altri animali non sono di grado, ma di qualità. Siamo specie diverse. 
E giustificare massacri basandosi sulla diversità evoluzionistica, quindi di intelligenze, comportamenti, linguaggi ecc., adottando parametri antropocentrici stabiliti dalla nostra specie perché, è ovvio, si ha tutto l'interesse nel dimostrarsi superiori per poter continuare a sfruttare le altre, è semplicemente, specismo. Che è ciò che si contesta. Le basi. Queste sono le basi della filosofia antispecista.
Ultima cosa: gli animali si sfruttano per profitto. Sono schiavi a costo zero. Quindi chi detiene il potere economico e la politica che si intreccia con esso avrà sempre tutto nell'interesse nel mentire per giustificarne lo sfruttamento.
Tanto che di recente in Inghilterra la Camera dei Comuni ha votato un provvedimento proposto dai Tories per cancellare il punto sulla coscienza e capacità di sentire dolore degli animali nello European Union Bill, il documento che stabilisce quali leggi resteranno in vigore dopo la Brexit; ora è interessante sapere che l'80% delle norme sul benessere animale proviene proprio dall'Europa, ma se il punto sulla senzienza degli animali dovesse passare definitivamente queste norme sarebbero destinate a cadere, con tutto vantaggio degli allevatori e ricercatori che così non avranno più limiti etici nello sfruttare e fare esperimenti sugli animali.
Cosa vi dice tutto ciò? Che l'economia è il vero problema. Cioè il Potere di chi ha tutto l'interesse nel continuare ad avere i suoi schiavi a costo zero.
E, secondo me, una filosofia che non sappia tener conto di questo, ossia che ancora si presta a discutere del sesso degli angeli (se gli animali soffrono come o meno di noi, ma suvvia...), ossia una filosofia incapace di farsi politica in senso ampio, è una filosofia ancora molto arretrata, molto vecchia, stantia.

E il veganismo questo è: rinuncia alla violenza, all'oppressione, al dominio, al Potere di pochi sulla pelle di molti, umani e non; la messa in atto di una presa di coscienza politica.

mercoledì 15 novembre 2017

Parte lesa

Purtroppo solo la parte lesa si rende conto di quanto radicata ed estesa sia la forma di discriminazione che subisce.
Bisogna essere donne per capire quanto maschilismo si manifesti ancora oggi in ogni ambito, bisogna essere omosessuali per capire quanto diffusa sia l'omofobia, bisogna appartenere a etnie diverse da quella dominante per notare quanto il razzismo sia così diffuso e bisogna essere animali non umani per sperimentare tutto l'orrore di essere considerati solo merci da fare a pezzi dentro i mattatoi.
Provate qualche volta a mettervi nei panni degli altri, di chi ogni giorno subisce molestie ed è vittima di discriminazione e violenza per rendervi conto di quanto non viviamo affatto nel migliore dei mondi possibili. 

martedì 14 novembre 2017

Siamo tutti coinvolti


Vorrei che tutte le persone che si adoperano nell'attivismo facendo anche banchetti in strada dedicassero cinque minuti a guardare questo video. 
La mia riflessione è questa: inizialmente l'allevatore non sembra sentire ragioni; cambia atteggiamento nel momento in cui l'attivista gli introduce anche l'argomento, apparentemente indiretto, della devastazione e della fine ormai prossima del pianeta a causa del consumo di carne. A quel punto si sente coinvolto e direttamente implicato nel danno che, egli stesso, con il suo stile di vita e lavoro, sta producendo. Un danno reale, ormai non più discutibile.
Penso che la cosa migliore da fare sia sempre capire chi si ha davanti, magari facendo qualche domanda introduttiva del tipo "lei che lavoro fa?", "convive con degli animali?" ecc., e poi tarare le proprie argomentazioni di volta in volta.
Spesso, nel dialogo, ci si trova davanti a un muro. Un muro che sembra imbattibile, ma in realtà la breccia c'è sempre, basta solo scovarla e introdurcisi. In questo caso, per l'allevatore, era quella del pianeta. Non gli importava nulla degli animali, ma si è sentito tirato in causa quando l'attivista gli ha parlato del pianeta. Ha cambiato voce, sguardo e si è rilassato, non sentendosi più attaccato, ma parte di una problematica più ampia in cui TUTTI siamo coinvolti.
Ora, dal nostro punto di vista ovviamente gli animali non vanno uccisi perché sono soggetti della loro stessa vita e non è giusto schiavizzarli, dominarli, considerarli risorse e questo dovrà restare sempre l'argomento principale di ogni nostro racconto e la motivazione forte della nostra battaglia. Però il nostro punto di vista non deve restare solo il nostro, noi dobbiamo riuscire a dialogare, a far capire a tutti che non si tratta di una scelta personale, ma di una scelta necessaria e giusta, eticamente inattaccabile, almeno per chiunque ci tenga a definirsi persona civile e rispettosa. Dobbiamo coinvolgere le persone nel nostro ragionamento, ma senza farle sentire giudicate e colpevoli. Dobbiamo far capire che siamo tutti coinvolti, tutti sulla stessa barca, altrimenti sembrerà che noi siamo i giusti, loro quelli sbagliati e alzeranno tutte le difese possibili sentendosi giudicati. Quindi, far capire che gli allevamenti e lo sfruttamento animale nel loro complesso sono parte e concausa della devastazione del pianeta, dell'inquinamento, della deforestazione, del surriscaldamento del pianeta ecc. può aiutare a far sì che si riesca a stabilire un contatto tra noi e l'interlocutore apparentemente menefreghista - o sinceramente menefreghista - riguardo la vita degli altri animali. Una volta avuto il contatto, una volta individuata la crepa nel suo muro, una volta che avrà abbassato le sue difese psicologiche, sarà più facile parlare di tutto il resto.
Siamo tutti coinvolti, anche noi che abbiamo già smesso di mangiare animali perché se non useremo tutti i mezzi a disposizione sarà come se non facessimo abbastanza, restando su un piedistallo di purezza ideologica.

