martedì 19 settembre 2023

Ho visto Barbie

 Il film di Greta Gerwig, intendo.

A visione ultimata il mio primo commento è stato: non capisco perché se ne sia parlato tanto. È solo un grande enorme spot della Mattel con qualche parolina in mezzo come "patriarcato" e "stereotipi femminili" per farlo apparire un film anche femminista. 

Poi sono andata a dormire.

Questa mattina mi sono svegliata e ho iniziato a pensarci e quello che ne sta venendo fuori lo scrivo qui, a caldo, come una serie di appunti e spunti che poi magari rielaborerò meglio. Quindi questa non è una recensione, ma una bozza di riflessioni. 

Intanto, secondo me il fatto che sia un film su cui c'è bisogno di riflettere implica due cose: una è positiva, cioè non offre un pacchetto di contenuti già pronti, ma ti invita a elaborarli; la seconda è più critica perché quei contenuti li trovi solo se ti appartengono già. Questo è ovviamente un problema che si ritrova in tutte le opere polisemiche che hanno sempre diversi strati di significati e non tutti raggiungono tutti.

SPOILER

Il finale in cui Barbie prende consapevolezza di sé e da bambola asessuata diventa finalmente donna con dei genitali e abbandona i tacchi per indossare delle comode Birkenstock (se il corpo ha un peso e valore e devo anche rendergliene conto, non più come orpello estetico, ma strumento che mi permette di muovermi nel mondo e che quindi deve muoversi comodo) è decisivo perché è solo in quel momento che si apre lo spiraglio per un'autentica riflessione femminista e si rimette in discussione tutto ciò che avevamo visto fino a quel momento. Il punto cruciale, cioè la chiave di lettura per analizzare i vari elementi che compongono il film è proprio questa.

È da questo momento in poi che si dipana la dialettica uomo/donna, realtà/finzione, consapevolezza/manipolazione, sesso/genere,  (con buona pace delle identità fluide). 

Barbie non può diventare persona reale e non può comprendere l'oppressione patriarcale finché non ha i genitali e non ottiene i genitali finché non capisce che restando una bambola stereotipo può solo essere realizzata nella finzione, nella sua immaginazione, nel suo essere bambola nel suo mondo (BarbieLand, appunto); un mondo in cui fa solo finta di bere il latte, fa solo finta di guidare, fa solo finta di vivere in una comunità in cui  le varie Barbie sono avvocato, astronauta, presidente, medico, membro della corte costituzionale ecc. e in cui tutto parla di loro, la Storia stessa della fondazione della loro terra è opera loro e ovunque si riflettono e raccontano le loro gesta. Barbie rimane Barbie finché appunto non capisce che tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento le era stato possibile solo perché era a BarbieLand e perché appunto non era una vera donna nel vero mondo reale e che nel mondo reale le cose invece sono ben diverse.  E attenzione!: questo accade anche nell'idea, nell'immaginazione di molti uomini e donne che sono convinti che non ci sia più bisogno del femminismo perché apparentemente noi donne ora abbiamo tutto, possiamo essere davvero chi vogliamo e pensarci libere (come dice la Ferragni e difatti anche lei non vive mica nel mondo reale, o almeno non più ormai, ma in quello dei Ferragnez, molto distante dalle difficoltà della maggioranza e... non so se ve lo ricordate, ma agli esordi del suo blog lei aveva come immagine profilo una foto di lei stessa nuda, ma piallata con photoshop, cioè resa asessuata e con una Barbie in mano. Ed è vero che lei è una persona reale che ce l'ha fatta, ma non possiamo non tener conto della posizione avvantaggiata economicamente da cui è partita).

Peccato che nel mondo reale le cose non siano esattamente così, cioè come in BarbieLand, perché noi donne, in virtù dei nostri corpi biologici - e non semplicemente e banalmente come insieme di stereotipi -  continuiamo a essere uccise, stuprate, molestate, ridicolizzate, sminuite, odiate e non abbiamo mezzi materiali e supporti economici a sostegno perché le Istituzioni magari danno la scorta a chi ha ucciso un'orsa perché ha ricevuto un bel po' di insulti sui social, tra cui forse qualche minaccia, ma non a una donna che viene concretamente e ripetutamente stalkerizzata, minacciata, picchiata. 

