venerdì 9 novembre 2012

Oltre la specie: una storia d'amore


Ho il piacere di condividere con voi un racconto bellissimo che mi ha mandato l'amico di blog Alessandro.
Buona lettura!

 
Nel 2008, verso la fine di ottobre, decisi di spostarmi nel Nord Italia per cercare un nuovo lavoro. Approfittando dell'appoggio di mia sorella, mi trasferii da lei. Condividevamo una camera che si affacciava su un giardino, e dopo qualche giorno feci un incontro destinato a stravolgermi vita e abitudini. :)
Una gatta soriana di piccola statura, spaventatissima da ogni essere umano, che passava davanti alla nostra camera una volta al giorno, e scappava via non appena intravedeva movimenti da parte nostra, persino con la finestra chiusa.
Non avevo mai avuto gatti, ma iniziai a lasciarle del cibo ogni giorno, e ad avvicinarmi gradualmente a lei. Dopo qualche settimana riuscii a passarle la ciotolina aprendo la finestra di qualche centimetro senza che lei scappasse. Rimanevo poi immobile aspettando che finisse. Dopo tre mesi, tre luuuunghi mesi di croccantini, appostamenti e fughe, una mattina la micia finì di mangiare e decise di ricompensarmi dandomi delle capocciatine sulla mano. Le feci le prime carezze, beccandomi anche le prime zampate. Non era evidentemente abituata al contatto con l'uomo, e dovevo muovermi pianissimo per non spaventarla. Io e mia sorella (che, terrorizzata dai gatti, non voleva che lei entrasse in camera) ci chiedevamo se la micia avesse una casa o se fosse una gatta di strada. I miei dubbi si sciolsero l'indomani: dopo una notte di pioggia, al risveglio alzai la serranda e lei era fuori ad aspettarmi, riparandosi alla meno peggio sotto una pianta, e completamente fradicia. Faceva un freddo cane. Indossai un maglione, uscii a sedermi su un gradino e lei mi salii sulle gambe, addormentandosi mentre cercavo di coprirla.
Nel pomeriggio corsi a comprare una cesta e una copertina, che sistemai in giardino, accanto alla nostra finestra. La micia gradì molto e, da quel momento, capì di avere una nuova famiglia.
Non potendo lasciarla entrare in camera come avrei voluto, uscivo in giardino non appena veniva a chiamarmi, arrampicandosi sulla finestra e miagolando in un modo stranissimo. 


Aveva una vocina flebile, che emetteva una sorta di "miiiiio" appena percepibile. Decisi di chiamarla "Miagolina" :D

Trascorsero i mesi, l'estate si avvicinava e mia sorella, supplente, sarebbe tornata a Bari alla fine dell'anno scolastico. Il mio conto corrente andava ormai prosciugandosi e, a parte collaborazioni occasionali, non ero riuscito a trovare un lavoro. A malincuore, nell'impossibilità di restare a Verona, decisi di cercare un'adozione per Miagolina.

Dopo una lunga ricerca, si fece avanti una ragazza. Viveva con un gattone grigio, un bel certosino, in un appartamento al piano rialzato, che si affacciava su un giardino. Tristissimo, una domenica misi la micia in un trasportino e la portai in quella che sarebbe stata la sua nuova casa.

Piangevo, non riuscivo nemmeno a parlare. Sedetti e liberai la piccola in casa, chiedendo alla ragazza di non farla uscire prima che si fosse del tutto ambientata. Miagolina, ovviamente, non si fece avvicinare dall'estranea.
Il mattino seguente - stavo già preparando le valige - la ragazza mi chiamò. Mi disse che sarebbe stata costretta a liberare anzitempo Miagolina, in quanto si azzuffava con il suo gatto e forse in un territorio neutrale avrebbero avuto modo di tranquillizzarsi.
Non molto convinto, le chiesi di aspettare il mio arrivo per farlo. Una volta lì, vidi Miagolina gironzolare in giardino, esplorare il nuovo territorio. Dopo una mezz'oretta di preoccupazione, dovuta al fatto che l'avevo persa di vista, lei tornò e tornò con me nella nuova casa, seguendomi addirittura per le scale.
La salutai, e tornai in quella che, qualche giorno dopo, non sarebbe più stata la mia camera.
Il giorno seguente, in tarda mattinata, telefonai alla ragazza per chiederle se era tutto a posto. Mi rispose che aveva fatto uscire Miagolina, e che si era allontanata senza fare ritorno.
Preoccupato, mi recai nelle vicinanze del suo appartamento ed esplorai tutto il quartiere. Niente da fare, la gattina era scomparsa. Ero nel panico, avevo poco tempo per ritrovarla e mi sentivo in colpa per averle stravolto la vita, averla strappata via dal posto dove era nata e cresciuta mettendone a repentaglio la vita. Sentivo di averla tradita e soffrivo tantissimo.
Passarono tre giorni e tre notti. Insonne, in quanto il dormire era diventato, ai miei occhi, una perdita di tempo, uscivo persino a notte fonda per cercarla, chiamandola per le vie e nei campi. Sapevo di essere l'unico a poterla avvicinare, e questa enorme responsabilità gravava su un morale già a pezzi. Un pomeriggio - mancavano ormai un paio di giorni alla fine del contratto di affitto, dunque ero davvero sul piede di partenza - mi inoltrai in un campo incolto. C'erano quasi quaranta gradi, ed è difficile spiegare come fossi ridotto. A un certo punto, dopo l'ennesimo richiamo, sentii un debolissimo miagolìo. Continuai a chiamare, timoroso di essermi illuso, o che dalle sterpaglie venisse fuori uno dei tantissimi gatti presenti nella zona. E invece, dopo qualche esitazione, venne fuori proprio lei! L'avevo trovata, e anche lì lacrimoni, stavolta di gioia. Era visibilmente sfinita, disidratata. Si trascinava e appena riuscì ad avvicinarmi si lasciò letteralmente cadere su un fianco. La riportai nel giardino davanti alla mia camera.

