lunedì 23 gennaio 2017

Dialoghi tra animali - settima parte




Ma ‘sti cazzi della salute, tanto dobbiamo tutti morire, io mangio quello che voglio. Un po’ di carne ogni tanto poi non fa male per niente. Mio nonno ha mangiato fiorentine fino a ottant’anni e non ha mai avuto un problema serio di salute. E poi questa fissazione con il cibo, niente glutine, tutto bio, solo vegetale, ma che stiamo diventando mammolette? 

No, no, siamo sempre i soliti sbruffoni di sempre che cercano di sentirsi forti prendendosela con i più deboli. 

Prego?

Seriamente? 

Seriamente.

Il cibo non c’entra niente. Il veganismo non è una questione di dieta. Il veganismo riguarda la questione animale. 
Lo so, lo so, tutto viene confuso perché oggi si parla della parte culinaria e perché improvvisamente è apparso questo nuovo termine nelle nostre vite e tutti si sono messi a fare aperitivi vegani, a vendere latte vegetale e via dicendo. Per cui sembra solo una delle tante tendenze dietetiche modaiole. Ti ricordi la dieta a punti della Weight Watchers che andava negli anni ’80? E poi la Dukan di qualche annetto fa? Ecco, ora c’è la dieta vegan, che, detta così, messa in mezzo alle tante proposte sugli scaffali dei supermercati e dei ristoranti, sembra appunto una maniera alternativa di mangiare seguita per lo più da chi vuole stare leggero, mangiare con pochi grassi o vuole essere di tendenza. 
Ma questa è solo la maniera in cui il mercato ha digerito e risputato il veganismo. Hai presente cosa è successo ai movimenti della controcultura del ’68? Alla fine, tranne la parentesi violenta delle Brigate Rosse, tutto si è risolto in un fatto di costume. Musica, moda, libri. Una maniera alternativa di vivere senza cambiare radicalmente la società. Sì, alcune cose sono cambiate. Le condizioni dei lavoratori e delle donne sono migliorate. Ma il problema dei diritti è che così come sono stati concessi si possono anche togliere. E infatti guarda adesso che fine ha fatto il mondo del lavoro. Negli anni novanta avresti potuto ritenere possibile che qualcuno proponesse a qualcun altro di lavorare per 4 euro all’ora (insomma, per l’equivalente di oggi di 4 euro)?

Hmmm, no, non credo, c’erano i sindacati e le leggi che garantivano il rispetto del minimo salariale.

E oggi invece succede, nessuno se ne stupisce e chi ha bisogno accetta.
E tutto ciò non è avvenuto dal giorno alla notte, altrimenti si sarebbe fatto casino, si sarebbe tutti scesi nelle piazze a protestare. Tutto ciò è successo con il sistema della rana bollita di cui parla Chomsky. In pratica il filosofo usa questa metafora per rappresentare la sottrazione graduale di tutta una serie di diritti che si danno per scontati fino ad arrivare al punto in cui ci troviamo fregati senza che abbiamo avuto il tempo di rendercene conto perché ci hanno abituato pian piano a tutta una nuova serie di cose. 

Sì, è vero. Abbiamo cominciato con i vari contratti a termine senza ferie e malattie e siamo arrivati nuovamente al licenziamento immotivato.

