martedì 23 aprile 2024

The Shield. La serie.

 

Mi sento orfana di una delle serie più belle di tutti i tempi, quella che forse meglio di tutte ha saputo raccontare senza fare sconti i caratteri complessi degli antieroi. Mi riferisco a The Shield, vista in ritardo di 20 anni, come al solito. 
Ti accorgi che una serie è scritta bene quando, una volta terminata, ti porti i personaggi nella vita reale e continui a chiederti come se la stiano cavando, cosa stiano facendo, se li rivedrai mai e quando, per quante cose sporche e immorali facciano, tu sei ancora lì a fare il tifo per loro e, se non a giustificare le loro scelte, quanto meno a comprenderle. 
Le sette stagioni di The Shield non solo non hanno mai un calo qualitativo, ma, cosa rarissima, direi forse unica, danno il loro massimo nelle ultime due fino ad arrivare a un finale perfetto in cui si chiudono tutti gli archi narrativi.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, vi dico in breve di cosa parla (ATTENZIONE SPOILER): ambientata in un distretto di Los Angeles chiamato Farmington, crocevia di una delle zone più malfamate della metropoli, lì dove si incontrano e scontrano le bande multirazziali dedite ai traffici di droga, armi, prostituzione e riciclaggio, la serie è incentrata sulle vicende di una squadra d'assalto composta da 4 persone e condotta dal detective Vic Mackey, un uomo corrotto ma con una sua etica e senso dell'onore, dedito alle famiglie, sia quella composta dalla moglie e i tre figli, di cui due autistici, che quella definita tale da lui stesso e composta dai membri della sua squadra. 
Attorno a lui si muove il resto dei detective del distretto, ognuno con le proprie capacità e ruolo lavorativo, Capitani, Sergenti, poliziotti di strada, membri della Commissione  interna che in teoria dovrebbe vigilare sull'operato del Distretto, agenti federali, uomini politici ambiziosi e protagonisti vari che occupano ruoli chiave nel mantenimento del sistema in lotta, ma più spesso in affari, e strumentalmente, con i vari pezzi grossi del crimine organizzato. 
La serie inizia in medias res mostrandoci la squadra e il distretto, nei suoi vari ruoli, in azione; non sappiamo e né lo sapremo mai quando e perché Vic e la sua squadra siano diventati corrotti, ma quel che si racconterà durante le sette stagioni è la discesa agli inferi di un legame sempre più malato e folle - tra loro, ma anche con il crimine - che li condurrà inevitabilmente verso il destino che meritano. Un destino che tuttavia, fino all'ultimo, continuiamo a sperare diverso. 
Uno dei momenti più belli è proprio la lettura di una lettera che Shane scriverà al distretto in cui dice qualcosa come: "Non so chi di noi fosse peggio, se Vic o io, ma quello che so è che ognuno di noi due tirava fuori il peggio dell'altro". 
La lettera riassume un po' il senso complessivo della serie: ci sono mondi e personaggi speculari a confronto: il distretto di polizia e il mondo del crimine; la squadra d'assalto corrotta e i detective che agiscono in modo moralmente ineccepibile; i papponi e le donne prostituite sfruttate; i poliziotti e le indagini degli interni; Vic e Shane e gli altri due della squadra, Lem e Ronnie; carnefici e vittime. 
Questi opposti, mondi e micromondi speculari, si combattono, ma anche strumentalmente si usano a vicenda per tornaconti personali, di squadra o per altre infinite ragioni. 
The Shield è infatti una serie senza speranza, amarissima perché nessuno ne esce pulito e persino i detective più specchiati moralmente commettono azioni discutibili e mostrano la loro ferocia e spietatezza anche proprio nel voler restare puliti e punire il crimine come se anche la via della morale fosse alla fine un mezzo per esprimere e sfogare odio, rabbia e frustrazioni o cercare il potere; il punto è che ognuno ha i propri demoni e sono proprio questi ad agire il più delle volte facendo ballare i loro burattini al ritmo di una danza macabra perché è il mondo, il sistema a essere marcio e oscuro e chiunque si muova e agisca al suo interno ha solo l'illusione di scegliere, ma in realtà non fa che adempiere, passo dopo passo, a un destino che non può che essere tragico. 
