venerdì 9 dicembre 2016

Dialoghi tra animali - seconda parte


Continua da qui.

Bah, violenza, mi pare esagerato come termine. Vengono prima storditi e poi muoiono in un secondo con un taglio netto alla gola.

Alt, alt, anche qui stai ripetendo come un mantra un falso luogo comune senza essere davvero informato. Lo stordimento non implica l’annullamento del sentire. Innanzitutto viene praticato, così mi ha detto un medico veterinario, per motivi essenzialmente pratici, ossia perché lo stordimento facilita il defluire del sangue dal corpo, secondo poi l’animale è meno in grado di reagire, ma rimane totalmente cosciente nel momento in cui viene appeso per un arto a un gancio in testa in giù (fatto che spesso gli causa la rottura dei tendini. Hai idea di quanto pesino una mucca, un vitello, un maiale, un cavallo?), gli viene tagliata la gola e comincia ad affogare nel suo stesso sangue. E secondo te quella di finire sgozzati non sarebbe una morte violenta? Ragiona un attimo: se leggessi su un giornale “uomo è stato trovato morto nel suo appartamento con la gola tagliata” non diresti “ma che morte orribile!”? Dunque perché per un maiale dovrebbe essere meno orribile morire così?

Sì, hai ragione. Ma dura comunque poco.

Ne stiamo facendo una questione di minuti dunque? Allora potremmo dire che non c’è violenza se uno muore freddato da un colpo di pistola e impiega un secondo a lasciare questo mondo? 
La violenza è nell’atto in sé di danneggiare intenzionalmente qualcuno. Di togliergli la vita. Di violare quelli che sono i confini del suo corpo. 
La questione è che noi pensiamo che i corpi di questi animali ci appartengano e quindi non percepiamo la violenza che gli infliggiamo. E c’è anche un altro fatto, essenziale.

Quale?

Siamo stramaledettamente convinti, contrariamente a ogni cognizione scientifica, che gli altri animali provino meno dolore di noi. E per dolore intendo sia quello fisico, che psicologico. Pensiamo che essi sappiano accettare passivamente la prigionia, lo sfruttamento, la privazione di un’esistenza libera in cui debbano render conto solo a loro stessi e al gruppo di cui fanno parte. Ma anche questo l’abbiamo stabilito fissando i famosi criteri antropocentrici di cui parlavo prima. Per una questione di comodo.

Beh, c’è il discorso della cattività.

Il discorso della cattività usato per giustificare la reclusione è il terzo falso luogo comune che hai tirato fuori in dieci minuti di conversazione. Vedi come fai, come fate tutti?

Prego?

Quando vi si prova ad accennare il discorso della questione animale non recepite veramente quello che vi viene detto. Cogliete alcune frasi cui date delle risposte in maniera del tutto automatica. Come se doveste mettere delle x nella casella giusta. Ma questo non è un test di verifica. Non è così che si ragiona, che si riflette, che si elabora un pensiero. 
Non stiamo facendo una gara. A me non interessa nemmeno convincerti. Mi hai chiesto se sono vegana e così vorrei provare a farti capire perché lo sono diventata, cosa c’è dietro. Oltre la spettacolarizzazione mediatica che ci dipinge come una setta di scalmanati che fanno pucci pucci persino ai pidocchi. Perché il problema non sono i pidocchi (che, per inciso, sono parassiti, ma poi ci arriveremo), ma l’enorme massa di umiliati e offesi e poi fatti a pezzi che ogni giorno viaggiano dentro i tir della morte per andare a riempire gli scaffali dei supermercati un tanto al chilo. E tutti gli altri allevati e uccisi per i più disparati e superflui scopi. O non mi vorrai mica dire che una pelliccia sia un qualcosa di necessario?

Stai divagando. Eravamo rimasti al discorso della cattività. Lo vedi che ti ascolto? 

Bene. Nascere in cattività significa semplicemente: nascere in prigione. In gabbia. In un habitat molto diverso da quello in cui la propria specie si è evoluta e che è adatto allo sviluppo ed espressione delle sue caratteristiche etologiche. E perché mai questa condizione così avversa dovrebbe essere ritenuta valida a giustificare l’esistenza di stabulari, allevamenti, zoo, circhi, delfinari e quant’altro? Come se un bambino venisse fatto nascere dentro un capannone lugubre e malsano in quanto già sua madre, sua nonna, la sua bisnonna e ancora indietro per chissà quante generazioni avessero subito la stessa sorte e tutto ciò venisse ritenuto giusto e ragionevole per il solo fatto che… ci è nato. Ma tutto ciò è folle. Non ha alcun senso. 