lunedì 30 ottobre 2017

Di bestemmi e religioni

Ho notato che a tante persone danno fastidio le bestemmie, anche se non sono credenti. Gli danno ancora più fastidio se a pronunciarle sono le donne (rivelando così, oltre al perbenismo, anche un po' di sessismo inconscio).
Di fronte a questo fastidio palesato, immancabilmente mi torna in mente la famosa frase di Apocalypse Now: "Addestriamo dei ragazzi a sganciare Napalm sulla gente, ma i loro comandanti non vogliono che scrivano “cazzo” sugli aerei perché è una parola oscena.".
Viviamo in una città violentissima, sterminiamo migliaia di animali non umani al secondo (e non è un'iperbole), fomentiamo guerre per mantenere i nostri folli standard di vita occidentali, respingiamo i migranti alle frontiere perché ci ricordano quanto siamo stronzi, e di fronte a tutto questo orrore quotidiano ("l'orrore, l'orrore...", come direbbe il Colonnello Kurtz) ci scandalizziamo quando sentiamo una bestemmia come se fossimo signorine dell'ottocento cresciute a pane e bibbia.
Cos'è che vi scandalizza? Il dissacrante, l'aver introiettato una morale catto-borghese nonostante ideali diversi? Perché una parola diventa una parolaccia da non dire?
Io trovo gravissimo usare il nome comune di animali per denigrare e offendere perché l'uso di questo linguaggio conferma e rafforza lo specismo e lo specismo ha conseguenze reali, concrete, ma scandalizzarsi per nominare un dio o un santo o altre figure della religione in cui si afferma di non credere, che senso ha? Chi si offenderebbe, nello specifico?
Chi crede? Eppure, se ci pensate bene, giudichiamo folli i Testimoni di Geova e non ci facciamo scrupolo nel mandarli affanculo solo perché sono una minoranza, ma riconosciamo sacertà e pretendiamo rispetto quando abbiamo a che fare con la religione ufficiale del nostro paese, anche se propugna gli stessi identici contenuti folli; la religione cattolica continua a preservare, anche per i non credenti, quell'aura di intoccabilità che la cultura in cui viviamo ci ha inculcato sin dalla nascita e non viene riconosciuta come altrettanto folle delle altre religioni minoritarie solo poiché condivisa dalla maggioranza, quindi normalizzata (quando un'ideologia o religione sono molto diffuse diventano invisibili, esattamente come il carnismo).

E comunque la bestemmia ha un'innegabile funzione liberatoria, come il riso, perché scardina ciò che comunemente viene considerato intoccabile, quindi ha a che fare con l'istituzionale, con il potere; si può dire che essa assuma un po' la stessa funzione del carnevale, infatti la bestemmia spesso è goliardica.

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domenica 22 ottobre 2017

Carne felice, allevamento estensivo e altre menzogne

Immaginate un cucciolo pieno di gioia di vivere alla scoperta del mondo. 
Immaginatelo mentre corre nei prati, annusa i fiori, le foglie, l'aria, conosce la pioggia, il vento, il sole.
E poi immaginatelo mentre, un bel giorno, all'improvviso, viene strappato via da tutto questo e portato al macello.
Nel pieno della sua infanzia/adolescenza. Perché qualcuno ha deciso che la sua vita non gli appartiene, che non può essere soggetto della sua stessa esistenza, ma corpo da trasformare in prodotto.
Questo è l'allevamento estensivo.
Nella "carne felice" l'aberrazione, la violenza, l'orrore si spingono ai loro massimi livelli. 
Ogni allevamento implica la sottrazione della libertà e il dominio totale sul corpo di qualcun altro.

venerdì 20 ottobre 2017

The last pig


Perché The Last Pig è un ottimo documentario.

