domenica 3 giugno 2018

Le parole contano!


È fondamentale parlare sempre degli animali come individui e non come cibo. 
Le parole che usiamo afferiscono a determinate aree semantiche diverse e richiamano per associazione altri termini legati a quella di appartenenza (vi ricordate il giochino delle parole che facevate da piccoli, quello in cui un bambino dice una parola e il bambino successivo ne dice un'altra per associazione?) e tutti insieme concorrono a esprimere o rafforzare un determinato concetto. Quando parliamo di "carne" inevitabilmente la mente del nostro interlocutore va a tutta una serie di questioni che ci riconducono - come in un loop - al concetto di cibo, e quindi alla salute, al ferro, alla B12, al biologico, all'igiene, alla salubrità del prodotto, agli antibiotici, alla sicurezza alimentare, all'asetticità della macellazione, al rispetto delle norme sulla produzione ecc.; in questo modo non ci allontaniamo di un centimetro dalla concezione dell'animale come prodotto. L'animale come individuo sparisce, rimane un referente assente, e al suo posto c'è la merce, il cibo, il prodotto. Ovviamente il messaggio che le persone recepiranno più facilmente è quello che sia legittimo e normale considerare gli animali come prodotti in quanto è quello che, come scrivevo nel post di ieri, conferma il sistema di credenze in cui siamo cresciuti. Nominare la realtà con le parole corrette è importantissimo. La realtà che vediamo è quella che noi nominiamo. Le cose cominciano a esistere solo quando gli troviamo un nome e le definiamo. Se continuiamo a parlare della carne e degli animali come cibo, gli individui resteranno sottotraccia, in un non detto inesprimibile che li condanna all'invisibilità di sempre. E poiché noi siamo immersi in una ragnatela di significati, il termine giusto al posto e momento giusto può contribuire a far cadere le lenti del carnismo e a farci cogliere la possibilità di parlare degli animali e non della carne o di cosa mangiamo noi vegani.

Allo stesso modo le singole campagne welfariste promosse con la scusante dei "piccoli passi" in realtà rassicurano la collettività sul fatto che possa esistere il benessere animale in un sistema che ne legittima il loro uso (e comunque il benessere animale è sempre funzionale al miglioramento del prodotto e non delle condizioni degli animali). Vero che alcune associazioni dichiarano di lavorare comunque in finalità dell'obiettivo ultimo della liberazione animale, ma di fatto si comportano esattamente come l'industria che divulga l'enorme mistificazione del benessere e rispetto degli animali.
Quando parliamo di libertà, parliamo innanzitutto di libertà e autodeterminazione nell'agire, di inviolabilità dei corpi da qualsivoglia dominio e controllo istituzionale. Dal momento invece che l'industria della carne, del latte, delle uova, delle pelli, pellicce, del divertimento ecc. detengono un potere e dominio assoluto sulle esistenze degli animali, questo dominio non può essere affatto scalfito o alleggerito da misure protezioniste, giacché, al di là del metodo della schiavitù e sfruttamento, è la schiavitù e lo sfruttamento stesso che privano l'individuo della sua libertà ed esistenza; inoltre, sempre per il discorso semantico di cui sopra, si rassicura la collettività sul fatto che si possa continuare a fare come si è sempre fatto: allevare e mangiare animali, considerarli oggetti su cui lucrare sopra e via dicendo.

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