Sì, volevo semplicemente dire che se un animale nasce dentro un allevamento non saprà nemmeno cosa sia la libertà e quindi non la rimpiange, non soffre, non ne sente la mancanza.

Quindi se tu fossi nato e cresciuto dentro una cabina telefonica saresti stato bene così? 

Cosa c’entra una cabina telefonica. Un allevamento non è una cabina telefonica.

Lo è invece. La maggior parte degli allevamenti di galline ovaiole, di polli da carne, di maiali e di bovini consentono agli animali spazi veramente esigui. Per non parlare di quelli concessi agli animali cosiddetti da intrattenimento o a quelli per farne la pelliccia, come i visoni. Ma il punto è: cabina telefonica o hangar di un aereo, parliamo sempre di spazi chiusi, di gabbie, di capannoni maleodoranti dove gli animali si annoiano e si stressano talmente tanto da diventare aggressivi e cannibalizzarsi tra di loro. Per questo ai maialini appena nati tagliano i denti, mentre le galline e i polli subiscono quello che viene chiamato il debeccaggio.
Insomma, il dover vivere in spazi angusti non è il solo motivo deprecabile della cattività perché in aggiunta c’è anche il sovraffollamento. Migliaia di individui costretti a condividere gli stessi – ridottissimi – spazi. Capisci che quindi lo spazio a disposizione di ogni singolo non è più grande di quello di una cabina telefonica. 
Ora, immagina che tu debba essere costretto a stare dentro una stanza sovraffollata senza mai poter uscire, correre, respirare aria pulita. Non diventeresti isterico dopo un po’? Non avresti attacchi di panico? Ecco, visoni, topi, tigri, delfini e poi galline, polli, maiali, conigli vivono sperimentando un’angoscia incessante. Tutto ciò per un’unica ragione: per soldi. E perché noi ancora continuiamo a credere al raccontino mitologico che essi siano qui per noi, per darci la loro carne, il loro latte o per farci divertire e che siano felicissimi di farlo in quanto venuti al mondo unicamente per questo motivo. Ma veramente crediamo a tutto questo? Può una persona mediamente intelligente credere alla favola degli altri animali nati per diventare pellicce o prosciutti? Un così tanto spreco di vita, di DNA, di cellule, di sangue, di cervello e sinapsi per poi diventare oggetti? Andiamo. Dio non gioca a dadi, disse qualcuno. O meglio, la natura non fa le cose a caso. E non avrebbe dotato gli altri animali di occhi, cuore, polmoni, zampe o ali se essi avessero dovuto esistere solo per diventare salami. 

Raccontino mitologico? 

Sì. Vale a dire la creazione di un mondo regolato da leggi proprie e popolato da creature fantastiche. Un mondo in cui un maiale è contento di darci la propria coscia da mangiare perché sa che quello è il suo destino, il suo scopo, che è nato appositamente per quello. A proposito, hai mai letto Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro?

No, ma stai divagando.

A volte le divagazioni allontanano dal discorso solo apparentemente, ma in realtà poi vi fanno ritorno centrandolo in pieno. In questo romanzo l’autore immagina un futuro distopico in cui alcuni bambini vengono fatti nascere e sono allevati… pardon, volevo dire cresciuti, al solo scopo di fornire organi di rimpiazzo a quella parte di società ricca che può permettersi di comprarli quando i propri si ammalano o semplicemente si usurano per la vecchiaia. 

Ma è terribile!

Già. Raccapricciante, vero? Eppure per gli altri animali funziona esattamente così. Li facciamo nascere solo per rifornire continuamente gli scaffali dei supermercati. Li consideriamo risorse viventi rinnovabili. Esattamente come i ragazzi di Non lasciarmi. 

Beh, ma gli animali non hanno tutta questa consapevolezza. Voglio dire, quando nascono non sanno che sono destinati a diventare salsicce.