Lo è nella scelta del soggetto, intanto: raccontare la storia di un uomo, un allevatore di maiali, che un giorno realizza di non voler più avere il potere di decidere della vita e della morte di qualcun altro. Bob non ha il classico allevamento intensivo di migliaia di animali, ne gestisce uno piccolo, di poco più di duecento individui, trattati nel miglior modo possibile. Ma destinati comunque a diventare quella che il mercato chiama "carne felice". Bob si rende conto che questa carne di maiali felici non è poi così felice. Apre un blog e racconta i suoi dubbi. Qualcuno lo legge. La sua storia arriva alle orecchie di Allison Argo (documentarista attiva da oltre 25 anni e nota per le sue storie forti e i ritratti di animali oggetto di sfruttamento e in pericolo. Vincitrice di sei Emmy Award e di oltre cinquanta premi internazionali, ha prodotto, scritto e diretto film trasmessi da PBS e National Geographic) che da tempo aveva in mente di raccontare una storia sugli animali non umani "d'allevamento" e così lo contatta. Tra loro nasce un'intesa. Bob vuole che la sua storia sia raccontata, ma il tempo è poco, lui ha deciso che dopo l'ultimo gruppetto di maiali che sono ancora nella sua proprietà non ne prenderà altri e convertirà la sua attività in produzione di ortaggi. Si comincia a girare subito, senza soldi, poi verrà aperto un crowfunding cui ha contribuito l'associazione Essere Animali, la stessa che ne ha curato i sottotitoli in italiano e organizzato il primo tour nel nostro paese, di cui ieri la tappa romana. 
Lo è perché le scelte registe e stilistiche di Allison hanno una serie di punti di forza: il primo, è quello di non scivolare mai nella retorica aggiungendo materiale di finzione o preparato. Hollywood ne avrebbe fatto un prodotto strappalacrime; Allison ha raccontato, con la massima sincerità possibile e con molto rispetto, una storia vera. Un documentario vecchia maniera, se vogliamo, in cui il protagonista viene filmato mente svolge la sua attività quotidiana e dove la voce fuori campo è molto discreta, giusto a sottolineare qualche particolare passaggio interiore (e specifico sottolineare, perché comunque è tutto già molto visibile a livello visivo). 
Il secondo è che la macchina da presa è ad altezza occhi dei maiali. Uno sguardo soggettivo del loro mondo, delle loro esperienze, emozioni; quelle positive, quando esplorano la realtà circostante, osservano Bob curiosi e interessati, apprendono, giocano e comunicano tra loro, e quelle negative, di paura e terrore quando vengono fatti salire sul furgoncino che li conduce al mattatoio.
Ho apprezzato in particolare la scena del mattatoio, un terzo punto, veramente molto potente, che già da solo reggerebbe tutto il film: si lavora per ellissi, si racconta un prima e dopo. Allison sceglie di non mostrare la violenza; viene invece evidenziata l'assenza, questa graduale sparizione dallo spazio filmico degli individui che stanno andando a morire. Prima sono in cinque/sei, un piccolo gruppetto, poi in quattro, tre, due, fino a che non ne rimane uno solo. L'ultimo maiale è anche lui. In questo, terribile, senso. Allison si sofferma sul suo sguardo: lui ha capito, è visibilmente stressato, ha la lingua di fuori e ansima dal panico. Ha già visto tutto i suoi compagni, fratelli, amici, sparire in quello spazio che odora di sangue e di morte. Sa che tocca a lui e non c'è rimasto nessun altro a consolarlo. Nemmeno Bob, di cui si fidava. Questa scena è un colpo al cuore. 
Ciò che ci comunica non è la violenza - sarebbe stata una scelta fin troppo banale e scontata - ma il senso di ingiustizia. Il senso di profonda ingiustizia di vedere questi individui pieni di gioia, visibilmente felici fino a un attimo prima e poi, nel momento subito successivo, quei loro corpi palpitanti di vita trasformati in prodotti, in pezzi di carne livida.
In una fase storica come questa in cui il sistema si appella al concetto di "carne felice" per mettere a tacere i dubbi di sempre più persone in merito alla liceità o meno di schiavizzare e sfruttare animali, The Last Pig ci dà la sua risposta, ed è una risposta potente, che non lascia adito a dubbi.
Allevare esseri senzienti, seppur concedendo loro la miglior vita possibile nel breve lasso di tempo prima che raggiungano il peso ottimale (richiesto dal mercato) per andare al macello, è sempre qualcosa di terribilmente sbagliato, ingiusto, aberrante.

lunedì 16 ottobre 2017

Oste, com'è il vino? È 'bono!