Quindi, dicevamo, il finale di Barbie è importante perché ribadisce l'identità di noi donne in quanto corpi sessuati diversi dagli uomini e non solo insieme di stereotipi sul genere perché è ovvio che tutti gli stereotipi sul genere femminile sono venuti dopo e sono conseguenza e giustificazione dell'oppressione patriarcale e non causa (stesso rapporto tra questione animale e specismo). Cioè: è proprio in virtù di quei genitali, cioè della nostra biologia che noi donne siamo state oppresse e trasformate in corpi di servizio da usare: sessualmente, per procreare, per svolgere lavori noiosi come la cura della casa e allevare i figli lasciando liberi gli uomini di studiare e dedicarsi alla loro carriera e quindi è ovvio che Barbie può diventare veramente femminista e capire l'oppressione patriarcale solo nel momento in cui prende coscienza di sé come corpo, come persona sessuata e non semplicemente come insieme di stereotipi quale era stata fino a quel momento (sintomatico il fatto che la protagonista si chiamasse proprio Barbie Stereotipo, cioè lei era un insieme di stereotipi sulla femminilità, su quello che la società si aspetta da noi donne). 

Barbie a questo punto, una volta reale, torna nel mondo reale, ma il film finisce, lasciando intuire che comunque avrà capito la differenza tra finzione e realtà e tra la facilità di affermazione in BarbieLand e la difficoltà che invece ancora viviamo e sperimentiamo noi donne, e non solo per affermarci professionalmente, ma per essere semplicemente noi stesse, con i nostri corpi, conformi o meno agli stereotipi; le difficoltà (che causano stress continuo e burn out) per non sentirci da meno in un mondo che è stato fatto a immagine e somiglianza degli uomini e la cui Storia racconta solo le loro gesta; gesta di uomini in guerra che hanno avuto sin dall'inizio dei tempi come fine il dominio e la conquista. 

Interessantissimo il binomio uomo-cavallo, talmente stretto che Ken lo assimila all'idea che si fa di cosa significhi patriarcato. Il cavallo come estensione dell'uomo. E qui ci sarebbero da fare pure tremila riflessioni sullo specismo, ma una su tutte: il dominio è sempre biologico, è sempre biopotere, cioè è sempre dominio sui corpi altrui a partire dalla biologia e spesso è concatenato, intersezionale. Gli uomini hanno dominato i cavalli con la forza bruta (i cavalli sono animali tanto forti e robusti, quanto timidi, paurosi e mansueti - vedete l'importanza della biologia? - Stesso discorso per i bovini), poi con loro, grazie a loro, hanno fatto le guerre e conquistato terre; noi donne, biologicamente obbligate a procreare, allattare, allevare figli, più deboli fisicamente - capite l'importanza della biologia? Quanto siamo state limitate e costrette in ere pre-anticoncezionali e capite perché il femminismo ha sempre lottato per il diritto alla legge sull'aborto e quanto ancora lo scontro si giochi quasi tutto su questo punto? - 

siamo sempre state terreno di conquista dei vincitori, oggetto di scambio, razziate, stuprate, vendute. 

Il mondo attuale è il frutto del dominio maschile e noi donne abbiamo potuto solo giocare a essere protagoniste in BarbieLand. Per questo la Barbie ci è sempre piaciuta: perché poteva essere tutto quello che noi non potevamo essere e che ancora non riusciamo a essere pienamente perché ci portiamo dietro un complesso di inferiorità e incapacità vecchio di millenni grande quanto un'ombra gigantesca da cui non riusciamo ancora a fuggire perché legata ai nostri corpi biologici che la società ci ha fatto sempre percepire come sbagliati, mancanti di qualcosa ("nate da una costola di Adamo"). Perché se a Ken basta dire "Io sono Ken e basta e non l'amico di Ken" per crederci (tanto nel mondo reale funziona esattamente così e ce lo ricorda la Storia), a Barbie non basta più dire che può essere tante cose per sentire di esserlo davvero, ma deve lottare anche solo per rientrare a casa la sera sana e salva. 

