giovedì 17 febbraio 2022

Cose scomode

 A volte bisogna dire delle cose scomode, pur sapendo che le proprie parole verranno strumentalizzate*. 

Il 15 febbraio è stata emessa la sentenza che condanna a venti anni di carcere l'uomo che ha violentato e ucciso Agitu Gudeta, la donna etiope che si guadagnava da vivere allevando capre e vendendo formaggi.

La sua storia passa per essere un simbolo del riscatto. Lei era arrivata in Italia nel 2010 fuggendo dal proprio paese e dandosi da fare per rendersi autonoma lavorativamente e integrandosi.  Della sua storia, leggo: "Agitu era scappata dalle violenze e gli scontri in Etiopia ed era arrivata in Trentino nel 2010. Poi si è laureata in Sociologia a Trento e si è specializzata in arte casearia in Francia. Aveva iniziato con sole 15 capre di razza pezzata mochena e camosciata ma ora ne aveva 180 e grazie a “La Capra Felice”, azienda agricola biologica dove coltivava anche ortaggi, produceva uova e una linea cosmetica, si guadagnava da vivere vendendo i prodotti del suo lavoro."

Ora, mi rendo conto che lo sfruttamento degli animali è una pratica normalizzata e naturalizzata e di questo non posso fare una colpa ad  Agitu, che comunque sia non meritava certo di morire ammazzata. 

Quello che però va contestata, almeno se siamo antispecisti, è la narrazione stucchevole, fuorviante, mistificante che viene fatta della sua attività. 

Addirittura sono state fatte vignette in cui si mostrano le capre piangenti vicino a un pezzo di formaggio o le capre felici attorno alla figura disegnata di Agitu. La vignetta è dell'artista che si fa chiamare Roby il pettirosso e sulla sua pagina potrete vederla. È stata pubblicata anche sulla pagina GreenMe

Le capre non sono felici di essere sfruttate, soprattutto tenendo conto del fatto che per produrre il latte devono essere ingravidate di continuo e che poi in ogni allevamento di capre finalizzato a produrre latte e formaggi, i cuccioli maschi, gli agnellini, saranno inevitabilmente mandati al macello in quanto inutili per l'attività. 

Io non ce l'ho con Agitu, come già scrissi a suo tempo, anzi, il suo femminicidio mi colpì moltissimo e vorrei che non fosse mai accaduto. Ovviamente è con i media che me la prendo, i media che la dipingono come una benefattrice delle capre, quando lei le capre le allevava e usava per profitto, non certo per spirito animalista.

Le storie di donne che si riscattano da una vita di abusi, violenza e povertà, ma lo fanno sfruttando, usando (l'abuso è nell'uso!) e condannando al macello altri individui senzienti, non sono storie di riscatto, ma storie di dinamiche di potere del più forte sul più debole. Il potere è trasversale e anche persone che sono state vittime o che non hanno diritti possono a loro volta diventare oppressori. 

Agitu era una donna immigrata e in quanto donna immigrata ha lottato all'interno di un sistema feroce ed è diventata vittima di un uomo violento e maschilista, probabilmente frustrato e arrabbiato che una donna ce l'avesse fatta e incapace di accettare il suo successo. Ma in questo stesso sistema di logica di dominio sui più deboli, Agitu è stata a sua volta carnefice di esseri più deboli e incapaci di difendersi, cioè quelle capre che asseriva di amare, ma che usava per profitto. 

So che lo specismo, ideologia invisibile naturalizzata, normalizzata, legittimata, rende difficile capire che la vita degli altri animali ha un valore non minore di quello di noi animali umani, ma noi antispecisti abbiamo il dovere di dirlo, di opporci alla narrazione mediatica che faceva di lei "la regina delle capre felici" e soprattutto di raccontare le menzogne sugli allevamenti etici. 

Non esistono allevamenti etici, non c'è proprio modo di rispettare qualcuno allevato per profitto.


*Qualcuno ha chiesto: dunque meritava di morire? Penso che porre una domanda simile significhi essere incapace di leggere un testo, di elaborare un pensiero, in poche parole, o si fa una domanda del genere al solo scopo di provocare, oppure si è analfabeti funzionali. 

Comunque rispondo: no, non meritava certo di morire. Nessuna merita di morire ammazzato. Ma la cosa scomoda da dire è che non era una benefattrice delle capre, ma un'imprenditrice che sfruttava gli animali. 

Qualcun altro ha obiettato che non era il momento di stare a rimarcare lo specismo. E invece lo è perché i media hanno colto l'occasione per raccontare la solita menzogna dell'allevamento felice e stupidaggini simili e queste menzogne vanno combattute perché le capre meritano rispetto quanto una donna uccisa.

Quindi, chi ha mancato di rispetto ad Agitu non è stato qualche antispecista che ha ricordato cosa significhi realmente allevare capre, ma i media che hanno strumentalizzato la sua morte per fare l'elogio dell'allevamento felice (che non esiste!).

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