Lo so, è deprimente, ma là fuori stiamo ancora a "ma il ferro e le proteine dove li prendete voi vegani?", "i bambini vegani muoiono" o "i vegani sono brutti e perdono i capelli".
Colpa della disinformazione mediatica e della tivvù che campa con i soldi di Amadori, Rovagnati, Parmalat e affini.
Ora, chi mi conosce sa che non parlo mai di veganismo dal punto di vista della dieta, però giusto oggi un amico mi ha posto delle domande legittime e poco fa ho letto altri commenti sotto a un post di un altro amico che mi hanno fatto venire voglia di dirle, due cosine, giusto due. 
Facciamo così, copio-incollo parte del commento che ho scritto in risposta alla domanda del primo amico (mi chiedeva inizialmente delle uova), ci aggiungo qualcosina, e lo lascio qui, a beneficio di chi ha ancora dei dubbi.
Quando ho deciso di diventare vegana mi sono preparata, ho ascoltato conferenze di medici e nutrizionisti già preparati sul tema, letto decine di articoli, e mi sono consultata anche con medici di base un minimo aperti sul tema, quindi con voglia di informarsi e, soprattutto, onesti intellettualmente. 
Non ho fatto le cose a caso perché alla mia salute ci tengo e nonostante avessi amici già vegani da decine di anni, volevo esser sicura di non andare incontro a carenze. Perché, lo ammetto, il lavaggio del cervello che ti fanno sin da quando nasci è potente e un po' di timori giustamente ce li avevo. 
Premesso questo, posso ora affermare con cognizione di causa le seguenti cose.
La dieta vegana è perfettamente sostenibile, a patto che sia varia, ma questo si può dire di qualsiasi tipo di dieta perché anche mangiare solo carne senza verdure e cereali farebbe male. Le uniche vitamine che bisogna integrare sono la B12 e la D. Ma queste sono vitamine cui tutti devono prestare attenzione ed eventualmente integrare (tant'è che tutti gli integratori che si vendono in farmacia da anni sono consumati dall'intera popolazione, mica solo dai vegani): la D perché con lo stile di vita che quasi tutti conduciamo, che consente una scarsa esposizione al sole, è carente in quasi tutti noi; la B12 perché è una vitamina prodotta da un batterio presente nel terreno e, a meno che non ci mettiamo in bocca manciate di terra, dubito che la si possa assimilare; un tempo si consumavano verdure cresciute in terreni ricchi di questo batterio, oggi sono piene di pesticidi e tocca lavarle e poi ci sono coltivazioni di serra e tanta altra roba artificiale rispetto a un tempo e infatti nemmeno gli animali d'allevamento - che mangiano foraggio e non escono all'aperto - sono in grado di assumerla direttamente, tant'è che gli viene somministrata tramite integratori. Queste sono le uniche due vitamine cui bisogna prestare attenzione e che si possono assumere tranquillamente tramite integratori. Vitamine di cui sono carenti anche molti onnivori. Per il resto legumi, cereali (di vario tipo, farro, orzo, miglio, grano, riso, ecc.), verdure, ortaggi, frutta fresca e secca e semi oleosi ci danno tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Conosco tante famiglie vegane che hanno bambini svezzati vegani in ottima salute. Conosco vegani che mangiano pure piuttosto maluccio perché magari vanno di corsa e non sempre hanno tempo di cucinarsi, ma stanno bene lo stesso, l'importante comunque è farsi le analisi del sangue almeno una volta all'anno, controllare se tutti i valori sono a posto e in caso correggere l'alimentazione o integrare. Io per sicurezza la B12 e la D le prendo, pure se in dosi minime perché comunque, nonostante sia vegana da quasi sei anni e vegetariana da otto, ho tutti i valori a posto. Avevo solo il ferro un po' basso, ma sono sempre stata anemica, pure da bambina, quindi cerco sempre di assumere della vitamina C (mezzo limone spremuto o un kiwi, un'arancia) quando mangio vegetali e legumi che sono ricchi di ferro, così da riuscire ad assimilarlo meglio. Lo so, sembrerà di dover fare attenzione a troppe cose, ma in realtà poi diventa una cosa semplice, ordinaria e del resto ogni bambino, adolescente, adulto che sia deve prestare attenzione alla dieta nelle varie fasi della crescita. Gli onnivori a una certa età devono far attenzione al colesterolo, al diabete, all'obesità ecc., che sono tutte patologie potenzialmente mortali. Con la dieta vegana basta solo far attenzione alla B12 e D. Non ascoltate il terrorismo psicologico che fanno i vari Calabrese in tv, è pura disinformazione mediatica. Nessun bambino è mai stato ricoverato in ospedale per carenze, si è sempre trattato di notizie infondate e poi smentite. O in un caso il bambino non era vegano, oppure era sì vegano, ma era stato ricoverato per patologie che riguardavano tutt'altro che la nutrizione. Purtroppo le lobby degli allevatori, i medici che sostengono la vivisezione (e quindi devono screditare il movimento animalista in toto) fanno disinformazione e si inventano casi inesistenti. 
Ma poi, scusate, se ci dicono menzogne riguardo la carne felice (col maialino che ride felice di andare al macello), il benessere animale ecc., perché mai non dovrebbero dirle anche riguardo la dieta vegana? Chi dice che gli animali dentro gli allevamenti stanno bene è una persona in malafede e direbbe qualsiasi cosa pur di difendere strenuamente la categoria cui è legata da interessi economici. Questo non è complottismo, è semplice osservazione e analisi della realtà.
Se pensate che uccidere e sfruttare gli animali sia ingiusto, ma avete paura che diventare vegani sia pericoloso, scrivete pure ai tanti medici e nutrizionisti preparati sul tema, leggete libri, chiedete a un amico che è già vegano da tanti anni, qualsiasi cosa, ma non date retta ai medici faziosi in tivvù o all'opinione del vostro macellaio di fiducia o di chi campa sullo sfruttamento animale.
Ovvio che l'allevatore vi dirà sempre che la carne è necessaria.

P.S.: so che state pensando che anche io potrei essere di parte e vi tranquillizzo subito, certamente lo sono, dalla parte degli animali. Degli animali oppressi, umiliati, privati della dignità e del semplice diritto a vivere un'esistenza libera dal dominio dell'homo sapiens. Ma non ci guadagno nulla, se non la gioia di poterli finalmente guardare negli occhi sapendo che se anche dovranno morire, non sarà certo in mio nome. 

Foto presa dal web di Jerick Aldrin P. Ilagan

giovedì 12 ottobre 2017

Il danno del procrastinare


Per tanti anni ho rimandato a domani quello che avrei potuto fare subito.
Sapevo che il prosciutto, i salumi, la carne che mangiavo in generale venivano prodotti in modi terribili e che tantissimi animali dovevano soffrire e morire per questo. Però mi focalizzavo sul discorso degli allevamenti intensivi, ossia non mettevo in discussione il concetto stesso di mangiare carne, ma dicevo soltanto che sarebbero dovute cambiare le condizioni di allevamento.
Intanto però, nell'attesa di un miglioramento di queste condizioni - che non avverrà mai poiché inconciliabile con il fine del profitto - continuavo a mangiare prosciutto, salame e carne provenienti da lager infernali. Così sostenendo e restando complice di sofferenza inimmaginabile. E, quel che è peggio, continuavo a dichiarare di amare gli animali. 

E tu, cosa pensi di fare? Continuare a rimandare ancora o dissociarti oggi stesso da un sistema che produce orrori indicibili? 