Insomma, Barbie è un film sul percorso di consapevolezza di cosa significhi essere donna al di là degli stereotipi e dell'illusione costante di cui dobbiamo disfarci perché no, non basta pensarsi libere per esserlo davvero, così come non basta ancora ottenere una laurea per essere davvero considerate al pari degli uomini. Non basta se ancora veniamo uccise, stuprate, raccontate come mostri se vogliamo abortire o donne snaturate se non vogliamo avere figli, puttane se vogliamo essere libere sessualmente (e per questo stuprate e colpevolizzate); non basta se dobbiamo ancora continuamente dimostrare che siamo donne e non Barbie.


domenica 6 agosto 2023

Post di una femminista acida e cattiva

 Ogni percorso di consapevolezza riguardo le oppressioni e ingiustizie su cui si regge la nostra società è fatto anche di "illuminazioni improvvise" (passatemi il termine un po' new age), o forse dovrei dire rivelazioni, epifanie, boh, scegliete voi.

Per esempio oggi mentre mi facevo la doccia pensavo a quanto nel proclamarmi femminista o ogni qual volta commento qualcosa assumendo una prospettiva femminista, inconsciamente ci tenga a rassicurare i maschi, a non passare per la femminista acida che loro pensano che io sia in qualità di femminista, così assecondando, io, degli stereotipi, e poi rafforzando quello che è evidentemente ancora un pensiero patriarcale interiorizzato.

E così improvvisamente ho pensato: ma perché cribbio io, appartenente al sesso oppresso, dovrei premurarmi di rassicurare i maschi, premettendo che "not all men" (traduzione: sì, lo so, non tutti gli uomini sono oppressori, molesti ecc.) o tranquillizzandoli sul fatto che no, non vogliamo prendere il potere, vogliamo solo poter vivere la nostra vita senza temere di essere uccise, stuprate, ridicolizzate, sminuite e senza dover faticare il doppio per dimostrare che siamo persone complete, intelligenti, capaci, sveglie ecc. 

Ecco, se temete che i piani possano ribaltarsi, che noi stiamo esagerando, che vogliamo prendere il potere e mettervi tutti in castigo zitti e buoni, è un problema vostro. Noi da secoli ci gestiamo la paura e ci barcameniamo tra il desiderio di realizzarci e quello di dover sempre combattere la misoginia e il sessismo e ci sembra veramente assurdo dovervi anche rassicurare sugli obiettivi del femminismo.

Quando il linguaggio esprime il rapporto tra oppressi e oppressori

 Prendo spunto dalla bagarre che si è scatenata in questi giorni sull'utilizzo di un linguaggio abilista da parte di Concita De Gregorio - che non approvo - per ribadire quanto sia importante prestare attenzione a tutte quelle espressioni comuni e a quei termini che, senza che ce ne rendiamo conto (o a volte anche rendendocene conto e fregandocene) rafforzano luoghi comuni falsi su individui appartenenti a determinate categorie o minoranze, così dandoli per scontati, come se appunto fossero esatti.

Pensiamo per esempio agli animali, alla leggerezza con cui si dà del "maiale" a qualcuno per definirne comportamenti riprovevoli, peraltro tutti umani, oppure alla diffusa abitudine di dare a qualcuno della "capra" o dell'"asino" per sottolinearne la stupidità o l'ignoranza, o anche di dare della "pecora" o "pecorone" per indicare assenza di capacità critica. Queste espressioni non fanno che confermare quello che già pensiamo (che molti di noi pensano) sugli animali, ovvero pregiudizi, nient'altro che pregiudizi.
E i pregiudizi contribuiscono a minimizzare nella nostra coscienza e giudizio morale l'entità dei danni che gli animali subiscono a causa dei nostri comportamenti, direttamente o sostenendo tutte quelle pratiche di sfruttamento di cui sono vittime.
Le definizioni linguistiche contribuiscono a creare gerarchie ontologiche, inaspriscono divisioni e discriminazioni, rafforzano e normalizzano oppressioni.
Il linguaggio è da sempre l'arma del potere perché definisce il rapporto tra dominanti e dominati.

mercoledì 26 luglio 2023

Sul cambiamento climatico

 Oggi sono in vena di dispensare banalità ovvie, ma di cui a quanto pare c'è ancora bisogno. 

