giovedì 30 maggio 2013

Breve degustazione di antispecismo debole




"Attenzione: poco importa se il capitalismo si sia sviluppato, effettivamente, come sfruttamento di uomini e animali insieme, o che "caput", radice di "capitalismo" si riferisca a "capo di bestiame". La genealogia dei problemi non coincide con la loro soluzione (questa è una fallacia grave): dunque, anche ammesso che tutto il discorso fatto nel paragrafo "Coscienti del sociale della storia umana", sia vero, non vuol dire che i due sfruttamenti nati insieme debbano cessare insieme o, più chiaramente, che la fine di uno sfruttamento implichi la fine di un altro sfruttamento. Ancora una volta sono costretto a precisare, affinché a queste pagine non seguano inutili controargomentazioni che non colgano il punto: non è che sia sbagliato o impossibile che la liberazione animale implichi quella umana; il fatto è che esistono altre possibilità equivalenti, che impongono di non dare per certo qualcosa su cui abbiamo delle semplici intuizioni non confermate.
Ma c'è di più, e la mia critica a questo modo di fare attivismo per gli animali non si ferma a constatarne l'incertezza. La mia critica più radicale è che non sia più attivismo per gli animali! Se un movimento animalista comincia a coinvolgere altri soggetti politici, perché la loro battaglia per i diritti umani è possibile solo se partecipano anche a quella per i diritti animali, sta facendo, davvero, un gioco molto sporco. E non tanto perché vende l'incerto per il certo, passi pure che non si è mai ragionato su quanto ho scritto in queste pagine, ma perché sia un pessimo argomento indiretto." (pag. 61)

"Un nuovo antispecismo deve avere la consapevolezza politica di un errore sistemico, e la padronanza morale delle devianze del singolo su cui, se possiamo, dobbiamo immediatamente agire." (pag. 72)

"C'è inoltre un ulteriore aspetto, più prettamente filosofico. Abbiamo un dato certo che riguarda gli animali non umani: sono sfruttati a miliardi per i nostri bisogni e capricci. Ne mangiamo le carni, ne beviamo il latte che spetterebbe ai cuccioli, li usiamo per la nostra scienza sperimentando sui loro corpi vivi e ci divertiamo addestrandoli a fare attività contronatura. Il detto "Del maiale, non si butta via nulla" è, piaccia o no, quanto di più vero si possa affermare. Ci sono numerose strade per opporsi a questo stato di cose, e molte le abbiamo viste in queste pagine. Alcune cercano di evidenziare le connessioni tra questo sfruttamento e altre forme di discriminazione; altre prescrivono un'idea di società giusta per mostrare quanto la nostra ne sia lontana. La "debolezza" di questo antispecismo è tale perché, pur rispettando tali modi di procedere, si limita a un compito più umile: agire nell'immediato per la liberazione animale attraverso qualsiasi strumento ci sia concesso. Non è ingenuità, tutti sappiamo che la società non è un insieme di singoli, ma un insieme di strutture e che la nostra possibilità di cambiare qualcosa passa dai vertici, e non dai componenti della società.
Qui abbandono, infatti, le vesti del filosofo per vestire quelle dell'attivista. Quando ci troviamo di fronte al volto animale, che soffre a causa del sistema che abbiamo creato, dobbiamo fare tutto il possibile per liberarlo, se l'animalismo ha un senso: questa liberazione è prioritaria." (pag. 76)

Da Il maiale non fa la rivoluzione. Manifesto per un antispecismo debole di
Leonardo Caffo.

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Aggiungo una brevissima riflessione: secondo gli antispecisti politici il fatto che sfruttamento animale e sfruttamento umano abbiano un'origine comune è condizione logica per credere che necessariamente le due battaglie debbano procedere insieme e quindi è convinzione di alcuni di loro che l'attuale attivismo (compreso quello di ultima generazione, che si è molto evoluto rispetto a quello dagli anni settanta in poi e che comprende ormai vere e proprie azioni di disobbedienza civile, liberazioni a volto scoperto, flash mob improvvisati, insomma, una pluralità di eventi volti a gettare uno sguardo inedito sul reale che possa scardinare l'ovvio e ciò che si dà per scontato, come appunto l'istituzionalizzazione della violenza sugli animali) sia inutile perché ciò che si dovrebbe prima fare è decostruire l'attuale sistema del dominio che schiavizza anche gli umani, quindi liberare prima gli umani, diciamo emanciparli, affinché, una volta liberati e liberi, si creino le condizioni e i presupposti opportuni per liberare anche gli animali. O anche fare contestualmente le due cose insieme, ove possibile e ove la connessione lo permetta, su questo ecco, già mi trovo molto più d'accordo, ferma restando, per me, la priorità della liberazione animale. Ma, a parte che non abbiamo nessuna sicurezza che gli umani "liberati" poi debbano o possano interessarsi anche alle sorti degli animali (potrebbe darsi benissimo una società di fondamentale benessere per tutti, senza più sperequazioni sociali ecc., in cui però gli animali continuino ad essere sfruttati), in più, la fallacia grave, come scrive Leonardo Caffo, è credere che problemi con un'origine comune possano anche avere una soluzione comune; al contrario, l'esperienza ci insegna che il mondo e la realtà non funzionano secondo la logica di causa-effetto, quella logica che noi spesse volte attribuiamo solo a posteriori per rendere più intellegibili i fatti (e che, peraltro, è tipica della forma mentis prodotta dalla cultura occidentale). Il fatto che un evento abbia prodotto delle conseguenze, non significa, come logica vorrebbe, che risalendo alle origini di quell'evento, scompaiano automaticamente anche gli effetti e questo perché nel frattempo quegli effetti ne hanno prodotti molti altri su cui è impossibile interagire del tutto. Meglio allora partire dalla constatazione dello stato di fatto delle cose attuali e lì intervenire con ogni mezzo che abbiamo a disposizione e che riteniamo utile. Ovviamente per "ogni mezzo che abbiamo a disposizione" si intende sempre l'azione nonviolenta, quindi la disobbedienza civile, l'educazione al rispetto dell'altro e la diffusione di "un antispecismo come fenomeno primariamente morale che deve ripartire, a prescindere da indirette implicazioni, dalla sofferenza e dalla morte degli animali". 

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