Dopo aver mangiato e bevuto abbondantemente, si concesse un sonnellino ristoratore. Nel giro di poche ore tornò la gattina che avevo conosciuto, vispa e coccolona.
Ma ora che Miagolina era di nuovo lì, mi trovavo davanti a una scelta difficilissima. Non avrei potuto portarla con me a Bari, in quanto i miei vivono in un condominio che sarebbe una prigione per un animale abituato alla vita all'aperto. Ma non mi andava neanche di abbandonarla al suo destino, proprio ora che aveva scoperto cosa fosse una carezza, cosa significasse vivere senza la preoccupazione di cercare una preda da mangiare. Soprattutto, avevo il timore (tutt'altro che infondato) che, avvicinandosi alla mia camera come era ormai abituata a fare, potesse trovare qualcuno capace di farle del male.
Stavo malissimo all'idea di dovermi separare comunque da lei. Una cara amica di nome Graziella mi suggerì di portarla in un rifugio per animali di sua conoscenza. Si trovava a circa mezz'ora da dove abitavo.
Trascorsi l'ultima notte in giardino, con Miagolina sulle gambe. Inutile descrivere il mio stato d'animo in quelle ore.
Il giorno successivo, nel primo pomeriggio, Graziella venne da me per portare me e la gattina al rifugio. Dovetti nascondere mezza compressa di sedativo nella pappa di Miagolina, per evitare che il viaggio fosse troppo traumatico per lei. Fu straziante vederla barcollare e chiedermi con lo sguardo di starle accanto. La lasciammo entrare in camera. Si stese sul letto, e quando cercavo di alzarmi per andare incontro alla mia amica, che mi aspettava nel parcheggio adiacente al giardino, cercava di seguirmi ma finiva per cadere.
Mi sentivo impazzire. Restai accanto a Miagolina, mia sorella andò incontro a Graziella per poi accompagnarla in camera. Non ebbi le forze per prendere la micia, vidi Graziella sollevarla e infilarla nel suo trasportino. Miagolii lamentosi e spaventati sembravano implorarmi di liberarla, e io mi sentivo morire dentro.
Poco dopo eravamo a Isola della Scala, affidai Miagolina alla volontaria del rifugio e le ricordai che l'avrei mantenuta in regime di pensione in quanto sarei tornato, un giorno, a riprenderla.
Non troverò mai aggettivi adatti a rendere l'idea dello strazio che provavo. Qualche ora dopo ero in treno, Verona si allontanava e, con essa, anche un affetto importantissimo per me. 


Trascorsero settimane, poi l'intera estate. Una volta a settimana telefonavo al rifugio chiedendo come stesse Miagolina. Mi mancava terribilmente, addirittura più di quanto mi fosse mancata la mia famiglia nei mesi in cui ero stato lontano da casa.
Ma la mia serenità era destinata a durare ben poco. Non riuscendo per diversi giorni a contattare la proprietaria della struttura, venni poi a sapere che Miagolina era riuscita a fuggire e che da circa un mese nessuno l'aveva più vista. Erano i primi giorni di ottobre 2009, senza esitare preparai i bagagli e partii per Verona.
Durante il lungo e straziante viaggio, durato un'intera notte, pensavo e ripensavo ai momenti in cui veniva a trovarmi, alle foto che ci ritraevano insieme, all'affetto che riusciva a darmi quell'esserino dal passato ignoto. Stavo male.
Non avevo un'auto, mi toccava andare al rifugio al mattino e tornare con dei volontari quasi a mezzanotte. Passavo intere giornate vagando per i campi, chiamando Miagolina, agitando un sacchetto con dei croccantini. Nulla. Al tramonto calava una fitta foschia, e in qualunque direzione mi voltassi vedevo solo buio e nebbia. Sentivo un freddo molto più profondo di quello dovuto alle temperature, già rigide, di quei giorni.
Di tanto in tanto tornavo nel capannone in cui era stata portata Miagolina i primi giorni. Mi sentivo in colpa, non accarezzavo i tanti, splendidi gatti che mi si avvicinavano. Li evitavo perché volevo che Miagolina sentisse ancora il suo odore sulle mie mani quando l'avrei ritrovata, capisse che ero lì solo per lei.