Dicono che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati. Sì, ma nell'arco di migliaia di anni. 

Invece dall'industrializzazione in poi, in pratica da metà ottocento in su, diciamo, che già i treni a carbone inquinavano un casino, abbiamo ridotto il pianeta a una discarica a cielo aperto e contestualmente abbiamo pure distrutto tantissimo verde che serviva a far respirare la terra, accelerando quindi in modo incredibile questo cambiamento. 

Già nel Protocollo di Kyoto del 1997 si invitavano gli Stati e i governi a prendere provvedimenti. Non è una cosa che sappiamo da oggi.

Il Greenwashing non è il fine, come dicono gli ignoranti (non uso il termine complottista perché ormai è un'etichetta che chiunque riempie a modo proprio a seconda di quello che vuole dimostrare), ma semmai la causa del disastro, nel senso che ovviamente gli Stati capitalisti vogliono continuare a spremere il massimo con il minimo dispendio dando l'illusione che stiano facendo qualcosa (appunto il Greenwashing). Il greenwashing è semmai la toppa che vogliono mettere al disastro, un rimedio, una cura palliativa, quando è ovvio che servirebbe una rivoluzione radicale nelle pratiche e consumi. 

Leggete Ecocidio di Rifkin. Un testo interessantissimo che spiega in maniera articolata, ma comprensibile, i danni che diverse attività e pratiche umane (tra cui gli allevamenti, di ogni genere e no, il danno non si limita alla produzione di CO2, ma anche desertificazione e diboscamento) stanno facendo al pianeta.

Elkann e il fallimento della ricerca del tempo perduto

 Voglio dire la mia sul pezzo di Elkann e il suo viaggio in treno. 

Ecco, a parte la descrizione di sé stesso come la parodia di un riccone snob che mi ha fatto pensare a Mr Scrooge o a uno dei tanti personaggi classisti dickensiani, nel suo racconto c'è una sola cosa interessante dalla quale sarebbe potuta scaturire una riflessione di ben altro spessore e anche più interessante per tutti noi: il fatto che stia leggendo Alla ricerca del tempo perduto (e no, non è interessante sapere se fosse in francese o tradotto, o meglio, lo è come caratterizzazione ulteriore della parodia del suo personaggio, ci fa capire che ha studiato il francese, così bene da consentirgli di leggere in lingua originale, ma irrilevante ai fini di questa riflessione che si sarebbe potuta fare). Da questa menzione sarebbe potuta nascere una riflessione nostalgica e malinconica sul tempo che passa, e da qui, non da altro, il rancore verso le nuove generazioni, l'invidia forse per qualcosa che loro hanno e che lui invece ha perduto per sempre: la giovinezza. La giovinezza, Elkann, quella che ti fa sentire in capo al mondo, anzi, il re del mondo (anche se indossi solo un paio di Nike dozzinali e un cappellino da baseball sdrucito e a dispetto del tuo completo di lino firmato e della tua stilografica probabilmente vintage e costosa), quella densa di aspettative per la serata e gli incontri, quella dell'adrenalina per le infinite possibilità di un'estate, delle vacanze, di un viaggio.

La nostalgia di un mondo perduto che nemmeno la più evocativa delle madeleine ti restituirà mai, Elkann, perché se c'è una cosa che ci accomuna tutti, ricchi e poveri, è il tempo che ci sfugge, la sabbia del tempo di cui non ci resta nemmeno un granello tra le dita (come diceva Poe). E avresti potuto scrivere dello scontro generazionale, del bei vecchi tempi passati che ci sembrano sempre migliori, ma perché eravamo giovani e guardavamo al mondo dalla prospettiva delle infinite possibilità. 

