lunedì 16 maggio 2016

Sepolti sotto una montagna di ciarpame

A tutti noi è capitato prima o poi di fare i conti con l'accumulo di oggetti di cui nel tempo abbiamo riempito le nostre case ed esistenze (e anche le borse, per quanto riguarda le donne): bigliettini, cartoline, ricordi di un viaggio, regali, abiti, scarpe, piccoli elettrodomestici, libri osceni mai letti, dischi, cosmetici, insomma... di tutto un po'. 
Periodicamente sentiamo il bisogno di fare ordine, anche per fare spazio alle cose nuove che nel frattempo non smettiamo di comprare, eppure non sempre abbiamo il coraggio di buttare tutto ciò che giace sul fondo di armadi, cassetti e ripostigli o è fermo da tempo immemorabile a prendere polvere sui ripiani dei mobili. Al momento della cernita continuiamo infatti a rimanere dubbiosi dell'utilità di questo o quell'altro oggetto, anche quando dovrebbe essere evidente che se non abbiamo mai usato la teiera che ci ha regalato la collega di lavoro dieci anni fa, difficilmente potrà tornarci utile un domani. 

Un problema, questo dell’accumulo di cose, certamente amplificato nell'era del consumismo (e favorito dalla nascita di catene di negozi come Tiger, ma anche Ikea, in cui entri magari per comprare qualcosa che ti serve davvero, ma esci con il carrello pieno di oggettini tanto simpatici e divertenti quanto inutili), ma a cui nemmeno le nostre nonne sono state immuni.
Conserviamo e mettiamo via con l’illusione di fermare il tempo preservando un ricordo, per motivi affettivi, ma anche perché sembra proprio che non possiamo farne a meno. 

Da una ricerca in rete scopro che esiste una ricca letteratura in materia (libri, blog, manuali ecc.) su come fare ordine nelle proprie case e come evitare di ammassare ogni tipo di ciarpame, dal che ne deduco appunto che sia un problema comune.

Mi domando allora se il capitalismo non sia altro che il risultato, senz’altro esasperato e amplificato, di questa nostra tendenza ad accumulare cose come se fossimo eterni. 
Nasciamo raccoglitori, abbiamo inscritto nel dna l’istinto a collezionare, metter via, immagazzinare, radunare e, appunto, capitalizzare.

Che il dominio e lo sfruttamento siano il risultato perverso di questo trarre il massimo profitto da ciò che ci circonda credo sia evidente, quello che forse ancora dobbiamo capire è se davvero tutto ciò sia solo il frutto di sistemi sociali sbagliati e quindi reversibile, o se invece non sia proprio la nostra maniera, intesa come attributo di specie, di stare al mondo. 

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