domenica 8 settembre 2013

Io sono il maiale che viene ucciso: ripartire dal dolore degli animali




Il mio punto di partenza è che la sofferenza animale non è relativizzabile e che il dolore degli animali è oggettivo. Partendo da qui, si capisce come si possa formulare un'etica oggettiva (per approfondimenti in merito leggasi "Il maiale non fa la rivoluzione" di Leonardo Caffo, il quale ha messo nero su bianco e teorizzato tutto ciò su cui io penso sia necessario riflettere per poter parlare di liberazione animale).
Il dolore degli animali va messo al centro di ogni discorso perché continuando a eluderlo si riduce il tutto a uno scambio dialettico tra me e l'altro, ove il vero soggetto in gioco, l'animale - perché in definitiva è della sua vita e morte che stiamo discettando - viene messo da parte ancora una volta. Certo che ho la pretesa di dire cosa sia giusto e cosa sbagliato perché esistono indubbiamente azioni sbagliate: far soffrire, sfruttare, uccidere altri esseri senzienti è sbagliato. Se ci mettiamo a relativizzare pure questo, allora che ci stiamo a fare? E non si tratta di essere moralisti o di aggredire le persone, bensì di svelare loro la realtà dello sfruttamento animale, legittimando l'urgenza e la specificità della nostra battaglia; una battaglia che, in quanto a importanza, non è secondaria a nessun'altra perché, ditemi, cosa ci può essere di più grave del fatto che vengono sistematicamente fatti a pezzi 50 miliardi di esseri senzienti all'anno e solo per l'industria alimentare?

Mi pare assurdo che quando si tratti di tragedie umane allora si sia disposti a condannare, senza se e senza ma, fatti, idee, massacri, stermini e ideologie che riteniamo assolutamente sbagliate (il fascismo, il nazismo, le guerre ecc.), mentre quando si tratta degli animali ancora una volta, persino noi che ci fregiamo del titolo di antispecisti, siamo disposti a barattare, dialogare, confrontarci su un piano dialettico, relegando nuovamente sullo sfondo gli animali e la loro sofferenza.

Il nostro compito è quello di puntare il riflettore sulla tragedia dello sfruttamento degli animali e di certo non è sminuendo la portata della sua ingiustizia che faremo un passo avanti.

Io sono il maiale che viene ucciso. Non apro bocca per esprimere le mie personali prese di posizione, ma per il maiale che soffre e sanguina.

Una volta capito questo, si capisce anche la radicalità della nostra battaglia.

Si dimentica troppo spesso che i veri soggetti implicati nella liberazione animale sono gli animali stessi (noi siamo solo dei portavoce, degli intermediari) e si continua a discutere dialetticamente come se entrambe le posizioni - quelle di chi opprime e quelle di chi difende gli oppressi - fossero valide e legittime.

È questo che trovo assurdo. Il vivisettore NON ha ragione. La sua posizione non è giustificabile, non è valida, non è accettabile, non è difendibile.

Che poi, se solo capissimo che siamo tutti fatti della stessa sostanza... non dei sogni, come diceva qualcuno, ma invece di carne, sangue, nervi e con la stessa voglia di vivere e paura di morire, forse ci renderemmo conto che l'ideologia dell'antropocentrismo non ha alcun senso, è solo una finzione.

Nasciamo, vogliamo vivere, siamo destinati a morire. Capito questo, perché aggiungere altra sofferenza, altro dolore, e sfruttamento e miseria e meschinità?

Le cose sono semplici, più semplici di quello che appaiono. Per questo servono poche parole, pochi discorsi, ma chiari e lucidi. E convinti, perdinci.

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