domenica 6 agosto 2023

Quando il linguaggio esprime il rapporto tra oppressi e oppressori

 Prendo spunto dalla bagarre che si è scatenata in questi giorni sull'utilizzo di un linguaggio abilista da parte di Concita De Gregorio - che non approvo - per ribadire quanto sia importante prestare attenzione a tutte quelle espressioni comuni e a quei termini che, senza che ce ne rendiamo conto (o a volte anche rendendocene conto e fregandocene) rafforzano luoghi comuni falsi su individui appartenenti a determinate categorie o minoranze, così dandoli per scontati, come se appunto fossero esatti.

Pensiamo per esempio agli animali, alla leggerezza con cui si dà del "maiale" a qualcuno per definirne comportamenti riprovevoli, peraltro tutti umani, oppure alla diffusa abitudine di dare a qualcuno della "capra" o dell'"asino" per sottolinearne la stupidità o l'ignoranza, o anche di dare della "pecora" o "pecorone" per indicare assenza di capacità critica. Queste espressioni non fanno che confermare quello che già pensiamo (che molti di noi pensano) sugli animali, ovvero pregiudizi, nient'altro che pregiudizi.
E i pregiudizi contribuiscono a minimizzare nella nostra coscienza e giudizio morale l'entità dei danni che gli animali subiscono a causa dei nostri comportamenti, direttamente o sostenendo tutte quelle pratiche di sfruttamento di cui sono vittime.
Le definizioni linguistiche contribuiscono a creare gerarchie ontologiche, inaspriscono divisioni e discriminazioni, rafforzano e normalizzano oppressioni.
Il linguaggio è da sempre l'arma del potere perché definisce il rapporto tra dominanti e dominati.

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