martedì 17 gennaio 2017

25 grammi di felicità di Massimo Vacchetta con Antonella Tomaselli


Le persone non cambiano, si rivelano.
(David Lynch - Inland Empire)


Non ricordo dove, ma devo averne intravisto da qualche parte la copertina ed essendo un libro che parla di animali - di ricci, per la precisione (ma non solo!) -, non poteva non catturare la mia attenzione. Poi giorni fa la recensione entusiasta dell'amico Giovanni e così non mi è rimasto che correre in libreria a prenderlo (peraltro giusto in tempo, ne era rimasta solo una copia).

"Quella riccetta spettinata è capitata tra i miei piedi che vagavano in cerca di una direzione tre anni fa. Era il momento giusto, perché penso che una strada la persegui e la consideri solo se sei pronto. Ninna ha attivato talmente tanti cambiamenti che mi sembra siano intercorsi dei secoli da quel mese di maggio a ora. Prima di tutto sono cambiato io. No, a pensarci bene non è proprio così: più che cambiato, mi sono ritrovato. Ho ritrovato quella parte di me che se ne stava lì repressa e ben nascosta. Che aspettava Ninna a farla esplodere".

Massimo Vacchetta è un veterinario che si occupa(va) di bovini (nomen omen? Vedremo...), per la precisione di far nascere i vitelli. Questa è un'informazione che viene data nella quarta di copertina e di cui si parla in maniera aneddotica in uno dei primi capitolo del libro. Quando parliamo di bovini inevitabilmente parliamo di animali che vengono al mondo per diventare prodotti da vendersi a pezzi sui banchi del supermercato e questa, per me che sono una lettrice attenta, ma anche un'attivista per i diritti animali, suonava come una nota stonata. Molto stonata. Talmente stonata che mi era venuta voglia di abbandonare la lettura. Però le prime pagine in cui si racconta dell'incontro con la piccola Ninna avevano anche rivelato una sensibilità fuori dall'ordinario e quindi mi son detta: chissà, andiamo avanti, magari più in là si chiariranno i miei dubbi su come si possano dedicare tante energie e cure per salvare alcune animaletti e continuare a svolgere un lavoro che ne manda al macello altri. 