Nella foto: un'immagine ottenuta dal team investigativo Free John Doe all'interno di uno dei tanti allevamenti italiani fornitori di prosciutto. L'immagine, pubblicata sulla pagina Facebook del gruppo di supporto, riporta la seguente didascalia: "La morte dimenticata di un maiale in un allevamento. Ha circa quattro mesi di vita, un'emorragia al naso e vari lividi sul corpo. Probabilmente è stato calpestato dai suoi simili all’interno di un recinto di pochi metri quadrati dove sono stati rinchiusi troppi animali. Quanto ci vorrà perché il suo decesso venga notato dagli allevatori? Quante ore ancora la sua carcassa rimarrà per terra, immersa nei suoi stessi escrementi? Quanto passerà prima che gli altri maiali si accaniscano sul suo cadavere e lo divorino?
Per il team investigativo di Free John Doe il momento più difficile è trovarsi di fronte a scene come queste. Testimoniare la morte e la sofferenza affinché la gente sappia, affinché le cose possano cambiare."

domenica 1 ottobre 2017

La mia Berlino


Berlino non è una città bella. Non ha niente dell’eleganza di Londra o Parigi, per esempio,  né della monumentalità di Roma o Madrid, ma ti conquista per il carattere composto da più e diverse anime da approfondire senza fretta; ti affascina per l’atmosfera vivace e rilassata al tempo stesso dei localini, pub e cafè, decorati con le lucine colorate anche se non è Natale, che si affacciano sulle strade, sonnacchiosi nel primo pomeriggio e pieni di vita la sera; ti colpisce per i tanti negozietti indipendenti e stracolmi di oggettini e abiti vintage, quasi tutti in ottimo stato a prezzi eccezionali, mercatini delle pulci dove puoi trovare delle vere e proprie chicche, librerie con angolo caffè, gallerie d’arte, ponti che si affacciano sullo Spree e angoli da cui sbucano palazzi colorati e ferrovie sopraelevate; ti sorprende per i colori della street art, i cortili dei palazzi che si intravedono attraverso portoni finemente decorati, i parchi e giardini pieni di cornacchie, passerotti e gazze; ti rattrista per i tanti luoghi della memoria e ti fa chiedere come sia stato possibile che una città così accogliente abbia potuto esser teatro di un passato così oscuro; ti fa capire meglio l’anima del romanticismo, non a caso nato proprio in Germania, mentre passeggi per il grande parco pieno di salici e arbusti selvatici che taglia in due la città, percorso da biciclette veloci, runners e vecchietti che si tengono per mano; ti alleggerisce il cuore quando entri nei quartieri più giovani dove si respira politica e aria di controcultura, con i punkabestia che ti battono il cinque e ti sorridono senza motivo, pieni di locali vegan, alcuni proprio animalisti, lo capisci dagli adesivi che tappezzano le pareti dei bagni; Berlino è quella delle notti un po’ strambe, vagamente surreali, in cui ti sembra di essere capitato dentro a un film: una ragazza in bici dal cui cestino spunta un unicorno gigante, un’altra che corre da una parte all’altra della strada trasportando un lampadario più grande di lei, un ragazzo in fuga dopo esser fuggito da un locale senza pagare, inseguito da un cameriere e poi da un altro ancora e poi da un passante che si è aggiunto senza sapere né cosa e né perché, una scultura dinamica di bottiglie di birra vuote che cresce e si modifica man mano che ne vengono scolate altre sul momento, che è un inno artistico all'alcolismo o forse alla disperazione, ma che comunque ti fa soffermare e pensare e sperare che la solitudine del tizio si attenui un po' e infine uno strano tizio che cammina con una pianta in testa, occhi bassi e passi veloci;  e poi quella della protesta politica il giorno delle elezioni, con ragazze e ragazzi che si sono buttati completamente nudi nel fiume mentre sopra il ponte i loro compagni hanno srotolato uno striscione; le biciclette che tagliano l’aria silenziose e che se non stai attento ti mettono sotto senza troppi problemi, le piste ciclabili ovunque, talmente ovunque che a volte ti ci ritrovi in mezzo rischiando, appunto, di essere investito; il trenino giallo sulla ferrovia sopraelevata che oltre a portati per lungo e per largo ti offre anche la più bella vista della città, una vista che mai nessun bus turistico potrebbe eguagliare; il battello sullo Spree, che sì, è un po’ turistico e per vecchietti, ma vuoi mettere la possibilità di vedersi scivolare la città accanto sorseggiando birra immersi in una luce del crepuscolo talmente bella, ma così bella come non ho mai visto nemmeno a Roma (che in quanto a luce pensavo non avesse rivali); e le sdraio colorate lungo il fiume dove i giovani sorseggiano birra già al tramonto, ascoltano musica, fumano, amoreggiano e si divertono; l’atmosfera retrò e un po’ fiabesca di alcuni quartieri, con i palazzi color verde acqua che ricordano le case delle bambole e altri ricoperti di edera e delle sfumature rossastre della vite americana; la cupezza improvvisa di quella torre che un tempo ha ospitato un lager provvisorio, oggi suddivisa in appartamenti abitati, il senso di colpa misto al desiderio di andare avanti, di superare, ricordare e dimenticare, morire un po’ dentro e poi sentirsi scendere le lacrime di fronte all’East Side Gallery; Berlino è tante cose insieme, cose che sono difficili da spiegare, da raccontare, da intrappolare in uno scatto. Ci si sta bene a Berlino, tanto bene, ti senti a casa, rilassato, i tempi sono lenti, c’è poco traffico, poche persone ovunque perché è molto estesa, le strade sono immense, i marciapiedi anche, i locali, anche se piccoli, hanno spazi all’aperto e arredamenti accoglienti, spesso modesti, ma caldi. Berlino est è quella che mi è piaciuta di più per la sua atmosfera viva e includente. Come ho detto all’inizio, non è bella nel senso classico, ma ha dalla sua il saperti accogliere, rispetto a Londra, per esempio, che rimane altera, respingente e persino un po’ snob (per quanto sia un’altra città che adori). Berlino ti fa venire voglia di pensare: ecco, qui mi fermerei, sento che qui potrei viverci bene, rilassata, senza fretta, senza ansia, senza stress. 
Berlino è anche quella dell’arte, dell’isola dei musei, architettura splendida e ricca di opere all’interno, della fondazione di Helmut Newton al museo della fotografia, foto tante belle quanto speciste e sessiste, ma una visita la merita lo stesso, se non altro per capire come, sfortunatamente, la donna sia stata vista nei vari periodi storici e perché, se oggi siamo ancora immersi nel maschilismo, la colpa la dobbiamo un po’ anche alle riviste di moda e ad artisti come il suddetto; si può esser bravi, dannatamente talentuosi, ma al servizio di un pensiero sbagliato.
Berlino è anche quella di alcuni particolari che ti restano in testa e a cui ti affezioni, come il cloc cloc dei semafori con l’omino che divenne famoso nella DDR, una delle icone nostalgiche sopravvissute, l’aria frizzante, la pioggerellina leggera che non serve l’ombrello, il sole che appare e scompare come se si divertisse a fare i dispetti. La birra a meno di due euro, gli ottimi felafel e le Bäckerei invitanti (qualcosa di vegan si trova sempre).
Berlino è quella del Katzencafé, dove un po’ avevo paura di entrare per timore di vedere i gatti stressati dai visitatori, e invece ho trovato un ambiente super tranquillo e rilassato, molto rispettoso dei gatti, con doppia porta per non farli scappare e raccomandazioni su come usarle scritte a caratteri cubitali; divanetti comodi, cioccolate calde (anche con latte di soia), cuccette dei mici un po’ ovunque e camminatoi sopraelevati, alberi finti per farli arrampicare e sinceri amanti dei gatti che si impegnavano a non disturbarli, anche se poi erano i mici stessi a venire, in cerca di coccole e per giocare un po’.
La mia Berlino, la nostra Berlino, è stata quella dei percorsi un po’ a caso e un po’ seguendo l’ottima guida “Percorsi d’autore”, consigliataci dagli amici Francesca e Daniele, che ti porta a scoprire angoli inediti e quartieri meno turistici per assaggiare un po’ della vita - e delle notti - dei Berlinesi, dagli hipster, agli intellettuali nostalgici della DDR, fino ai giovani dei centri sociali.

