venerdì 8 novembre 2013

Una breve riflessione sulla libertà



Ieri A Roma un elefante è riuscito a evadere dalla sua prigione, il circo, riuscendo ad assaporare, seppure brevemente, quel sogno indomito di libertà che si porta dentro da sempre.
Ha un’espressione lieta nelle due foto che circolano in rete, tutto intento a mangiucchiare i ramoscelli di erba selvatica del campo su cui si è messo allegramente a passeggiare, dirigendosi verso il mercato ortofrutticolo del rione di Porta Nona, forse, chissà, attratto dai colori variopinti della frutta di stagione.
Rispetto al povero cucciolo di giraffa Alexandre, anche lui evaso più di un anno fa dalla prigione-circo, e ucciso per una dose letale di sonnifero somministratagli nel tentativo di catturarlo, direi che all’elefante è andata apparentemente meglio, anche se non so quanto si possa considerare “meglio” la prospettiva di trascorrere il resto della sua vita in una prigione, costretto a eseguire umilianti numeri per sollazzare umani con il gusto dell’esercizio del potere sui più deboli e indifesi.
A fronte di tutti questi vari e ripetuti nel tempo tentativi degli animali di scappare dai luoghi della loro prigionia, ne ricavo l’assoluta certezza che essi sappiano bene cosa sia la libertà, pur essendone privati e persino quando nati in cattività: la annusano, la sognano, la cercano, vi aspirano continuamente. Come un desiderio genetico trasmesso di generazione in generazione, come un’impellente necessità etologica, seppure nati schiavi, essi sanno e cercano la loro libertà (che poi non è altro che poter esprimere e portare compimento tutte le loro potenzialità etologiche – fisiche e psicologiche – relative alla specie d’appartenenza).
Noi animali umani invece siamo schiavi dei nostri schemi mentali senza nemmeno rendercene conto, intrappolati in una ragnatela culturale che noi stessi abbiamo intessuto con le nostre mani (diceva Max Weber), eternamente servi di un potere che noi stessi contribuiamo ad alimentare e perpetrare.
Proprio ieri leggevo nelll’ultimo romanzo di Vittorino Andreoli, dal titolo La quarta sorella, una bella discussione proprio sul tema della libertà: una discussione condotta da tre diversi personaggi femminili che a turno enunciano le loro diverse tesi argomentandole ed elaborandole diffusamente.  Se ne evince che una visione distorta del concetto di libertà tende ad assimilare quest’ultima proprio al potere, o, peggio, ad identificarla con esso, in quanto si tende erroneamente a credere che più potere si abbia e più libertà di agire, intesa come una somma di privilegi e di possibilità di accedere a beni illimitati, si conquisti: “Io vedo dappertutto desiderio di potere e leggo questo bisogno come desiderio di libertà o di liberazione da soprusi e da imposizioni, dall’obbligo di obbedire, che invece dovrebbe caratterizzare la voglia di dipendenza. Il dipendente obbedisce, il potente comanda. (…) La storia dell’uomo, mie care sorelle, tende verso la libertà e la motivazione che lo spinge è la conquista del potere, altro che la dipendenza”.

Continua su Gallinae in Fabula.

Qui invece un breve dialogo sempre sul tema della libertà.

17 commenti:

Erika ha detto...

Ho dei dubbi su quello che hai scritto, per Hegel non si può sapere cosa è la libertà se non la si è conosciuta e io penso di concordare con Hegel...

Erika ha detto...

Del resto tutti noi facciamo vite imprigionate come ho scritto sul mio blog

Erika ha detto...

Anche tenere cani e gatti in casa è una forma di prigionia per loro però ci si sono abituati, vedi che ha ragione Hegel, ciao

Rita ha detto...

Erika, i cani e i gatti sono animali ormai domestici ed hanno esigenze etologiche diverse rispetto a quelle di altre specie selvatiche come i leoni, le tigri, gli elefanti ecc.. Queste cose non le sostengo io, ma l'etologia.
Dubito che la vita imprigionata che conduciamo noi possa essere paragonata a quella di un animale in gabbia, in gabbie reali intendo, costretto a subire abusi di ogni tipo ed addestramenti coercitivi per eseguire esercizi contronatura.
I frequenti episodi di tentativi di evasionane degli animali detenuti negli zoo e circhi dimostrano che hanno consapevolezza della loro prigionia e che cercano di ribellarvisi e sottrarvisi. È stato scritto un libro (purtroppo non ancora tradotto in italiano) che raccoglie queste storie: Fear of the animal planet di Jason Hribal.
Ciao.