Trascorsero i giorni. Io, sempre più disperato e fuori di me, sentivo di essere colpevole per tutto ciò che era accaduto. Provavo un astio profondo verso me stesso e mi sentivo vuoto. La mia (ex) ragazza e la mia amica Graziella cercavano di tirarmi su e di darmi consigli. E io ero schiacciato tra la voglia di lasciarmi andare e il pensiero di quegli occhioni innocenti smarriti chissà dove, in quel gelo.
Mi chiedevo se avesse trovato un riparo, se qualcuno la stesse nutrendo. Mi chiedevo anche se potesse esser stata investita da qualcuno.
La sensazione più brutta era causata dal non sapere. Non sapere se fosse viva o meno, non sapere se fosse rimasta incastrata in una trappola, se fosse caduta in un pozzo. Non sapere se potesse essere ferita, e se col suo debolissimo miagolio mi stesse chiamando mentre, inconsapevole, passavo accanto al cespuglio sotto il quale si era rintanata.
Non sapevo più dove cercare, e dopo sette giorni di ricerca continua ero stremato. Una mattina, Graziella venne a trovarmi con l'intenzione di darmi una mano nella ricerca. Passeggiammo su un sentiero sterrato, sino a giungere nelle vicinanze di un vecchio capannone adibito ad allevamento di tacchini. Chiamai ancora. Non era la prima volta che esploravo quella zona, ma in quell'occasione ebbi una strana sensazione, cosicché decisi che nei giorni successivi sarei passato ancora da li.
La mattina successiva, infatti, tornai in quella zona. Chiamai a gran voce Miagolina, invano. Giunto alla fine del sentiero, mi fermai per accendere una sigaretta. "Giuro che se la ritrovo smetto di fumare" - dissi tra me e me. Stavo per tornare verso il rifugio, ma provai ancora la strana sensazione che avevo avvertito il giorno precedente. Mi voltai nuovamente e proseguii il cammino, attraversando un terreno agricolo.
Mi ritrovai davanti un container, qualche rottame e delle piante. Degli abiti appesi ad un fil di ferro lasciavano presupporre che qualcuno avesse vissuto, o vivesse ancora li. Chiamai ancora la gattina. Sentii un miagolio. Incredulo, chiamai ancora e dopo qualche istante vidi la mia piccola corrermi incontro.
Ero emozionatissimo, tirai fuori dal marsupio della pappa e gliela versai. Lei non smetteva di miagolare, persino mentre mangiava. Aveva di nuovo il manto invernale, mentre quando l'avevo salutata il suo pelo era cortissimo e sembrava ancor più piccola di quanto i suoi tre chili e quattrocento grammi di peso potessero indicare. Telefonai a Graziella, non ricordo esattamente cosa le dissi, piangevo, ridevo come un ebete e balbettavo per l'emozione. Subito dopo, chiamai la volontaria del rifugio, chiedendole di venirmi incontro con una gabbietta. Accartocciai il pacchetto di sigarette, che non era nemmeno vuoto. Da quel giorno non ho più fumato.
Quella sera il mio ritorno a casa non fu triste come i precedenti. Liberai di nuovo Miagolina nel suo giardino, e lei prima di farsi un meritato giretto trascorse molto tempo sulle mie gambe, continuando a miagolare senza fermarsi un secondo. Son certo che mi stava raccontando, a modo suo, tutto ciò che le era successo in quei mesi. Sembrava felicissima.

Rimasi a Verona, intenzionato a non separarmi più da Miagolina. Finalmente, riuscii a trovare un lavoro, seppur part time, che mi consente ancora oggi di starle accanto.
Io e la gattina ci siamo trasferiti lo scorso luglio in un appartamento che oggi condivido con la mia compagna e altre due persone. Sta benone e si fa voler bene da tutti.
A quasi quattro anni dal mio trasferimento a Verona mi rendo conto di quanto possa sembrare assurda questa storia.
"Ma come, ti sei trasferito per stare con un gatto?"

