sabato 24 agosto 2013

Non c'è giustificazione




In questi giorni in cui sono stata a trovare Blake in clinica ho avuto modo di vedere diversi cani e gatti sofferenti, chiusi nelle loro gabbiette, con aghi della flebo inseriti nella vena, alcuni intubati, storditi dai farmaci, costretti all'immobilità. Un'immagine triste da vedere, tristissima, come lo sono le scene negli ospedali e in ogni altro luogo ove la malattia la fa da padrona. Più di ogni altra cosa però mi ha colpito lo sguardo di queste creature. Uno sguardo tristissimo, rassegnato, pieno di paura e dolore. Nei migliori dei casi, annoiato e stressato.
Non so se sappiano perché si trovano lì, lontani dal comfort del loro ambiente usuale e dalle attenzioni della loro famiglia umana e compagni di gioco, se ne hanno. Né gli è dato sapere quanto ancora dovranno restarci, intrappolati in un tempo immobile.
Eppure lo strazio dei loro corpicini colpiti dalla malattia in qualche modo è bilanciato e sostenuto emotivamente dal fatto che noi sappiamo che, se sono lì, è perché abbiamo deciso di curarli, perché stiamo facendo il possibile per rivederli di nuovo correre sani e liberi.
In qualche modo ci si sente quindi sollevati nel sapere che, nella migliore delle ipotesi, dopo qualche giorno, saranno dimessi e torneranno di nuovo a casa e, nella peggiore, seppure non guarissero, comunque avremo fatto tutto il possibile, tutto ciò che andava fatto. Qualsiasi cosa, l'avremo fatta per il loro bene.
C'è un'altra immagine che però in questi giorni ha continuato a sovrappormisi a quella dei piccoli pazienti in clinica, un'immagine ossessiva e devastante. Quella di tutti gli altri, innumerevoli altri senza nome, costretti a subire il martirio della vivisezione negli stabulari di tutto il mondo.
Vite spezzate, esistenze negate. Corpicini straziati da veleni, pelli tenere di cuccioli ustionate da sostanze chimiche, organi interni spappolati da dosi massicce di farmaci, arti frantumati, tumori inoculati artificialmente. Dolori inflitti, costrizione all’immobilità, stress, panico e, sopra a tutto, l’immensa sofferenza psicologica di chi, impotente, subisce senza poter avere la minima via di fuga, o di salvezza. In questi non-luoghi gli animali non si curano, si fanno ammalare. Da questi non-luoghi non si esce, se non come “rifiuti da smaltire”.
Ho incontrato, in questi giorni, lo sguardo dei piccoli ricoverati e ho potuto dir loro, sempre, una parola di conforto, una frase di esortazione a guarire, a tener duro, ché presto avrebbero visto di nuovo la luce del sole.
Mi domando: se mai entrassi in uno stabulario per la vivisezione, cosa potrei mai dir loro che non sia una bugia?

2 commenti:

stefania ha detto...

Difficile se non impossibile aggiungere un commento. C'è solo da leggere quanto esposto, in silenzio...lasciando che le immagini, attraverso le parole scritte, entrino nel cuore

Rita ha detto...

Speriamo che entrino nel cuore di chi ancora non si è mai posto la questione di questa enorme tragedia.

Grazie per il commento. ;-)