Avresti potuto scrivere di questo. E invece, nonostante il tuo bel Proust in francese, edizione limitata, scommetto, ti sei fermato alla formalità delle apparenze e quello che ci ha restituito il tuo pezzo è solo una scialba fotografia del tuo snobismo e classismo. 

Per inciso: anche a me i giovani rumorosi danno fastidio, ma il punto, anzi, i punti, sono tanti altri.

sabato 22 luglio 2023

Non è un paese per donne, Parte 2

 Un altro femminicidio, solito schema, donna lascia il marito violento, violenza conclamata per cui si era anche beccato 8 mesi, fatto che a lui evidentemente era andato poco giù, come osi tu donna ribellarti e così inizia a perseguitarla, la minaccia, le dice io t'ammazzo, lei continua a denunciarlo, guardi che m'ammazza, ormai dovreste saperlo come vanno a finire queste storie visto che c'è un femminicidio ogni tre giorni, MA LE AUTORITÀ NON FANNO NIENTE, as usual, così lei ieri se lo trova davanti con una pistola, prova a fuggire, a raggiungere casa di un'amica, ma viene freddata prima che possa raggiungere il portone. Finisce così la vita di una donna, sull'asfalto rovente in una giornata di luglio. 

Per colpa di un uomo, sì, ma anche dello Stato che è al corrente del tasso altissimo di femminicidi (praticamente una costante: come detto, uno ogni 3 giorni), ma non fa nulla.

E se vai a denunciare uno perché ti stalkera, ti segue, ti minaccia, puoi anche ancora incappare nel paternalista di turno che ti dice: "Signorina, è colpa sua che ha dato confidenza all'uomo sbagliato, noi finché lei non giace in una pozza di sangue non possiamo fare nulla e anche dopo stia tranquilla che troveremo tutte le attenuanti del caso perché si sa che poverino era stressato, depresso, ferito, umiliato, poverino e tutti quello che desiderava era solo continuare a stare con lei, signorina, perché l'amava tanto, ma proprio tanto e tutto quello che lei avrebbe dovuto fare, signorina, era accontentarlo, farlo felice, restare con lui ché Un altro femminicidio, solito schema, donna lascia il marito violento, violenza conclamata per cui si era anche beccato 8 mesi, fatto che a lui evidentemente era andato poco giù, come osi tu donna ribellarti e così inizia a perseguitarla, la minaccia, le dice io t'ammazzo, lei continua a denunciarlo, guardi che m'ammazza, ormai dovreste saperlo come vanno a finire queste storie visto che c'è un femminicidio ogni tre giorni, MA LE AUTORITÀ NON FANNO NIENTE, as usual, così lei ieri se lo trova davanti con una pistola, prova a fuggire, a raggiungere casa di un'amica, ma viene freddata prima che possa raggiungere il portone. Finisce così la vita di una donna, sull'asfalto rovente in una giornata di luglio. 

Per colpa di un uomo, sì, ma anche dello Stato che è al corrente del tasso altissimo di femminicidi (praticamente una costante: come detto, uno ogni 3 giorni), ma non fa nulla.

E se vai a denunciare uno perché ti stalkera, ti segue, ti minaccia, puoi anche ancora incappare nel paternalista di turno che ti dice: "Signorina, è colpa sua che ha dato confidenza all'uomo sbagliato, noi finché lei non giace in una pozza di sangue non possiamo fare nulla e anche dopo stia tranquilla che troveremo tutte le attenuanti del caso  tanto l'avrebbe comunque corcata di botte, prima o poi, ma è così che va il mondo. Un consiglio, se rinasce, la prossima volta si metta con l'uomo giusto perché in definitiva, signorina, la colpa è sempre vostra".