Nemmeno i ragazzi di Non lasciarmi ce l’hanno all’inizio. Nessuno gli dice mai chiaramente perché sono al mondo. Poi, man mano che crescono vengono preparati a ciò che li aspetta. E non mettono mai in discussione questo fatto perché credono che sia normale, che sia così, credono che il mondo funzioni così. Esattamente come tu e tanti altri siete convinti che sia normale gestire e controllare totalmente i corpi di milioni di individui fino alla loro trasformazione in scatolette. Le persone credono in qualcosa se questa gli viene ripetuta fino allo sfinimento da tantissimo tempo, da sempre, da quando sono nati. Ma non vuol dire che sia naturale o che sia giusta. Il discorso della consapevolezza è fuorviante. Probabilmente nemmeno gli Ebrei deportato sui treni diretti ad Auschwitz sapevano veramente a cosa stavano andando incontro. Ma questo, anziché alleggerire la gravità del fatto, rende il tutto soltanto più crudele. Gli animali si fidano di noi. Leccano la mano del proprio allevatore e persino, talvolta, quella del proprio boia. I cuccioli hanno così tanto bisogno di calore e contatto che ciucciano tutto ciò che gli finisce accanto, anche il grembiule lercio di sangue del tizio che lo sta sgozzando. Ci sono testimonianze di agnellini  in attesa di essere macellati che giocano tra di loro. Cosa può esserci di più tragico e crudele del fendente di una lama che irrompe nell’innocenza del gioco? E tutto questo per due costolette a Pasqua? Per tradizione? Ma andiamo… ma non avete tutti un minimo di dignità?

Così però offendi e giudichi. Lo vedi come siete voi vegani. Vi credete i depositari della morale.

Io non sto parlando di morale. Ma di quello che accade. Va bene dunque farsi depositari della vita di miliardi di animali? Questo va bene? Non si può dire che uccidere è sbagliato? Volete gustarvi le costolette senza nemmeno il minimo senso di colpa? 

(Continua).

Immagine di Andrea Festa.

8 commenti:

Giovanni ha detto...

Che brava che sei, a scrivere dialoghi filosofici!
Questo è molto avvincente, però magari fossero così arrendevoli i carnisti che prima vengono a chiederci il come e il perché dell'essere vegaqn e poi non ascoltano ma aggrediscono o salgono in cattedra ;)

Mi sembra che ci siano diversi tipi di reazioni, in effetti.
A volte non sanno, glielo spieghi e ti accorgi che qualcosa nella loro percezione è davvero sul punto di cambiare.

A volte non sanno e quando scoprono la realtà, affermano che non gli importa e che per loro va bene così

A volte sanno ma - appunto - si raccontano le favolette della carne felice e della uccisione umanitaria e pretendono di crederci.

A volte, conosciuta o già saputa la realtà, affermano che non gli importa nulla, perché l'uomo bla bla bla.

Due cose ti chiedo. La prima, di servizio: dove è la prima paerte? perxché non metti un link a quel post, all'intenro di questo post?

L'altra cosa:davvero pensi che debbano provare senso di coklpa, per motivarsi al cambiamento? Cioé. è necessario e produttivo instillargli la colpa? O non si rischia una chiusura? (Sto pensando agli attivisti che incentrano la loro azione sulla colpevolizzazione).
Grazie!

Rita ha detto...

Ciao Giovanni, grazie innanzitutto per i complimenti, sono contenta che questi dialoghi ti piacciano. Ho intenzione di pubblicarne altri. :-)

Ho messo il link alla prima parte, lo trovi proprio all'inizio, dove ho scritto "continua da qui".

Sì, le reazioni dei carnisti quando vengono informati sono le più disparate; la maggior parte di essi fa subentrare la negazione (effetto della dissonanza cognitiva), ossia poiché quello che gli si dice stride talmente tanto con le loro certezze e con il loro sistema di valori (sono una brava persona, non farei mai del male a un essere vivente, sono contrario alla violenza ecc.), allora preferiscono pensare che i casi di maltrattamento siano un'eccezione, ma che in fondo gli animali vengano uccisi con rispetto e che siano rispettate le norme sul benessere animale. Purtroppo pur di non cambiare le proprie abitudini e di non aprire gli occhi su questa realtà, si preferisce rimuoverla, negarla, addolcirla e la mente è veramente incline a credere a un sacco di menzogne.

