sabato 24 ottobre 2020

My octopus teacher

 

My Octopus Teacher è un documentario che potete vedere su Netflix e che parla dell'amicizia tra un uomo e una femmina di polpo. 

In seguito a delle vicissitudini personali, Craig Foster inizia a immergersi in un'area vicino Cape Town, in Sud Africa, denominata Kelp Forest perché contraddistinta da una vegetazione ricca di alghe Kelp. 

Qui un giorno è incuriosito da una strana forma depositata sul fondale e dopo qualche minuto di osservazione realizza che si tratta di un polpo che si è ricoperto di conchiglie e altro materiale nel tentativo di camuffarsi e nascondersi alla vista del suo maggiore predatore, lo squalo pigiama. 

L'uomo decide così di immergersi ogni giorno per osservare questa strana creatura e a poco a poco riesce a conquistare la sua fiducia.

Nel momento in cui si viene a creare questa bella relazione di amicizia, Foster inizia anche a porsi una serie di domande, per esempio se è giusto intervenire per proteggerla dagli attacchi di uno squalo o se è meglio non interferire. 

Il documentario, diretto da Pippa Ehrlich e James Reed, è il risultato di un anno di riprese, poi montate allo scopo di raccontare lo sviluppo della relazione tra Foster e la femmina di polpo ed è molto interessante perché oltre ad insegnarci molte cose sui polpi, animali dotati di un'intelligenza peculiare dettata dalla necessità di sopravvivere ai tanti predatori e in ambienti ostili, ci mostra il percorso di Foster che proprio grazie alla sua amica apprende la gentilezza, il rispetto e il valore di ogni animale, anche il più piccolo. 

Per questo motivo, se non proprio antispecista, lo definirei comunque un documentario non antropocentrico, capace di spostare la prospettiva dal nostro punto di vista per seguire quella del polpo e di altre creature marine. 

Foster capisce che per stare accanto alla sua amica e seguirne gli spostamenti è necessario che impari a pensare come un polpo, che diventi il polpo. 

La cosa bella è che Foster non ha mai l'atteggiamento antropocentrico di chi invade gli habitat selvatici pensando che sia suo diritto padroneggiarli e filmarli, ma cerca di entrarne a far parte come un animale qualsiasi, senza alternarne l'equilibrio; non tenta di manipolare o di toccare il polpo, ma aspetta che sia lei ad avvicinarsi, una volta superata l'iniziale diffidenza. 

Le scene in cui lei gli si avvicina sono molto toccanti e spero che facciano riflettere tutte le persone che ancora mangiano i polpi. 

Sono individui particolari, molto diversi da noi, ma, esattamente come tutti gli altri animali, sono esseri senzienti, intelligenti, capaci di fare esperienza del mondo e di avere loro interessi, desideri, sogni, in grado di proiettarsi nel futuro e di apprendere dal passato. 

Il pensiero dei pescatori subacquei che vanno a stanarli nelle loro tane è insopportabile; l'idea di ridurli a un ingredienti di un'insalata è semplicemente rivoltante.

P.S.: il titolo in italiano, Il mio amico in fondo al mare, non mi piace. Innanzitutto è evidente sin dall'inizio che sia una femmina. Foster usa sempre il pronome femminile e poi, se ciò non bastasse, lo si dice espressamente sul finale. Quindi non capisco perché non intitolarla, semplicemente, La mia amica in fondo al mare. Penso che sia uno degli effetti dello specismo nel linguaggio, come se gli altri animali non fossero individui, ma esemplari simbolici, interscambiabili. Maschio o femmina non importa, un polpo è solo un polpo, uno tra i tanti. Titolo che quindi contrasta con il contenuto del documentario.