Non è un paese per donne

 Ieri a Viterbo una donna di 30 anni è stata ricoverata in stato di shock, con ferite e abiti strappati, all'ospedale di Belcolle. Arrivata due giorni prima con il treno per andare a trovare un'amica, appena scesa è stata avvicinata da due uomini in una macchina, costretta a salire a forza, rapita e portata in un appartamento, dove è stata stuprata e picchiata per 48 ore.

Praticamente il peggior incubo che una donna possa immaginare. 

Lo scorso settembre un'altra donna è stata stuprata nei bagni della stazione di Orte. Era andata in bagno, quando ha aperto la porta per uscire si è trovata di fronte un uomo con i pantaloni slacciati e i genitali all'aria che l'ha rispinta all'interno. 

Un altro degli incubi di noi donne. Vi risparmio il racconto di quando, diversi anni fa, ho rischiato la stessa cosa in un locale, per fortuna il mio compagno si accorse di questo ragazzo che mi aveva seguita fino in bagno ed è stato scongiurato il peggio. Ma potrei raccontare tanti altri aneddoti: di molestie, catcalling, violenze scampate ecc. 

Ecco, prima di usare un termine orrendo come "nazifemminismo", conseguente a una falsa idea secondo cui noi donne avremmo già tutti i diritti e vorremmo prevaricare gli uomini, pensate a questo: al fatto che nessuna di noi si sente al sicuro quando viaggia, quando esce la sera, quando si trova su una strada isolata e vede arrivare una macchina, un uomo o più uomini, quando va in un bagno pubblico, entra in un garage o sottopassaggio di notte, attraversa un parco, va a correre su una strada fuori mano ecc. Il più delle volte non succede nulla, ma l'ansia, la paura, lo stress, quelli non mancano mai. E perché a volte è anche questione di fortuna. 

Non siamo nemmeno libere di ubriacarci perché significa comunque abbassare la guardia, e poi magari ti ritrovi nel letto di uno la mattina e giudici e vox popoli ti dicono pure che te la sei andata a cercare perché non sia mai che vedano il fatto che una sia ubriaca come impossibilità a dare il suo consenso e quindi un aggravante che qualcuno si sia approfittato di lei...

Per molti, troppi uomini, come testimoniano fatti recenti, siamo solo pezzi di carne su cui fare commenti di natura sessuale o, peggio, da usare. 

Vero, non tutti gli uomini sono stupratori, molestatori seriali o maschilisti, ma tutte noi abbiamo paura degli uomini. 

Giorni fa ho commentato sotto a un post che parlava dei cronisti Rai licenziati per aver espresso commenti maschilisti su delle nuotatrici, dicendo che hanno fatto bene a licenziarli perché sebbene il provvedimento non risolverà i tanti problemi di una società e cultura patriarcali, è pur sempre un segnale. Gli uomini devono capire che non possono più parlare delle donne in un certo modo. Non lo possono più fare. 

Sotto al mio commento è arrivato un tipo che ha espresso una rabbia e una violenza da far paura perché chi è maschilista e misogino ha paura di perdere il proprio privilegio e potere sessuale. Sì, sessuale, cioè di sesso, del sesso maschile su quello femminile. 

Ovviamente l'autore del post si è guardato bene dal rimuovere quel commento perché molti altri uomini, anche se non sono maschilisti, rimangono comunque solidali al sesso di appartenenza, acquiescenti, zitti. 

Oppure, nella migliore delle ipotesi, vengono a dirci cosa noi femministe dovremmo o non dovremmo fare, e persino per cosa dovremmo indignarci e per cosa dovremmo gioire perché "ci vorrebbe ben altro!", secondo loro, ché tanto le molestie, gli stupri e i femminicidi mica avvengono sulla loro pelle!

Ecco, noi non vogliamo uomini femministi, il femminismo è di noi donne per noi donne, noi vogliamo uomini che isolino e prendano le distanze e sanzionino e condannino la violenza maschile, e gli uomini che la mettono in pratica, nelle sue tante forme, da quella espressa tramite il linguaggio, a quella reale che avviene sui nostri corpi.