Sul senso di colpa, io penso che sia fondamentale. Se non ci si sentisse in colpa, allora tutto resterebbe com'è. Però deve nascere da sé e non bisogna aggredire o pensare che esso si formi semplicemente mostrando delle immagini. Alcuni non lo proveranno mai fino a che non avranno capito chi sono gli altri animali. La loro riduzione a oggetti fa sì che il senso di colpa non si sviluppi mai.
Non è così automatico.
Penso poi che certe categorie debbano cominciare a essere stigmatizzate socialmente, altrimenti si scade nel buonismo.

Rita ha detto...

Ho cancellato questo commento per sbaglio, è di Lorenzo, che a volte trolleggia, ma a volte pone anche obiezioni interessanti (non interessanti di per sé - mi spiace per te Lorenzo, ma non hanno nulla di originale -, ma solo perché appunto rappresentative di quello che pensa la gente). Lo posto io e rispondo.


"Esattamente come tu e tanti altri siete convinti che sia normale gestire e controllare totalmente i corpi di milioni di individui fino alla loro trasformazione in scatolette"

No. non è "normale".
Normale sarebbe saltare addosso all'animale con un bastone acuminato e piantarglielo nel fianco. Ma sarebbe anche enormemente più faticoso e improduttivo. Meglio selezionare gli animali in modo che siano mansueti e che si accrescano dentro un recinto nutriti con gli scarti dell'alimentazione umana o con risorse facilmente disponibili.

Cosi come non è "normale" spostarsi seduti sul dorso di un asino o di un cavallo o portare merci.
Normale sarebbe andare a piedi. Ma sarebbe più faticoso e lento, quindi è meglio selezionare animali mansueti, che crescano dentro un recinto e che mangino fieno, animali che si abituano a portare persone e cose sul dorso e ad obbedire ai comandi avanti, indietro, destra, sinistra, accelera, rallenta.

Normale sarebbe vivere come i primati.
Ma i nostri antenati hanno preferito inventare la tecnologia per facilitarsi la vita e cosi facendo hanno avuto un incredibile successo evolutivo, tanto che siamo l'unica specie ad usare Internet.

Mia risposta:

siamo anche l'unica specie che distrugge il pianeta che la ospita, inquinandolo, desertificandolo, facendolo saltare in aria e diboscandolo; l'unica specie che lavora dodici ore al giorno per pochi spicci, schiavizzata da chi ha potere e privilegi senza sapersi ribellare, ma anzi, portando avanti guerre tra poveri; l'unica specie che usa violenza anche quando non è necessaria (non è necessario mangiare animali per vivere, checché ne dicano i medici poco aggiornati e poco informati: strano infatti come ci vantiamo tanto di essere evoluti, per poi invece restare attaccati a tradizioni, superstizioni e credenze ormai superate); l'unica specie che si arrabatta per guadagnare denaro per comprare cazzate superflue e poi non si dà pace del fatto che si debba morire comunque; l'unica specie infelice che non sa godersi il presente, il momento, che per placare il vuoto ha dovuto inventarsi dio e babbo natale.
Ammazza che evoluzione!

Rita ha detto...

P.S.: grazie per il contributo Lorenzo, con il tuo permesso lo aggiungo ai prossimi dialoghi.

Giovanni ha detto...

Ho letto, anzi riletto la prima parte. Rifletendoci, il dialogo è proprio la forma logica perfetta: le obiezioni dei carnisti sono davvero inconsistenti, la loro unica forza è il pregiudizio; e in un mondo ideale, dovrebbe essere sufficiente la prova del ragionamento filosofico.

Rita ha detto...

In effetti l'antispecismo chiede che si smetta di far venire al mondo individui senzienti solo per farli diventare salsicce. Non mi sembra molto difficile. Usi il termine "fabbricare" per creare una distanza, ma non sono oggetti inanimati, bensì individui che a causa nostra soffrono pene indicibili.

Rita ha detto...

P.S.: tutto il resto sono sofismi che ti racconti per giustificare l'oppressione e la violenza.

Rita ha detto...

La differenza tra me e te è che io contesto questi fatti che mi sembrano appunto nazismo puro; tu invece ti limiti a prenderne atto.