venerdì 20 ottobre 2017

The last pig


Perché The Last Pig è un ottimo documentario.

Lo è nella scelta del soggetto, intanto: raccontare la storia di un uomo, un allevatore di maiali, che un giorno realizza di non voler più avere il potere di decidere della vita e della morte di qualcun altro. Bob non ha il classico allevamento intensivo di migliaia di animali, ne gestisce uno piccolo, di poco più di duecento individui, trattati nel miglior modo possibile. Ma destinati comunque a diventare quella che il mercato chiama "carne felice". Bob si rende conto che questa carne di maiali felici non è poi così felice. Apre un blog e racconta i suoi dubbi. Qualcuno lo legge. La sua storia arriva alle orecchie di Allison Argo (documentarista attiva da oltre 25 anni e nota per le sue storie forti e i ritratti di animali oggetto di sfruttamento e in pericolo. Vincitrice di sei Emmy Award e di oltre cinquanta premi internazionali, ha prodotto, scritto e diretto film trasmessi da PBS e National Geographic) che da tempo aveva in mente di raccontare una storia sugli animali non umani "d'allevamento" e così lo contatta. Tra loro nasce un'intesa. Bob vuole che la sua storia sia raccontata, ma il tempo è poco, lui ha deciso che dopo l'ultimo gruppetto di maiali che sono ancora nella sua proprietà non ne prenderà altri e convertirà la sua attività in produzione di ortaggi. Si comincia a girare subito, senza soldi, poi verrà aperto un crowfunding cui ha contribuito l'associazione Essere Animali, la stessa che ne ha curato i sottotitoli in italiano e organizzato il primo tour nel nostro paese, di cui ieri la tappa romana. 
Lo è perché le scelte registe e stilistiche di Allison hanno una serie di punti di forza: il primo, è quello di non scivolare mai nella retorica aggiungendo materiale di finzione o preparato. Hollywood ne avrebbe fatto un prodotto strappalacrime; Allison ha raccontato, con la massima sincerità possibile e con molto rispetto, una storia vera. Un documentario vecchia maniera, se vogliamo, in cui il protagonista viene filmato mente svolge la sua attività quotidiana e dove la voce fuori campo è molto discreta, giusto a sottolineare qualche particolare passaggio interiore (e specifico sottolineare, perché comunque è tutto già molto visibile a livello visivo). 
Il secondo è che la macchina da presa è ad altezza occhi dei maiali. Uno sguardo soggettivo del loro mondo, delle loro esperienze, emozioni; quelle positive, quando esplorano la realtà circostante, osservano Bob curiosi e interessati, apprendono, giocano e comunicano tra loro, e quelle negative, di paura e terrore quando vengono fatti salire sul furgoncino che li conduce al mattatoio.
Ho apprezzato in particolare la scena del mattatoio, un terzo punto, veramente molto potente, che già da solo reggerebbe tutto il film: si lavora per ellissi, si racconta un prima e dopo. Allison sceglie di non mostrare la violenza; viene invece evidenziata l'assenza, questa graduale sparizione dallo spazio filmico degli individui che stanno andando a morire. Prima sono in cinque/sei, un piccolo gruppetto, poi in quattro, tre, due, fino a che non ne rimane uno solo. L'ultimo maiale è anche lui. In questo, terribile, senso. Allison si sofferma sul suo sguardo: lui ha capito, è visibilmente stressato, ha la lingua di fuori e ansima dal panico. Ha già visto tutto i suoi compagni, fratelli, amici, sparire in quello spazio che odora di sangue e di morte. Sa che tocca a lui e non c'è rimasto nessun altro a consolarlo. Nemmeno Bob, di cui si fidava. Questa scena è un colpo al cuore. 
Ciò che ci comunica non è la violenza - sarebbe stata una scelta fin troppo banale e scontata - ma il senso di ingiustizia. Il senso di profonda ingiustizia di vedere questi individui pieni di gioia, visibilmente felici fino a un attimo prima e poi, nel momento subito successivo, quei loro corpi palpitanti di vita trasformati in prodotti, in pezzi di carne livida.
In una fase storica come questa in cui il sistema si appella al concetto di "carne felice" per mettere a tacere i dubbi di sempre più persone in merito alla liceità o meno di schiavizzare e sfruttare animali, The Last Pig ci dà la sua risposta, ed è una risposta potente, che non lascia adito a dubbi.
Allevare esseri senzienti, seppur concedendo loro la miglior vita possibile nel breve lasso di tempo prima che raggiungano il peso ottimale (richiesto dal mercato) per andare al macello, è sempre qualcosa di terribilmente sbagliato, ingiusto, aberrante.

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