La mia Berlino è anche quella dell’incontro con l’amica Francesca conosciuta su Facebook che avevo sempre desiderato incontrare dal vivo e che, guarda caso, soggiorna qui proprio negli stessi giorni perché Berlino è anche la città dove hai la sensazione che tutto possa accadere, compreso incontrare pure un altro amico all’aeroporto il giorno del rientro. La città degli incontri.

Ed è anche quella che mi ha fatto venire voglia di comprare al mio rientro a Roma “Ognuno muore  solo”, il libro di Hans Fallada, un romanzo sulla storia della Resistenza tedesca e che oltre a raccontare un episodio toccante di lotta contro un potere spietato, è anche una testimonianza della vita quotidiana degli abitanti del quartiere Prenzlauer Berg sotto il terribile terzo reich. 

Certo, cinque giorni sono pochi per carpirne davvero tutte le anime, per vedere tutto quello che interessa vedere, cinque giorni sono giusto un assaggio, un assaggio gustosissimo che ci ha fatto venire voglia di tornare ancora. 

Altre foto è possibile vederle qui.

mercoledì 20 settembre 2017

Vi guardano


Alla fine la verità è sempre la cosa più semplice e facile da dire e da mostrare.
Oltre i super interessi economici e politici contro il veganismo, ci siamo noi, con le nostre testimonianze quotidiane. 
E soprattutto, ci sono loro, gli animali, i loro corpi, i loro sguardi, il loro essere qui con noi, sempre, in ogni momento, anche quando si fa finta di non vederli o di non volerli vedere.
Vi guardano da ogni dove: dalle vetrine dei negozi, dagli scaffali dei supermercati, dai capannoni anonimi che delimitano le autostrade, dagli edifici squallidi situati nelle periferie, dalle vetrate dei ristoranti, dai recinti, dalle gabbie. A volte il loro sguardo è così forte che arriva quasi a sollevarvi quel velo dietro al quale vi nascondete, fingendo di non vederli, di non sentirli.
Foto scattata durante uno dei presidi NOmattatoio.

lunedì 18 settembre 2017

Benvenuti nel "1984"


Se le persone fossero un minimo intelligenti capirebbero facilmente da sole che il concetto di fare a fette qualcuno dopo averlo fatto nascere e vivere per qualche mese dentro un capannone lurido non può essere compatibile con il benessere animale, né con il soddisfacimento minimo delle esigenze etologiche e tanto meno con il concetto di giustizia.
Però siccome le persone rimangono facilmente vittima del lavaggio del cervello, specialmente quando si tratta di assolversi e di negare a loro stesse la verità per continuare con ciò che tradizionalmente hanno sempre fatto senza mai chiedersi il perché, allora si fanno bastare l'etichetta di Rovagnati.
Benvenuti in "1984", dove il Ministero della Pace promuove la guerra e via dicendo.

A margine di questo discorso, credo che qui ci siano gli estremi per pubblicità ingannevole, visto che hanno persino copiato il marchietto con la v di vegan.
D'altro canto, penso che se dovessimo stare dietro a tutte le stronzate che si dicono in tv per continuare a mentire sulla produzione di carne, latte e uova perderemmo davvero un sacco di energie preziose; al solito penso che l'unica maniera per sconfiggere la mistificazione della propaganda carnista sia continuare a mostrare la verità, ossia la realtà di allevamenti e mattatoi. Un video di un'investigazione o dell'arrivo di un camion al mattatoio conta più di mille parole. 