The Shield può essere infatti definita una tragedia moderna in cui gli eroi usano i mezzi a loro disposizione e agiscono secondo un ruolo specifico, ma senza avere mai contezza del disegno complessivo. Tutti tranne Vic, forse, che è l'unico che probabilmente quel disegno lo vede e lo tratteggia fino in fondo, perdendo tutto, ma non sé stesso perché anche tradendo rimane sé stesso fino all'ultimo, come un vero antieroe che realizza fino in fondo il suo destino e che nel farlo si piega, ma non si spezza essendo tutt'uno con il proprio destino: non individuo, ma uomo che si fa destino e per questo diviene (anti)eroe. 
The Shield è sporca anche nell'estetica, riprese sgranate, macchina da presa a mano, azione tanto spettacolare quanto sempre totalmente realistica e ancora parecchio attuale perché quando la scrittura è eccellente, regge il tempo che passa. 
Unica cosa per me negativa è la breve sigla musicale che arriva dopo i primi minuti di prologo di ogni episodio: assordante e fastidiosa, ma è questione di gusti. Ecco, per me la sigla peggiore nella storia delle serie tv per una serie tra le migliori nella storia delle serie tv. 
So che molti di voi l'avranno già vista, ma se non è così, fatevi un regalo. La trovate su Prime. 
Ah, considerate che una serie come Breaking Bad non sarebbe mai potuta esistere senza The Shield e che quest'ultima fa sembrare la prima come un cartone animato per bambini. 
C'è sessismo, specismo, ma anche sprazzi di umanità ed empatia come ad esempio non si vedono in tante serie patinate e apparentemente più politically correct. Bianchi, neri, ispanici, asiatici, donne, uomini sono solo attori che si contendono il potere a prescindere da etnia o sesso di appartenenza e per questo alcuni dialoghi brillano e risaltano maggiormente, proprio perché non risultano artefatti e frutto di una falsa solidarietà ed empatia, ma risuonano come autentica pietà e compassione, esempio quando Lem difende i galli da combattimento dicendo che sono creature innocenti, ma anche quando, all'opposto, il buon Wagenbach, uccide un gatto solo per cercare di capire quello che provano i serial killer. In una serie patinata e politically correct questa è un'azione che mai si sarebbe fatta mettere in scena da un personaggio tutto sommato positivo e questa è per l'appunto la cifra semantica dell'intera serie. 
Ultima cosa: da vedere assolutamente in lingua originale perché è multiculturale e quindi multilinguistica. Bellissimo anche il modo in cui Vic e gli altri fanno propri alcune espressioni e termini gergali, ma mai in modo colonialista, bensì di mimesi totale con i vari mondi sociali con cui entrano in contatto. 
Potrei parlarne per giorni, ma chiudo qui, sperando di avervi incuriosito abbastanza.

P.S.: l'aspetto meraviglioso di questa serie è che, sebbene i vari protagonisti sembrino, come detto, mossi da un destino più grande di loro, non risultano mai essere al pari di tessere intercambiabili, ma ognuno ha un proprio carattere unico e complesso e quindi risultano vivi, più vivi e realistici che mai, al punto che, come detto all'inizio, a serie terminata si ha come l'impressione che continuino a esistere nella realtà e vien quasi voglia di prendere l'aereo a andare a scovare il distretto di Farmington, ovunque si trovi ( non esiste, in realtà); una chicca: l'entrata principale del distretto dall'esterno si vede solo una volta, quando Vic ne esce ormai senza distintivo, quindi come elemento che finalmente può osservare al di fuori di sé, sebbene non smetta mai di indossare i panni del poliziotto che, per quanto con metodi discutibili, ha come obiettivo ultimissimo, perso tra gli altri legati alla propria sopravvivenza, quello di ridurre il crimine - non eliminare, impossibile perché congenito all'umanità e a un sistema corrotti - e questo lo si capisce benissimo nella scena conclusiva, per quanto aperta.

1 commento:

Ismaele ha detto...

sottoscrivo parola per parole, e anche le virgole :)