mercoledì 16 aprile 2014

Quando si parla di liberazioni


Articolo pubblicato sul n.8/2013 di Veganzetta


Quando si parla di liberazioni, immediatamente viene in mente l’azione diretta volta a sottrarre gli Animali dai tanti Lager in cui sono rinchiusi, salvandoli così da una (non)esistenza in gabbia trascorsa tra privazioni e maltrattamenti, nell’attesa dell’uccisione per essere trasformati in “prodotti”.
Sono tante le maniere in cui si può mettere in atto una liberazione di questo tipo, ed è importante distinguerne le diverse modalità – principalmente a volto scoperto o coperto – poiché ognuna risponde a strategie diverse e mira a raggiungere obiettivi specifici; soddisfando, sempre, la finalità precipua di restituire agli Animali la dignità ed esistenza di cui sono stati privati, talvolta alcune liberazioni riescono a trascendere la contingenza dell’atto stesso, inserendosi e configurandosi entro una più complessa prospettiva d’azione a lungo termine. In questo modo una liberazione non mira “soltanto” (le virgolette sono d’obbligo perché quando si parla di salvare una vita non è mai un “soltanto” ed è sempre un gesto di incalcolabile valore: di fatto il valore di una vita non è misurabile) a salvare alcune vite, ma apre scenari inediti di una diversa considerazione dell’Animale, per un momento sottratto alla finzione di una realtà che solo lo reifica e degrada, per restituirgli la sua preziosa, unica individualità. 
Fondamentale per azioni di questo tipo è che gli attivisti, consapevoli di infrangere la legge – e la infrangono proprio per mostrare l’enorme distanza che c’è tra legge e giustizia – rischiano un processo civile e penale che, a prescindere dalle sorti giudiziarie, potrebbe mettere in evidenza le aporie del nostro sistema giudiziario (e sociale) di fronte a un più alto ideale di giustizia; così come che essi rigettino l’uso della violenza in quanto se, come sosteneva Gandhi, non è il fine che giustifica i mezzi, ma sono i mezzi ad indicare il fine, sarebbe paradossale opporsi alla logica del dominio, oppressione e sopraffazione avvalendosi degli stessi mezzi di coercizione e forza che usa il Potere.
Abissale è infatti la differenza tra chi infrange la legge per motivazioni personali, e quindi egoistiche, e chi la infrange per compiere un gesto totalmente altruistico: mirato a restituire libertà a creature offese e imprigionate nei tanti Lager e al contempo a veicolare, tramite proprio la breccia praticata in un muro che si pensava inscalfibile, quello spiraglio che apre su una diversa concezione del vivente, come si è detto in precedenza.
A tal proposito val la pena citare i due eventi di cui si è tanto discusso nel nostro Paese (portati come esempio anche all’estero) e che di fatto hanno contribuito a far avanzare il dibattito sulla liceità o meno della sperimentazione animale, sottoponendolo a un’opinione pubblica che forse altrimenti non si sarebbe interrogata sulla questione. Ci si riferisce alla liberazione dei Cani da Green Hill (28 aprile 2012) – azione certamente nella maggior parte dei casi spontanea e non premeditata, ma comunque esito di una campagna che, sebbene partita dal basso, ha saputo poi porsi all’attenzione dei media guadagnandoci di visibilità e di una partecipazione sempre più numerosa – e all’occupazione dello stabulario dell’Istituto di Farmacologia dell’Università di Milano (20 marzo 2013, praticamente un anno dopo) – organizzata e realizzata dagli attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill – che ha permesso la liberazione di diversi Conigli e Ratti, poi dati regolarmente in adozione.
Azioni di questo tipo indiscutibilmente finiscono con l’assumere un valore innanzitutto simbolico e civile che trascende il buon esito stesso dell’azione, ma hanno anche un loro contraltare di cui è necessario tener conto: sapendo di essere identificati ci si deve in primo luogo assicurare che gli Animali liberati non vengano restituiti ai proprietari originari (ricordiamo che per il nostro ordinamento essi non sono individui, ma res), procedendo a un regolare riscatto o comunque portandoli in un luogo sicuro in cui possa esser loro assicurata un’adeguata sistemazione. Importante è che al primo posto si metta quindi la salvaguardia dell’incolumità degli Animali. Proprio per soddisfare queste necessità, le liberazioni a volto scoperto non possono che riguardare un numero limitato di esemplari e solo alcune specie.
Al contrario, le liberazioni a volto coperto, procedendo nell’anonimato, permettono di liberare anche individui appartenenti a specie selvatiche, come i Visoni, non soggette quindi alla trafila delle adozioni regolamentari. Ma anche in questo caso c’è un contraltare di cui tener conto: generalmente questo tipo di azione diretta mira ad aprire le gabbie e lasciare gli Animali liberi in natura, con il rischio che essi, incapaci di adattarsi alla vita selvatica, vengano ricatturati, muoiano di stenti o finiscano sotto le auto. Per questo motivo spesso l’opinione pubblica non riesce a cogliere il valore – comunque immenso – di questo tipo di liberazioni, anche se non è difficile credere che qualsiasi individuo – quale sia la specie cui appartiene – preferisca sempre e comunque sperimentare l’ebbrezza di una libertà ritrovata anziché finire scuoiato, gassato o comunque ucciso per mano del suo aguzzino. Azioni di questo tipo hanno forse un minor impatto mediatico (i media spesso non ne parlano anche per timore dell’emulazione), ma mirano principalmente a donare libertà immediata agli Animali – che, ricordiamo, sarebbero comunque uccisi di lì a poco e in maniera sempre cruenta – e ad arrecare danni economici a chi specula sulla loro pelle.