Del resto, come si può sconfiggere una menzogna?

Solo mostrando la verità.






mercoledì 13 settembre 2017

Cecità


Ieri sera sono passata di fronte a una vetrina di un alimentari. In bella mostra il corpo di un maialino piccolissimo arrostito, trasformato in quel che comunemente si chiama "porchetta". 
Era intero, con tutta la testolina. Si vedevano benissimo gli occhietti socchiusi, la bocca spalancata in una smorfia di agonia. Il corpo coperto di quella crosta che per molti costituisce una prelibatezza. 
Lo era anche per me, quando mangiavo ancora gli animali.
Per prima cosa mi ha colpito l'orrore. Lo stesso che avrei provato se al suo posto ci fosse stato un bambino morto. Orrore, disgusto, raccapriccio.
Poi lo stupore. Come ho potuto un tempo essere cieca di fronte ai quei corpi che eppure erano lì, in bella vista, in tutta la loro tragica verità? Com'è possibile che io non vedessi quegli occhi, quella bocca, quel corpicino martoriato? Possibile che fossi così cieca?
Sì, lo ero. Ero cognitivamente dissociata e quindi cieca. Vedevo un maiale vivo e quello era un maiale. Ne vedevo uno arrostito o fatto a fettine e quello era cibo. Non era più un maiale.
E questo è quello che fa il carnismo. Che ci fa il carnismo, che vi fa il carnismo. Ci/vi rende ciechi. Dissociati. Violenti. Malati.
Pensateci. Provate, alla prima occasione in cui vi capiterà di trovarvi di fronte a un prodotto animale, a vederlo per quello che era prima che venisse trasformato.

sabato 9 settembre 2017

Non diventate vegani!


No, non sono impazzita! 
Ho invece il piacere di pubblicare una bellissima lettera aperta scritta da un mio contatto su Facebook. In mezzo al mare magnum delle notizie fake, dei selfie, dei post autoreferenziali, ogni tanto si trova anche qualche riflessione su cui vale la pena soffermarsi.
Vi invito a leggerla perché trovo che sia il giusto modo per approcciarsi agli "altri", ossia tutti coloro che per abitudine, ignoranza, pregiudizi o altro ancora mangiano gli animali.

Di Maria Campo

Lettera aperta agli "altri".