Non mi sbagliavo. Il brano che ho riportato sopra ne è la conferma. Io non so con certezza se Massimo Vacchetta abbia del tutto abbandondato il suo lavoro con gli allevamenti, ma penso proprio di sì perché poi, quasi alla fine del libro, dice che dedica ogni momento del suo tempo ed energia ad occuparsi del Centro di Recupero Ricci La Ninna (la realizzazione del suo sogno nato dopo l'incontro con la riccetta) e poi per ben due volte parla di cibo vegano, lasciando intendere che abbia fatto questa scelta consapevole di rispetto per gli animali. 
Ora, sia chiaro, un libro e una bella storia si possono gustare e possono restar tali anche senza che si condividano le scelte dell'autore, però in questo caso non parliamo di un libro di finzione, ma di una storia vera che appunto parla di animali, di rispetto della loro individualità, di empatia, di amore, del loro essere creature indifese quasi sempre esposte alla crudeltà o indifferenza (nel migliore dei casi) della nostra specie e quindi il fatto che nello stesso testo l'autore parlasse di allevamenti e bovini risultava proprio come evidente dissociazione cognitiva. Da qui il mio fastidio iniziale nel proseguire. 
Ma veniamo alla storia di Ninna, del Centro di Recupero e degli altri ospiti di cui si racconta in 25 grammi di felicità.
Il libro è stato scritto da Antonella Tomaselli, man mano che Massimo Vacchetta si confidava e le raccontava tutti i suoi dubbi, le sue paure, le difficoltà, ma anche i momenti di immensa soddisfazione dal giorno dell'incontro con Ninna, questa piccola riccetta che pesava solo 25 grammi e che dietro le sue cure scrupolose è riuscita a sopravvivere. 
Nelle pagine di 25 grammi di felicità si narra dell'attaccamento e l'affetto per Ninna e degli altri riccetti che la seguiranno - così come della difficoltà nel compiere la scelta dolorosa, ma necessaria, di rimetterla in natura - ed è pieno di aneddoti toccanti e a volte strazianti - come quello di Salvo, che non ce l'ha fatta, o della piccola Carolina e sua madre - ma soprattutto è la testimonianza di un cambiamento, o forse, per usare le parole dello stesso Massimo, dovremmo dire di un ritrovamento. 
"Le persone non cambiano, si rivelano", fa dire il regista David Lynch alla protagonista del suo film Inland Empire, e infatti Massimo si mette a nudo senza filtri e senza remore, ammettendo di aver fatto l'abitudine, nel tempo, al dolore degli animali e di sentirsi in crisi esistenziale. Una di quelle crisi che arrivano quando si avverte di essersi allontanati da sé stessi, di aver fatto delle scelte che non corrispondono in pieno al nostro io più profondo. Così che rimettersi in gioco, scombinare le carte, più che a un cambiamento, equivale a un ricongiungimento con quella parte di sé da cui ci eravamo allontanati. In fondo chi sceglie la professione di veterinario lo fa - o almeno così dovrebbe essere - perché ama gli animali e vorrebbe aiutarli, ma il percorso di formazione che si intraprende per svolgere questa professione è pur sempre il frutto di una società specista e antropocentrica in cui gli animali vengono suddivisi in animali d'affezione e animali da reddito e in cui più che al loro benessere si pensa all'igiene e al mantenere al sicuro gli umani da eventuali malattie. Chi si occupa di diritti animali conosce bene le tante contraddizioni celate dietro l'etichetta "benessere animale" per quanto riguarda quegli individui costretti a nascere per diventare bistecche - anche detti, banalmente, animali da reddito (la solita banalità del male che incontriamo tanto volte nel corso della nostra esistenza e che ha contraddistinto la storia della nostra specie, tra guerre e genocidi) -, contraddizioni implicite in un sistema giuridico che da una parte ne riconosce la senzienza e la capacità di soffrire, gioire, provare emozioni e dall'altra continua a considerari res, cose, risorse rinnovabili. Prodotti. 
Io penso che Massimo si fosse perso in questa selva oscura di contraddizioni, ma che la sua sensibilità fosse rimasta sempre lì, sotto alla pelle, a bollire come materia incandescente che, per quanto raffreddata in superficie da uno scudo di protezione che le sue scelte lavorative lo avevano costretto a indossare, prima o poi sarebbe nuovamente esplosa. E così è stato, infatti. L'incontro con Ninna è stato fatale. Ninna è stata un po' come una guida, una specie di Beatrice che ha riportato Massimo/Dante al di fuori della selva oscura della sua profonda crisi esistenziale. A riveder le stelle, o meglio, a saper di nuovo rivedere l'incommensurabile bellezza dell'unicità e singolarità di ogni individuo, anche il più piccolo, che abita con noi il pianeta terra. 
"Del resto cos'è un riccio rispetto al mondo? Un puntino molto molto piccolo? 
Be', se cambiamo il punto di vista, ugualmente potrei chiedere: cos'è il mondo in confronto alla nostra galassia? Un puntino molto, molto piccolo...
E la nostra galassia, rispetto all'universo osservabile? Un puntino molto molto piccolo...
Dunque è solo la nostra prospettiva che, avviluppata nelle realtà limitate che ci appartengono, rende tutto più o meno rilevante?"