In ultimo, ma non da ultimo, val la pena ricordare che tante altre sono le maniere di liberare gli Animali, non necessariamente ponendosi contro la legge o compiendo azioni eclatanti.
Sarebbe sciocco sottovalutare infatti il valore di quei piccoli grandi gesti che restituiscono la libertà o riscattano gli Animali da una vita di privazioni e stenti: venire in soccorso di una Farfalla che è rimasta intrappolata in una stanza e sbatte ripetutamente le ali contro il vetro di una finestra chiusa, permettendole di riprendere il volo, è una liberazione.
Adottare un Cane anziano da un canile, dove ha trascorso quasi l’intera esistenza, donandogli finalmente il calore di una famiglia e la possibilità di correre su un prato è anch’essa una liberazione.
Mettere in salvo una Chiocciolina che sta attraversando la strada, a rischio di essere calpestata, posizionandola in un luogo più sicuro, è anch’essa una maniera di liberare un Animale, questa volta agendo preventivamente.
Infine, accorrere ovunque vi sia un richiamo di aiuto di un Animale è anch’essa una maniera di agire per la liberazione, il solo unico gesto che potrebbe liberare anche noi stessi da quel pregiudizio antropocentrico che ci porta a considerare di minor valore le vite degli Animali non umani. Sono tutti gesti che in qualche modo sottraggono l’Animale all’indebita riduzione, falsificazione e astrazione di cui culturalmente è stato ed è fatto oggetto per porlo sotto una nuova e diversa luce, in quanto individuo singolo – soggetto di una vita – e non più risorsa rinnovabile, res, “animale da reddito” o “da compagnia” che sia.

Ogni nostro gesto, per quanto semplice, può farsi testimonianza di una società liberata a venire, e questo è non solo l’insegnamento ultimo della disobbedienza civile, ma anche la sola possibilità che abbiamo per sottrarci al ruolo che la società vorrebbe già definito per noi, e per farci invece individui a pieno titolo in mezzo ai tanti individui delle tante altre specie che si trovano a condividere il pianeta assieme a noi; in un rapporto finalmente paritario e non più di prevaricazione e assoggettamento.


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