martedì 28 novembre 2017

Se niente importa...


Ieri abbiamo fatto il nostro 32° presidio davanti al mattatoio di Passo Corese, in provincia di Rieti.
A differenza degli altri organizzati a Roma, gli agenti di polizia ci hanno permesso di andare fin davanti all'ingresso e ci hanno lasciato osservare tranquillamente quanto avveniva all'esterno, sul piazzale, su cui era posizionata anche la stalla di sosta, piena di animali in attesa di essere macellati, e su cui affacciavano varie porte; su una c'era scritto: uscita pelli. 
Abbiamo potuto così assistere da vicino al "lavoro" giornaliero dei vari addetti alle operazioni di smontaggio dei corpi, iniziato con l'andirivieni di quelli che uscivano a prendere gli animali dalla stalla di sosta per trascinarli dentro alla stanza di macellazione, per poi proseguire con la pulizia della stessa una volta "svuotata" e l'uscita dei carrelli contenenti i resti della macellazioni dalla porta su cui c'era scritto "uscita pelli", oltre la quale, attraverso uno spiraglio, si sono intravisti i corpi di alcune pecore appese e già scuoiate. 

Nonostante non fosse certo la prima volta che vedevamo degli animali poco prima di entrare al mattatoio, la giornata di ieri è stata per tutti particolarmente dura, probabilmente perché è stata la prima volta che abbiamo potuto osservare dal vivo tutta una serie di gesti routinari eseguiti con una freddezza agghiacciante. 
Gli addetti cantavano mentre portavano pecore e agnelli a morire, ascoltavano la radio, mangiucchiavano, fischiettavano. Più volte ci hanno guardato con sfida. Uno ci ha detto: "Io mi sono alzato alle cinque e mezza per venire a lavorare". "Anche io", gli ho risposto, "ma la differenza tra me e te è che io sono venuta per difendere quelli che tu stai per uccidere". Non ha replicato. Ma immagino che lui si sentisse legittimato a sfidarmi, in fondo lui era quello che stava facendo soltanto il suo lavoro, come ogni bravo cittadino e padre di famiglia che si rispetti, mentre io quella che aveva trovato il tempo di andargli a rompere le scatole, come una nullafacente qualsiasi che osa criticare chi si guadagna il pane.
Siamo sempre lì. Alla banalità del male. Alla deresponsabilizzazione individuale. Alla legittimazione sociale e culturale di chi sfrutta e schiavizza per il profitto, alla totale inconsapevolezza e incoscienza del peso delle proprie azioni e scelte.

Uno degli addetti alla macellazione è uscito fuori più volte. Aveva il grembiule imbrattato di sangue e così gli stivali. Vestita come lui c'era anche una donna. 
Ricordo di aver pensato una cosa, quando l'ho vista: la sua faccia è l'ultima cosa che vedranno gli agnellini prima di essere sgozzati.

Ho pensato alla maternità, al valore femminile del dare la vita, alla tenerezza dei cuccioli, così stridenti con il suo grembiule macchiato di sangue e con la normalità con la quale mangiava un pezzo di pizza dopo il "lavoro".

Un'altra cosa che mi/ci ha colpito è la casetta del guardiano a pochi metri dalla stalla di sosta. Addobbata per il Natale. Con le lucine e tutto il resto. 

C'è una forte dissociazione cognitiva nella mente di queste persone. Agiscono come automi convinti di fare un lavoro uguale a un altro, magari necessario, anzi, sicuramente necessario, dal momento che tutti poi vanno a comprare la carne, no?

Non abbiamo potuto fare nulla per salvare quegli animali e sono soltanto una parte infinitesimale rispetto ai milioni che vengono macellati ogni giorno nei mattatoi di tutto il mondo. 
Ma di una cosa sono certa: la nostra presenza lì non è passata inosservata. I nostri occhi increduli, il nostro sguardo addolorato ha lasciato un segno sulle macchine che passavano al di sopra, persino sulle forze dell'ordine che erano lì per controllarci ("noi siamo nel mezzo", mi ha detto un agente, "capisco voi, sono sensibile, ci rifletto da mesi ormai sulla vostra lotta, ma devo stare qui anche a difendere il lavoro dei macellai perché purtroppo è legale"), e poi, forse anche su quelle persone stesse che abbiamo osservato tutto il tempo come se provenissero da un altro pianeta. Anzi, come se NOI provenissimo da un altro pianeta in cui quello che oggi qui sembra normale, uccidere animali per il profitto e l'abitudine, lì non lo è. La nostra presenza DEVE aver lasciato un segno. Deve essere così. Altrimenti significa che è tutto inutile. 

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