Rita ha detto...

* di evasione

Rita ha detto...

P.S.: e del resto basta osservare lo sguardo di un leone, elefante o di qualsiasi altro animale in gabbia per rendersi conto di quanto aneli alla libertà.

Qui la storia del giraffino Alexandre: http://www.ildolcedomani.com/2012/09/alexandre-ovvero-anche-gli-animali.html

Anonimo ha detto...

io non sono antispecista, ma... ancora gli animali al circo, qui in italia? Occupatevi di queste sofferenze davvero inutili invece di opporvi alla ricerca medica.

Rita ha detto...

Non ci opponiamo alla ricerca medica, bensì alla sperimentazione animale. ;-)

E comunque ci occupiamo di tutte le forme di sfruttamento degli animali, nessuna esclusa.

Erika ha detto...

Rita non concordo, cosa significa che cani e gatti sono animali domestici ormai ??? Glielo hai chiesto tu per caso? Scherzi? Io vedo sempre padroni di cani che rimproverano i cani quando abbaiano quando abbaiare è una loro naturale forma di sfogo/comunicazione ecc., vedo spesso padroni che castrano i gatti , e ti credo che poi i gatti diventano docili, li hanno castrati! IO penso con la mia testa e questo penso.
E poi si, sostengo come molti esseri umani ( non tutti ) fanno vite piene di dolore, dolore dell' anima e anche del corpo, come me ad esempio, tu non hai la minima idea di quanto soffro io, ciao

Erika ha detto...

Una forma di specismo è anche far diventare le sofferenze umane sofferenze di serie b rispetto a quelle di altri animali, le gabbie per gli umani esistono eccome mia cara, basta vedere la situazione degli immigrati, degli omosessuali, transessuali , portatori di handicap e altre persone che subiscono mille e più discriminazioni e denigrazioni, rispetto per gli umani grazie. Antispecismo.

Erika ha detto...

Se non parli anche delle sofferenze umane devi togliere la scritta antispecismo dal tuo blog, grazie.

Erika ha detto...

Vatti a leggere le storie dei suicidi di ragazzi omosessuali, e parlane sul tuo blog, sono esseri viventi anche loro e non sono minerali.

Rita ha detto...

Erika, antispecismo, nella sua accezione etimologica originaria, significa combattere le discriminazioni degli animali non umani derivanti dal pregiudizio di specie.

Mi pare ovvio che poi estensivamente esso contempli la lotta contro ogni forma di discriminazione e sfruttamento, quindi compreso quello degli animali umani, ma nel mio blog ho scelto di concentrarmi in particolare su quello degli animali non umani. Ritengo inoltre che la lotta per la liberazione degli animali non umani abbia una sua specificità perché specifiche sono le maniere in cui gli animali non umani sono sfruttati.

Erika ha detto...

Ti sbagli, non c'è nessuna specificità, la macelleria verso gli animali non umani è la stessa compiuta verso molti umani

Erika ha detto...

È sempre la solita pappa: l' odio verso i più deboli

Rita ha detto...

Erika, senti, non ti permetto di riferirti a me in questa maniera, sbagli di grosso se pensi che io non sia in prima linea a difendere i deboli, sempre e comunque.

Quando vedremo tir di esseri umani condotti al mattatoio o allevamenti in cui le donne vengono ingravidate a forza per poi prender loro il latte o ancora allevamenti in cui a persone legate vengono infilati tubi nella gola per alimentarle forzatamente così da far loro ingrossare il fegato, o ancora scuoiamenti di pelle su persone vive, allora potremo dire a ragione che lo sfruttamento animale non ha una sua specificità. Da quel che mi risulta, per quanto tu possa sentirti offesa, discriminata o dominata dal sistema, sei al tuo pc a scrivere, non su un tir diretta al mattatoio. Questo intendo per specificità della liberazione animale, senza nulla togliere alle tragedie tutte umane.

Non ne sto facendo una questione di maggiore o minore dolore, non sto facendo cioè una graduatoria del dolore, ma semplicemente rilevo una specificità degli uni e degli altri.

Rita ha detto...

P.S.: inoltre gli animali umani, seppure faticosamente e spesso invano, hanno comunque la possibilità di scendere in piazza per loro stessi, di lottare per i loro diritti, hanno la facoltà di potersi ribellare o difendere. Gli animali non umani invece no, non hanno gli stessi strumenti di lotta - fosse anche solo la penna o il microfono per parlare o la possibilità di manifestare liberamente sulle strade - che abbiamo noi; anche questo rende la lotta per la liberazione animale specifica.