25 grammi di felicità è anche la storia della realizzazione di un sogno. E la dimostrazione che nulla, o quasi, è impossibile quando a muovere le nostre scelte è l'amore e la compassione, ossia la capacità di mettersi in sintonia con chi abbiamo davanti, di vederlo, di diventare l'altro, di sentire - o, ancora, "ritrovare" sé stessi - nell'altro. Così Massimo ha dato vita a un Centro di Recupero Ricci che ha lo scopo di curare e rimettere in salute i tanti riccetti trovati feriti o troppo piccoli che le persone gli portano e di rimetterli in libertà una volta guariti o cresciuti. I ricci sono animali selvatici e possono essere felici e in grado di esprimere le loro caratteristiche etologiche solo se liberi in natura. Ci sono poi degli individui purtroppo disabili che rimangono ospiti del centro perché in natura non sopravviverebbero. 
25 grammi di felicità è anche un testo che sensibilizza le persone e le aiuta a capire meglio questi animaletti così poco conosciuti e insieme una prima guida pratica di soccorso in caso di ritrovamento di un individuo ferito. Dove portarli, cosa fare, capire se prenderli o meno. Ad esempio io non sapevo dell'importanza del loro peso prima del letargo: se si trova un riccetto piccolo in autunno bisogna pesarlo perché in caso di peso inferiore ai 650 grammi non riuscirà a sopravvivere al letargo e quindi bisogna portarlo in un centro di recupero. È importante altresì capire cosa e come dargli da mangiare in caso di necessità di prime cure, riconoscere se è disidratato, se presenta sintomi allarmanti. A tutti noi può capitare di trovare un riccio che ha bisogno di cure in mezzo alla strada o nel nostro giardino e così come ci fermeremmo o soccorerremo un essere umano in difficoltà, dovremmo fare con lui. 25 grammi di felicità infatti sensibilizza anche su questo tema così tanto discusso: molti pensano che non si debba intervenire in natura perché "è la natura e bisogna accettarla". Salvo poi sterminare intere specie o distruggere foreste per profitto e divertimento. 
La natura è bella, ma anche piena di sofferenza. Purtroppo la predazione è necessità per alcune specie e non possiamo farci nulla, ma se un animale selvatico viene investito da un auto o è orfano e ha bisogno di cure, abbiamo il dovere morale di intervenire così come interverremmo per una persona o per un cane o un gatto. 
Interveniamo continuamente per fini distruttivi, che almeno una volta tanto lo si faccia per fini compassionevoli, ossia riconoscendo noi stessi e la paura che proveremmo se fossimo al suo posto, nell'altro ferito o smarrito. 
25 grammi di felicità merita di essere letto perché, oltre al fatto che è una lettura molto scorrevole, toccante e divertente, ci dice tantissime altre cose su noi, sugli altri animali e ci fa riflettere su come siamo e su come potremmo essere. Solo cambiando prospettiva. Solo mettendoci al posto di un piccolo riccetto, così come di qualsiasi altra creatura che ha tutto il diritto di vivere in pace su questo pianeta. 
Infine vorrei esortare a visitare la pagina FB del Centro Recupero Ricci La Ninna e ovviamente a sostenerlo. 

P.S.: il libro è corredato da splendide foto della Ninna e degli altri ospiti che sono stati curati da Massimo e che sono tutt'ora al centro poiché disabili.  

4 commenti:

Giovanni ha detto...

Hai fatto emergere tantissimi particolari e punti molto importanti che io avevoi senplicemente letto e avevo lasciato sullo sfondo. Secondo me hai colto un punto molto speciale: che può bastare un piccolo incontro per cambiare vita.

Che poi, giustamente, è un ritrovrsi, il liberare finalmente una parte vitale che invece tutti tendiamo a reprimere. Mi piace Massimo perché è cosciente delle sue paure e limiti, ma non se ne lascia incastrare.
Credo anche che sianmo molto importanti le persone che abbiamo in sorte di incontrare - in qualsiasi modo arrivino fino a noi.

Non vedo l'ora di sentire che cosa Massimo ci risponderà, Rita .

Rita ha detto...

Sì, esatto, per me il tema dell'incontro e del ritrovarsi o trovarsi è sempre stato molto importante, per questo lo noto sempre quando accade.
Poi in fondo a me è successa un po' la stessa cosa, quando ho deciso di diventare vegana e poi attivista è stato come un ritrovare quella parte di me che mi è sempre appartenuta perché amo gli animali sin da quando sono bambina solo che poi crescendo avevo dimenticato... e credo che accada a molti.

Giovanni ha detto...

Sai che a pensarci bene, è la stessa cosa cosa che sento essere capitata anche a me? Solo che, forse, non l'ho mai saputa raccontare bene come fai tu. Ricordo bene però quando da ragazzino 'decisi' di smettere - ad esempio - di mangiare certe cose quando scoprii la realtà e ricordo che mi sembrò l'unica cosa possibile da fare, la più ovvia e naturale, non si può nemmeno parlare di 'scelta', perché uno non 'sceglie' se respirare oppure no (non so se rendo l'idea). Capita a molti il ritrovarsi? Oppure intendi il dimenticare le sensazioni del ritrovamento? oppure il dimenticare come si era prima? (qui operò temo che usciremmo dal lìargomento delpost)

Rita ha detto...

Io penso che tutti crescendo subiamo certi input del sistema e della cultura in cui viviamo. Per esempio, se da bambini amiamo gli animali, poi però ci abituiamo a mangiarli perché introiettiamo la "normalità" del carnismo e così dimentichiamo quell'amore, soffochiamo l'empatia, la compassione. E lo stesso vale per i sogni, per le passioni, per quello che vorremmo fare, ma finiamo per non fare, abbracciando altre strade, altri percorsi di vita che sono un po' frutto del caso, un po' frutto delle scelte che la società o la famiglia ci dicono essere più sagge. Ma poi arriva sempre nella vita un momento di crisi, di dubbio, di domande e spesso finiamo per rimetterci in discussione cercando di aderire al nostro io più autentico. In questo senso ci ritroviamo.