domenica 11 aprile 2021

The Serpent's Way: riflessioni su donne e animali

 

Ieri sera ho iniziato a guardare un film svedese del 1986 intitolato The Serpent's Way, diretto da Bo Widerberg.

La trama è semplice: ci troviamo in un villaggio rurale, secolo non ben precisato - credo ottocento, dagli abiti, ma potrebbe essere anche prima o inizi novecento, comunque si va ancora a cavallo - e un commerciante prima, suo figlio poi, abusano di più generazioni di donne di una famiglia molto povera per riscuotere i debiti che aveva contratto il loro padre, ormai deceduto. Il commerciante diventa proprietario della loro modesta casa e ogni anno passa a riscuotere l'affitto in cambio di prestazioni sessuali. 

Una storia quindi di violenza e abusi in cui i corpi delle donne sono usati come moneta sonante, come merce di scambio. 

La cosa che più mi colpisce è la correlazione stretta tra animali e donne, infatti questa famiglia povera possiede una vacca e una capra, da cui prendono il latte (imprecisione scientifica significativa, dal momento che sia la capra che la vacca vengono rappresentate come animali da mungere per il latte, ma non si parla di gravidanze, non ci sono i cuccioli e non c'è nemmeno il montone o il toro); la vacca viene offerta in cambio dei servizi sessuali. 

Quindi, il corpo della donna è mercificato sessualmente dal commerciante, quello della vacca è mercificato dalla donna. 

Il commerciante valuta il valore economico della vacca, soppesandola con lo sguardo, tastandole il corpo, quindi dice che è troppo magra per essere mangiata, che dà poco latte e che macellarla per la sola pelle non avrebbe reso molto. 

Donne e animali sono entrambi beni di scambio, ma la differenza sostanziale consiste nel fatto che la vacca è usata anche dalla donna stessa e dai suoi figli: per lei è semplicemente un oggetto che produce reddito, e sarebbe stata disposta a mandarla al macello.

La donna, inoltre, per un certo periodo ha una relazione con un uomo che in qualche modo riesce a pagarle il debito con il commerciante almeno per un anno, quindi per un anno è, diciamo, esonerata dall'offrire servizi sessuali al commerciante, mentre vacche e capre continuano a essere usate per tutto il tempo della loro esistenza, per poi finire al mattatoio. 

Le analogie tra femminismo e antispecismo sono molte, ma gli animali sono sempre e solo vittime, in funzione del reddito. 

I loro corpi talvolta si sovrappongono nell'uso da parte di chi detiene il potere economico, ma anche l'affrancarsi dei poveri finisce sempre, in qualche modo, per passare attraverso lo sfruttamento degli animali (significativo il fatto che oggi molte donne diventino imprenditrici mettendosi ad allevare capre).

Questo perché, al di là delle analogie tra donne e animali, la differenza di specie tra animali umani e non umani produce precise gerarchie ontologiche. Combattere lo specismo significa combattere questa gerarchia qui, quindi l'antropocentrismo. E non è soltanto un discorso economico, ma culturale in senso ampio, cioè che riguarda il modo in cui innanzitutto pensiamo, immaginiamo, nominiamo prima, e usiamo poi gli altri animali. E di come poi talvolta ricorriamo ad essi per spingere anche l'umano nell'insieme di valore inferiore che attribuiamo agli animali in quanto credenza e pregiudizio dato per valido senza bisogno di essere confutato, per definizione.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il film è ambientato nella seconda meta del XIX secolo. Lo si evince dalla scena in cui il commerciante scrive la data di nascita dei figli della affittuaria.

Rita ha detto...

Grazie! Mi era sfuggito il particolare.