Ebbene sì. Chiamate pure la neuro!

Vi presento Miagolina, la micia a cui appartengo. Quando siamo insieme dimentichiamo di appartenere a due specie viventi differenti e lei non mi fa (quasi) mai pesare il fatto che sono soltanto un umano.


di Alessandro Cassano

20 commenti:

strega reticente valverde ha detto...

ho le lacrime agli occhi...
che meravigliosa storia finita bene... un caro saluto
val

Anonimo ha detto...

:')

Martigot ha detto...

Una vera storia d'amore :-)

Rita ha detto...

Ciao Val,
un caro saluto a te. :-)

E anche a Rò e Martigot ovviamente. :-)

Avete visto che bella Miagolina?
E penso che quello che ha fatto Alessandro per ricongiungersi a lei lo avrebbero fatto in pochi, forse nessuno.

Alessandro Cassano ha detto...

grazie per aver pubblicato la mia storia :)
Leggere il "diario" di quelle vicessitudini mi emoziona ancora. E' difficile spiegare con le parole l'angoscia di quei sette lunghi giorni passati in giro per i campi con la consapevolezza di aver stravolto la vita di un esserino che si era legato tantissimo a te.

Anonimo ha detto...

anche la mia mi da' le capocciatine sulla mano...

bradipo ha detto...

bellissimo racconto, da far venire i lucciconi agli occhi. Eppure per lavoro ( sono veterinario) dovrei essere abituato a quanto sono straordinari gli animali . Solo chi non ha mai vissuto con loro non sa quanto ci possono insegnare e quanto si fanno amare.

Romina Tamerici ha detto...

Una bellissima storia, Alessandro!
Io e gli animali abbiamo un rapporto molto particolare e stretto e quindi capisco benissimo tutte le sensazioni che hai descritto in questo post. Auguro a te e a Miagolina una serena e lunga vita insieme.

Rita ha detto...

Grazie a te Alessandro per aver condiviso questa bellissima storia. :-)
Una carezzina a Miagolina.

Rita ha detto...

@ luoghinonluoghi

Pure a me danno sempre le capocciatine, li adoro quando fanno così.

@ bradipo

Bel lavoro. Spero che tu possa curare e salvare più animaletti possibili. :-)

@ Romina
In fondo siamo animali anche noi, pure se spesso tendiamo a dimenticarlo. ;-)

Daniele ha detto...

Hai fatto bene a restare lì per la gatta. Te ne saresti pentito, se avessi agito diversamente, e chissà che fine avrebbe fatto lei.

Romina Tamerici ha detto...

Dovremmo ricordarcelo più spesso. Gli animali hanno molto da insegnarci, solo che noi fingiamo di essere superiori.

vegana ha detto...

Bel raccounto lo farei leggere a quanti però fanno distinzione tra gli animali, certo non puoi tenere un vitello in casa ma non per questo uno deve stare uno in salotto e l'altro deve andare al macello.

Bella storia.

Alessandro Cassano ha detto...

grazie :)

Lucia Donati ha detto...

Nel tuo racconto hai condensato i sentimenti di un vero amante dei gatti: chi lo è davvero capisce e condivide! Bravo, ben fatto!

Paòlo ha detto...

E' una storia stupenda per come finisce. Complimenti perché non hai mai perso la speranza e non ti sei mai arreso.

Le persone devono imparare da te, imparare che questi esserini pelosi meritano amore e sanno a loro volta amare.

Alessandro Cassano ha detto...

Grazie a tutti per i commenti positivi e gli auguri che mi avete rivolto. Non mi ritengo una persona speciale, ho avuto la fortuna di conoscere quanto amore possano dare gli animali e da allora la mia vita è cambiata in meglio. Anni fa ero totalmente indifferente alla questione animalista. Oggi, grazie a esperienze che mi hanno aperto gli occhi su quanto sia bello il rapporto che può instaurarsi tra uomo e animale, posso definirmi una persona migliore rispetto a quella che ero.

Lucia Donati ha detto...

Lo scambio d'amore fra essere umano e l'animale rende l'essere umano degno di tale nome e senz'altro lo mette in comunicazione con la felicità e può con essa dialogare. Chi è egoista e non è capace di amare gli animali e rispettare la vita in generale non ha accesso alla felicità vera ma solo, eventualmente ad una forma fittizia di questa.

Rita ha detto...

Mi raccomando però, come ben ha ricordato Vegana, ricordate che non solo i gatti sono esseri meravigliosi capaci di donare amore e di avere una loro individualità, ma TUTTI gli animali, nessuno escluso.
Basta mangiare animali, basta gabbie, basta sfruttamento.
Animali liberi! ;-)

Volpina ha detto...

Cavoli mi ha fatto piangere... stupenda questa storia...