lunedì 14 febbraio 2011

Il dolce domani

Un primo breve (spero!: la sintesi non è mai stata il mio forte!)  post per dare vita a questo spazio che vorrei riuscire a rendere davvero “mio”, senza censure (soprattutto le mie!), senza riserve (soprattutto le mie!), senza giudizi (temo soprattutto i miei!). Uno spazio in progress, capace di aderirmi addosso giorno dopo giorno, senza che ci sia uno scollamento tra quello che sentirò davvero di dire e quello che poi sceglierò davvero di scrivere.
Pirandello diceva che solo i matti sono davvero liberi di dire tutto ciò che gli passa per la testa, perché tanto sono matti. Ecco, la mia ambizione è quella di provare l’ebbrezza di questo tipo di libertà, quella che si esime persino dai giudizi con cui tendiamo a definire noi stessi, individui senzienti e percipienti quel sé che, per quanto irriducibile a se stesso, resta comunque imprigionato nelle gabbie delle sovrastrutture sociali e culturali, delle fobie, delle nevrosi, della lotta continua per emergere vincenti dal giudizio che si ha di se stessi.
Spero che questo blog mi aiuti a sentirmi libera. Anche, e, soprattutto, libera da me stessa. 
Perché ho scelto di chiamarlo come l’omonimo, bellissimo, film del regista Atom Egoyan?
Perchè, oltre ad essere uno dei miei film preferiti, è anche un film che parla di uno dei miei argomenti preferiti, cioè la morte.
Ora qualcuno potrebbe pensare che io sia una maniaco-depressiva-sfigata e grattarsi anche un po’ le palle, oppure potrebbe pensare che questo sia uno di quei blog pedanti e retorici in cui si cerca di parlare delle solite questioni esistenziali o, al contrario, potrebbe anche incuriosirsi e decidere di andare avanti. La verità è che, qualsiasi sia la risposta,  prima o poi comunque toccherà ad ognuno di noi di fare i conti con la morte, e così io, intanto, nell’attesa, mi preparo.
Da piccola pensavo alla morte con sollievo, ero convinta che in quel momento finalmente mi sarebbe stato svelato il segreto della vita. Poi, crescendo, ho cambiato idea. La morte ha iniziato a farmi paura.
Poi ancora, ho capito che non è tanto la morte in sé a farmi paura quanto il pensiero che, quando avverrà, non ci sarà nessun segreto da essere svelato. Ed è stato allora che ho potuto realizzare che la mia paura della morte non è in realtà che paura della vita, o meglio, paura che la mia vita possa sprofondare un giorno in un gran vuoto esistenziale, in un abisso di nonsense quotidiano che si dà come semplice attesa della fine (un po’ alla Beckett, diciamo).
Sono quindi giunta alla conclusione che il modo migliore per prepararsi alla morte sia quello di vivere, tentando di dare un senso al tempo, smettendo di percepirlo come un bonus fino ad esaurimento ma come opportunità per fare qualcosa di buono (mi dicono che è anche quello che suggeriva Heidegger in Sein und Zeit). E quando intendo buono non intendo nemmeno qualcosa di costruttivo, che tanto tutto finisce prima o poi, ma proprio di buono. Nel senso che: visto che siamo tutti sulla stessa barca, uomini ed animali compresi,  tutti diretti alla medesima destinazione finale, cerchiamo almeno di aiutarci a vicenda, facendoci del bene, o, almeno, senza farci del male.
Ecco, mi rendo conto che a leggermi così uno si possa fare un’idea sbagliata di me, percependomi come persona sdolcinata, buonista e, peggio ancora, moralista. Ma non mi importa. Ho detto che voglio sentirmi libera, dai giudizi degli altri e da quelli di me stessa, ossia di quello che io possa pensare che gli altri pensino di me.
Penso spesso alla morte. E’ vero. E più che la mia - che temo in senso proprio fisico e psichico - mi annichilisce il pensiero  di quella delle persone a me care. Però, a pensarci, o anche solo ad immaginarla, anche un po’ morbosamente se vogliamo, mi aiuta perché in un certo senso mi permette un confronto diretto con l’evento, per quanto fittizio, solo immaginato.
Il dolce domani perché un domani può esistere solo se c’è anche un oggi. Perché è proprio quel domani a dare un senso all’oggi.
Per restare in tema, ieri sera ho visto Dead Man di Jim Jarmusch (parlerò spesso di libri letti e film visti): ecco, questo è un film che offre un punto di vista originale ed inedito sulla morte. L’intera vicenda del protagonista infatti, che compie un itinerario fisico ma anche psichico, si snoda come viaggio iniziatico verso l’ineluttabilità della morte. Ad aiutarlo un Indiano psico-pompo, colui che, dopo il trapasso, guida le anime alla loro destinazione finale. La storia narra il viaggio di un semplice contabile che si chiama William  Blake, proprio come il noto poeta e pittore, e che, proprio come tale viene creduto dall’Indiano Nessuno, convinto che il poeta sia capitato per caso nel mondo dei vivi e che sia meglio aiutarlo a traghettarlo al di là, in quello dei morti. Nello scarto tra la tragicità della vicenda reale, tra pericoli e difficoltà varie, del contabile Blake e l’ironia dell’equivoco generato dal suo nome, si celano inaspettate situazione grottesche ma si rivela, ancor più inaspettata, anche la poesia. In una terra sempre più alienata e desolata il giovane Blake ha modo di confrontarsi in maniera sempre più ravvicinata con la morte, fino a che,  l’ultima scena, ce lo consegna ormai rappacificato, su una canoa che ondeggia nel mare, con il volto disteso, i lineamenti rilassati, pronto per il viaggio finale (e mi ha richiamato alla memoria quel bellissimo quadro di J.W. Waterhouse che è "Lady of Shalott"). Ed è una scena capace di trasmettere, paradossalmente, una calma incredibile, e calore, e pace. Che quasi quasi vien voglia di trovarsi lì, accanto a lui (anche perché è un Johnny Depp che sta di un figo pazzesco!).
Una scena che, non a caso, mi conferma quanto scritto sopra, e cioè che se c’è un qualcosa che dobbiamo temere quella non è la morte ma piuttosto l’idea  di una vita non vissuta nella piena consapevolezza.
Questo è per darvi un’idea di quanto tutto ciò che vedo o leggo o sperimento nella mia quotidianità serva a darmi il metro di misura del mio essere. E chissà, forse se ieri sera non avessi visto Dead Man non avrei parlato, in questo mio primo post, della morte. Magari il blog nemmeno l’avrei chiamato Il dolce domani. O magari non l’avrei aperto proprio.
Vorrei che questo spazio, oltre tutto ciò che ho scritto sopra, fosse un mio Stream of Consciousness, un luogo dove lasciare che avvenga il miracolo delle parole scritte che materializzano i pensieri.
Oggi c’è stato Dead Man e Il dolce domani, e tutto questo pensare alla morte di questi giorni. Domani chissà. Potrebbe essere una riflessione scaturita da una lettura o da un episodio vissuto.
Perché io sono i miei pensieri molto più di quanto qualsiasi altra definizione potrebbe dire di me.