Prendi poi la questione femminile. Di fatto oggi nessuno oserebbe dichiararsi maschilista. A parole son tutti lì a dire che rispettano le donne. Ma nei fatti? Nei fatti il maschilismo è nel linguaggio, nel lavoro (come mai le segretarie sono sempre donne? Una mia amica si è trovata per due volte a collaborare con un gruppo di artisti per la realizzazione di un corto, unica donna in un gruppo di maschi e per due volte le hanno proposto il ruolo di segretaria di produzione. Perché? Perché è donna. Anche se artisticamente ha studiato come gli altri per diventare regista e anzi, ha anche già girato un documentario). 
Per non parlare della misoginia, del femminicidio e varie forme di violenza sulle donne che sono all’ordine del giorno, anche se a parole tutti sono antisessisti e antimaschilisti. Purtroppo non basta dichiararsi in un modo per diventarlo, bisogna invero lavorare sodo su se stessi per essere sicuri che non si pensi e non ci si comporti secondo pregiudizi culturali ed esercitando forme di discriminazione. Ultimamente ad esempio si è parlato molto dell’esistenza di gruppi chiusi su Facebook in cui gli iscritti, dopo aver postato foto di donne sottratte dai profili personali, incitano allo stupro virtuale, a commenti sessisti, a battute sessuali… ho letto cose che veramente mi hanno preoccupata perché non pensavo che ci fosse così tanto odio e ignoranza. Ecco, eppure quando si parla di questi argomenti quasi tutti ti dicono che il femminismo non ha più senso perché abbiamo raggiunto la parità dei diritti. 
E così è per la questione animale. Oggi nessuno che si ritiene una persona civile direbbe di essere a favore del maltrattamento animale, eppure tutti, nel proprio vivere quotidiano, mangiano animali e prodotti del loro sfruttamento, comprano cani nei negozi come fossero oggetti e si girano dall’altra parte se vedono un gatto investito agonizzante in mezzo alla strada e anzi, magari ci passano pure sopra per sfregio oppure evitano, ma solo perché gli si sporca la carrozzeria. 
Tutto questo avviene per due motivi: sicuramente quello principale è che siamo tutti vittime della cultura in cui siamo nati e cresciuti che ci ha trasmesso una certa idea degli altri animali e delle donne e fatto credere che fosse normale, naturale e necessario mangiare i primi e sessualizzare le seconde (ossia ridurle a meri oggetti sessuali o comunque considerarle adatte a svolgere e occupare solo determinati ruoli), ma c'è anche un discorso di potere e oppressione. Lo facciamo perché possiamo farlo - sostenuti dai numeri della maggioranza, dal finto valore della tradizione, dalla legge che garantisce sempre il mantenimento dei privilegi della classe o gruppo dominante e quindi dello status quo. 
L’errore, anzi, l'orrore nasce e prospera anche grazie al linguaggio, a partire dal linguaggio. L’errore/orrore è il politically correct, la neutralizzazione semantica, il linguaggio che plasma l’idea che abbiamo del mondo. 
Si pensa appunto che basti dichiararsi femministe per esserlo, che basti dichiararsi amante degli animali per esserlo, che basti dichiararsi pacifisti per invadere e depredare un paese senza sentirsi guerrafondai. 
Lo scollamento tra linguaggio e realtà è un problema. Così come tra virtuale e reale. Si pensa che i social siano una sorta di far west in cui poter scrivere impunemente di tutto senza assumersene la responsabilità. Mi viene in mente la bellissima serie Westworld, non so se l’hai vista, parla della creazione di un parco in cui umani molto ricchi possono fare qualsiasi cosa – cose come esprimere tutti i loro istinti più bassi – agli androidi che lo abitano. Sostenuti dal sollievo di non doversi assumersi responsabilità etiche perché, tanto, son soltanto androidi... 
Per questo ritengo che l’unica maniera per colmare il divario sia la concretezza dell’agire. I corpi. Dobbiamo tornare ad usare i corpi. I corpi sono l’unica risorsa che abbiamo per opporci alla fatuità del linguaggio e alla schizofrenia della dissociazione cognitiva che esso produce nel reale; un linguaggio che è sempre il linguaggio dell’oppressione.

Solo i loro corpi. Forse è di questi corpi che non dovremmo mai smettere di parlare. Documentandoli, fotografandoli, mostrandone l’abuso e il dominio che subiscono.
Sì, mi direte che ancora una volta non li stiamo lasciando in pace, questi altri animali, che forse vorrebbero morire senza essere fotografati, guardati, ripresi con telecamere. Eppure i lager nazisti sono stati sconfitti anche mostrando quelle atroci immagini di animali umani privati della loro libertà e così le battaglie contro la schiavitù hanno avuto bisogno di documenti, di immagini. 
La storia si fa con i documenti.
Ecco, non smettiamo mai di documentare. A fronte di qualsiasi discorso, di qualsiasi scontro, anche quando andiamo in tv, per favore, andiamo con i video, con le immagini e imponiamo i nostri montaggi, i nostri commenti.  Le immagini contano più delle parole. E queste immagini devono rappresentare i loro corpi. Di cui i nostri sono solo al servizio, come mezzo.
Per abbattere ogni stereotipo verbale. Perché il primo passo di ogni tipo di lotta è sempre questo: raccontare a tutti quanto sta accadendo, far conoscere, denunciare, divulgare, mostrare, narrare. 

Continua. 

Immagine di Andrea Festa.

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