mercoledì 10 gennaio 2024

La società della neve

 Ormai questo blog è abbandonato a sé stesso, riporto solo giusto qualcosina che voglio salvare dal susseguirsi del presente sui vari social in cui scrivo, tanto per far sì che i miei scritti non vadano perduti come lacrime nella pioggia e anche perché ormai, a parte progetti un po' più strutturati, scrivo direttamente dal cellulare e quindi non salvo nemmeno sul pc.

Detto questo, torno a parlare di cinema con un film visto di recente, anche se in verità il film che più mi ha colpito visto di recente è Speak No Evil, ma di cui non voglio parlare per una serie di motivi (troppa fatica parlare di opere polisemantiche), e invece parlerò di questo perché ci ho infilato in contropiede pure l'antispecismo, o meglio il carnismo. 



"Il passato è ciò che cambia di più". Inizia più o meno così il nuovo film, presentato allo scorso festival di Venezia, sui sopravvissuti delle Ande. 

Un fatto che all'epoca colpì il nostro immaginario e il cui clamore perdura ancora oggi. 

Lessi il libro, credo di aver visto almeno un paio di film, ma questo, dal titolo "La società della neve" è diverso per vari motivi. 

Innanzitutto la durata, 2 ore e 20, funzionale allo scopo di restituire ai protagonisti una dimensione a tutto tondo, un carattere, delle caratteristiche psicologiche e fisiche, un passato, interessi, sogni, desideri, progetti, obiettivi. Il film infatti inizia ben prima dell'incidente aereo, racconta le relazioni tra loro, con i loro familiari, fidanzate, amici. 

Poi l'incidente, certo, mostrato nei minimi particolari per il tempo, suppongo, che impiega un aereo effettivamente a cadere. A quel punto siamo dentro la storia, non più spettatori esterni, ma i vari protagonisti. 

Il resto del film è una storia di sopravvivenza dura, durissima, in cui per oltre due mesi dispersi in mezzo alla neve delle Ande hanno dovuto far fronte a fame, sete, freddo, e persino la sfiga - tragedia nella tragedia - di essere seppelliti da una valanga, nella quale il già decimato gruppo subisce ulteriori perdite. 

"Il mondo ci ha abbandonato" dice la voce narrante, ossia il racconto di uno dei sopravvissuti, il punto di vista privilegiato attraverso cui si racconta la storia e che continua a far sentire la sua voce anche dopo che è morto. 

Di diverso, dicevo, rispetto ai precedenti, è l'aver privilegiato i dilemmi etici e filosofici rispetto alla spettacolarizzazione. 

Dilemmi sul mangiare i corpi dei loro compagni morti, ad esempio, ma non solo. 

"Chi eravamo, chi siamo stati sulla neve?" e poi ancora, "Siamo tutti morti lassù, solo che qualcuno è tornato". 

Il film mi ha fatto pensare, mutatis mutandis, a "La sottile linea sottile rossa" di Malick, pur con le dovute differenze registiche, ossia l'essere umano che si pone domande su di sé, Dio o l'universo in un contesto in cui la quotidianità è stata spazzata via da fatti o contesti eccezionali. 

È un bel film che mi ha lasciato un'unica grande domanda e che si ricollega alla frase con cui il film inizia, sul passato che cambia. 

Perché io penso che in un contesto simile di sopravvivenza e trauma non ci sia stato spazio per porsi domande di quel tipo o per i dubbi etici sul mangiare la carne dei compagni morti. Io penso che le domande siano arrivate dopo, una volta riconquistata la civiltà (o presunta tale). Solo dopo avranno potuto chiedersi "Come abbiamo fatto?", ma non tanto per darsi risposte essi stessi perché loro sapevano benissimo come hanno fatto, cioè era pura fame, semplice questione di sopravvivenza, non c'era altra scelta, ma questa era la domanda che si faceva la gente e a cui hanno dovuto rispondere; gente scandalizzata e inorridita di fronte al superamento di un tabù culturale - per ovvi motivi appunto di sopravvivenza -, che però non si fa alcuno scrupolo, la gente intendo, a divorare corpi di animali e senza che vi sia motivo alcuno legato alla sopravvivenza.

Questo siamo nelle corsie dei moderni supermercati. Altro sono stati i sopravvissuti nella neve, più animali e meno umani, se vogliamo perché è l'umanità talvolta a essere feroce e non l'animalità che risponde solo alle necessità, straordinarie o ordinarie che siano.

Non chiediamoci allora, come hanno fatto loro, come hanno potuto loro, bensì, come possiamo noi oggi divorare i nostri fratelli animali. E senza che vi sia necessità. 

La società della neve, tratto dall'omonimo romanzo, lo trovate su Netflix e ve lo consiglio.


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