giovedì 23 aprile 2015

"Arbeit macht frei"

Ho notato che una delle frasi più comuni che ci dice la gente quando manifestiamo contro lo sfruttamento degli animali è: "andate a lavorare" e anche "noi paghiamo le tasse".
Questo perché da secoli ci hanno inculcato il mito del lavoro come attività che nobilita l'uomo - mito disceso dalla morale calvinista che individua nell'espressione della fortuna lavorativa e del successo materiale che dà abbondanza di frutti il segno di riconoscimento della grazia divina - e che lo distoglie da una vita di ozio, portatrice di vizi.
In effetti è facile immaginare come condurre una vita di duro lavoro possa distrarre da qualsiasi altra attività dello spirito e spegnere il fuoco della creatività e della riflessione critica. A tal proposito consiglio un romanzo, veramente molto bello, che in parte affronta questo discorso e che è Martin Eden di Jack London.
Al Potere fa comodo avere masse di persone talmente abbrutite dalla durezza del lavoro materiale (salariale, quando parlo di lavoro io parlo sempre del lavoro come dipendente in cui a fronte di otto, dieci, dodici ore di attività corrisponde una paga che a malapena basta per mangiare) da non avere la forza di impegnarsi in altro. 
Così come fa comodo creare falsi bisogni per costringerle a lavorare al fine di acquistare beni materiali, in realtà del tutto superflui. 
Il sistema crea i bisogni (falsi) e poi ti asservisce ai meccanismi che fanno girare le logiche di mercato. 
Persone che trovano il tempo di mettere in discussione tutto ciò e che scendono in piazza per cercare di instillare un minimo di capacità critica negli altri vengono viste come fannullone, come gente che non ha niente da fare, che anziché piegarsi ed eseguire ordini da bravi soldatini si ribellano a quello che essi (essi, cioè chi ci definisce fannulloni) credono essere un ordine costituito naturale, ma che in realtà è solo un prodotto storico-sociale. 

6 commenti:

Massimo ha detto...

Il lavoro ormai è una droga sia che ce l'hai, sia che latiti. Ci hanno fottuto, con questa cosa del lavoro. Per tirarsene fuori ci vuole tanto coraggio e consapevolezza

Sara ha detto...

Io ho fatto una tesi di laurea su un filosofo medievale, un agostiniano rigorosissimo, il quale diceva che dedicarsi troppo al lavoro, casomai allontana dalla virtu'.

Anonimo ha detto...

Io ci penso tutti i giorni a questa cosa del lavoro come schiaviutù, o perlomeno come automatismo di cui si dà per scontata la necessità, che ci fa sentire spogli e inutili se manca. Lavoro come alienazione globale, sia per chi sta in fabbrica, sia per chi fa il fighetto in giacca e cravatta. Lavoro come mancata occasione di star vicini a se stessi, conoscersi, conoserce gli altri. Vivere e viversi per quel che si è, coltivare il proprio animo.

Sosto su posizioni assai critiche al riguardo - cioè, non condivido e mi fa orrore il modello imperante - però mi sento anche solo in questo, il che mi lascia un po' spaesato e non mi aiuta. O magari un po' di ragione sta anche di là.

Certo, non vorremmo che nel mezzo di un'operazione un chirurgo si alzasse per dire - oggi ho già lavorato troppo, andrò a leggere poesie sotto a un albero.

Martin Eden tra i romanzi che voglio leggere.

Rita ha detto...

Di Jack London è bellissimo anche Il popolo dell'abisso.

Giovanni ha detto...

Martin Eden è un romanzo forte e tenace, come il suo protagonista e il suo autore... ed è bellissimo, avvincente da leggere. fa riflettere su molte cose, legate al lavoro ma anche ai pregiudizi sociali

Anonimo ha detto...

post che mi trova d'accordo, vorrei aggiungere che non credo più alle tesi weberiane (o meglio: alla loro divulgazione spiccia ed idealistica ) sul calvinismo ecc ecc

L'idea che mi sono fatto è che se nel processo sociale di produzione della ricchezza sociale insorge la necessità di risoluzione di una qualche criticità, a quel punto una idea, una teoria, (religiosa, filosofica, politica ) sorge puntualmente a supportarla, significarla e legittimarla.

Concordo anche sul lavoro individuato storicamente come salariato, sottolineando che "salariato" non ha alcun contenuto "sindacale" ma sta ad indicare chi presta le proprie capacità psico-fisiche (distinzione puramente formale) per necessità.

Poi all' interno di una analisi più speficatamente economica "lavoro salariato" assume anche altre determinazioni ma non servono ai fini del giudizio valutativo di "lavoro salariato" in quanto maledizione sociale

da