Non diventate vegani. 
Non diventate niente. Non datevi etichette, siate solo voi stessi come persone e individui. Togliete agli altri le etichette che gli vedete addosso. Se avete incontrato vegani antipatici dimenticateli e basta. Non fareste un dispetto a loro facendo torto agli animali.
Informatevi, leggete, osservate, controllate, confrontate, pensate... Ascoltate il vostro cuore e fate ciò che sentite giusto.
Non diventate neanche vegetariani.
Solo smettete di mangiare carne perché gli animali non vogliono morire. E lo capiscono. Guardateli, conosceteli. Guardate i video dove possono giocare e accorgetevi che non c'è differenza tra un cane, un vitello, un maiale. E guardate i video dove gli viene imposto il destino di diventare ingredienti, non vi piaceranno, vi faranno stare male. Pensate cosa dev'essere per loro che lo vivono, se qualcosa vi ferisce solo a vederlo. Guardate che cosa passano nella loro breve vita (sono cuccioli quelli che finiscono nel frigo), immaginate cosa vivono durante il trasporto, la paura che hanno al macello.
Non diventate vegani. Però smettete di mangiare derivati: lo sfruttamento di loro​ che sono come bambini non è mai una leggerezza come forse pensate. Non è colpa vostra, è quel che vi hanno insegnato perché a loro volta è stato insegnato: nessuno è cattivo o una persona malvagia per aver creduto a questa cultura. Perdonate e perdonatevi. È stato così, ma ora datevi la possibilità di cambiare. Non date nulla per scontato, approfondite, tenete la mente aperta. Cercate informazioni, chiedete come e perché. Per ogni "mucca da latte" c'è un vitello ucciso. Per ogni "gallina ovaiola" c'è un pulcino ucciso. Quando avete obiezioni e dubbi, cercate la risposta vera e non​ accontentatevi di quella che vi rassicura: è un mercato che muove troppi soldi per dirvi la verità, le pubblicità vogliono vendervi qualcosa, le aziende vi vogliono consumatori, i giornali e tv e i media in generale sono foraggiati e non si mettono contro gli sponsor. La politica si preoccupa dell'economia. Ma non abbiate paura per il mercato e l'economia, quelli se la caveranno eccome. Pensate ai deboli, pensate agli ultimi, pensate a chi non ha voce: è perché sono indifesi che vengono schiavizzati e sfruttati. Non potranno mai difendersi perciò dobbiamo essere noi umani a chiedere pietà per loro: la prima cosa è interrompere gli acquisti di ciò che fa loro del male. Per riconvertire il commercio in uno più etico abbiate fiducia nell'intelligenza umana, si troverà una soluzione che vada bene a tutti anche smettendo la schiavitù.
Il nostro piacere e comodità non devono essere al prezzo della vita altrui.
Nemmeno la nostra vanità di bellezza. Non diventate vegani, ma smettete di comprare prodotti testati su animali. Scoprite le aziende cruelty free.
Dite basta alla sperimentazione animale: siamo tutti animali, ma tra specie diverse non siamo identici, i nostri corpi hanno differenze che rendono vano, per curarci, sapere cosa faccia bene o male agli altri... È inutile torturarli e terrorizzarli e imprigionarli per fare esperimenti che non ci daranno benefici. E comunque nessun risultato varrebbe l'infliggere loro tutto quel male: loro provano dolore e paura come noi, ci assomigliano precisamente in questo. 
Non vi piacerebbe sapere cosa succede nei laboratori. Probabilmente non verrete neanche a saperlo fino in fondo, ma se avete il coraggio cercate di scoprirlo. Se non ne avete il coraggio avete già la vostra risposta: non potete far finta di niente.
Non diventate vegani, non c'è bisogno di esserlo per smettere di comprare pellicce e indumenti con gli inserti. Guardate gli animali nelle gabbie e il modo orrendo in cui gli viene rubata la pelliccia per venderla a voi. Voi non ne avete bisogno, loro sì.
Smettete di comprare cose in pelle, smettete di comprare lana e seta. Ma se ne avete, non dovete per forza buttare via nulla: adoperate tutto ciò che avete in guardaroba e scarpiera, portatelo fino alla fine, evitate lo shopping non necessario, fregatevene delle mode. Aggiustate, riparate, personalizzate, abbellite quel che avete e riutilizzatelo prima di buttarlo.
Non andate al circo, non andate allo zoo, non andate ai delfinari, evitate gli acquari: la sofferenza non può mai essere divertente. Tanto meno istruttiva.
Se state leggendo fin qui, probabilmente non vi è mai passato per la testa di andare a caccia o a pesca. Ma se così fosse, imparate invece l'arte della fotografia e andate a "caccia" armati solo di macchina fotografica. Fate un corso di sub e incontrate i pesci senza fargli del male. Starete nella natura e ci starete con la pace nell'anima. Se quel che cercate è adrenalina, valutate i videogiochi; se è solo per gioco e divertimento che avete voglia di sparare provate il softair! L'Italia ripudia la guerra ma vende armi, i cacciatori sono dei clienti... Non cascateci quando vi racconteranno la storia del buon cacciatore amante della natura: chi ama non uccide così alla leggera.
Se osservate la natura, vi accorgete che la vita di qualsiasi animale è già abbastanza difficile anche senza incontrare la crudeltà umana. Non possiamo e non dobbiamo infierire.
Nelle tragedie naturali, in terremoti e alluvioni, ricordatevi anche delle vittime non umane.
Continuate a vivere la vostra vita, ma ricordatevi degli animali. Quando ci sarà una festa, accorgetevi se hanno messo musica a volume impossibile sotto un nido di rondinini. Accorgetevi se hanno portato un cane in mezzo al casino infernale. Se il volume è alto per noi figuratevi per loro. E dite qualcosa: gli animali non possono parlare e chi sta pensando solo a divertirsi probabilmente in quel momento si è dimenticato della loro esistenza e dei loro bisogni. Quando verrà capodanno, dite no a botti e petardi: pensate al terrore che provano gli animali domestici e selvatici. Ho visto piccioni​ impazzire di paura. Loro sono invisibili, vivono accanto a noi e vengono schifati per pregiudizio. Conosceteli, scoprite quanto sono intelligenti. Tutti gli animali meritano rispetto.
Con quel che avrete risparmiato sulla spesa (mangiare vegetale costa meno) e dallo shopping, aiutate un rifugio: c'è sempre bisogno di tutto e dell'aiuto di tutti. 
Fintanto che vengono considerati come oggetti ci sono abbandoni e randagismo e ancora e ancora cucciolate... Non comprate! Adottate.
Se potete, adottate un animale e conoscetelo davvero, trattatelo come una personcina: no, non è umano, ma scoprirete che non serve esserlo per avere personalità. Adottate un cane o un gatto tra chi ha più bisogno, un coniglio, una gallina, un maiale, un ratto... adottate col cuore!
Quando fate la spesa state solo un po' attenti: evitate i derivati animali, sì, e pensate anche agli umani e all'ambiente. Preferite il bio quando l'opzione è possibile. Preferite il fair trade. Non spenderete di più, fate la prova e tenete un registro delle spese se volete. Non comprate tofu e seitan se non vi piacciono, oppure comprate tofu e seitan se vi piacciono. Scoprite sapori nuovi se ne avete voglia, ma sappiate che non servono ingredienti che non conoscete per mangiare vegetale, equilibrato e vario: legumi, cereali, frutta, verdura, frutta secca, semi, alghe, funghi... Ricordatevi​ che non c'è nessun sacrificio e non dovete obbligatoriamente diventare salutisti. Non rinunciate ai vostri cibi preferiti, scoprite come avere gli stessi gusti con ingredienti vegetali. Quando andate in giro chiedete l'opzione più buona, quella buona per davvero che non fa male a nessuno: ormai si trova ovunque, e comunque dappertutto possono proporre qualcosa.

Certo, bisogna che tutti vivano così per cambiare le cose. Vi sentite una goccia nel mare? Non abbiate paura di fare quel che potete per paura che sia poco: bisogna solo che ognuno faccia la propria parte, senza aspettare di controllare che gli altri la stiano facendo. Cosa state aspettando? Cominciate subito, perché non ci sarà uno start per partire tutti assieme. Strada facendo vi accorgerete che altri​ stanno facendo il vostro percorso.
Vivete con coscienza, vivete con giustizia, senza darvi etichette. E quando qualcuno vi chiederà qualcosa non etichettatevi ancora e non etichettate nessuno. Spiegate ciò che sapete e ciò che avete imparato. La vostra testimonianza di umani​ che vivono nel rispetto degli animali tutti, varrà moltissimo: e allora parlatene, raccontate la compassione, spiegate il vostro senso di giustizia. Se ciascuno vivrà con rispetto il mondo sarà un posto migliore, senza più bisogno di dirsi vegani e animalisti.