6 commenti:

Emmeggì ha detto...

Direi che ci stai riuscendo molto bene.
E la Morte è importante, e non c'entra nulla con l'essere depressi, semmai con l'avere a cuore, come dici tu, una buona Vita, che ha un inizio e una fine, come dici tu.
Un abbraccio!

Rita ha detto...

Bukowski diceva che "la cosa terribile non è la morte, ma le vite che la gente non vive".
Eh già.
Ma infatti la depressione ha più a che fare con il vuoto esistenziale e con l'assenza di desiderio, del desiderio appunto di vivere, di percepirsi vivi.
Un abbraccio a te :-)

(e grazie per aver onorato questo mio primo post con un tuo commento).

Giovanni ha detto...

subito mi vengono in mente le vite di 'quieta disperazione' di whitman e allora è proprio vero: la vita è vera solo se le diamo un senso. nella direzione della bontà cosìcome l'ha spiegata rita, solo se non disperdiamo il nostro insieme di ore e giorni.
ma detto ciò, ricordo che da bamnino, a letto, prima di dormire, mi sforzavo di immaginare la 'mia' morte , non come atto cruento, ma come sospensione delle sensazioni, e cercavo subito dopo di immaginarmi l'infinito dello spaizo e del tempo. da bambinio, non si ha soggezione verso alcuna cosa

Unknown ha detto...

Scu8sa la mia insana (o infantile) curiosità, volevo legger qualcosa di più su un membro della commissione "Racconti di merda 2014". E son finito qui.
Ma o di un bolg innanzitutto leggo il primo e poi random qua e là.
Idee chiare le tue.
Buone cose

Rita ha detto...

Legittima curiosità la tua, tieni presente che nel frattempo sia io che il blog probabilmente ci siamo evoluti un po' (spero non involuti almeno):-D

Rita ha detto...

Rileggendomi, prima usavo un sacco le "d" eufoniche. :-D Forse oltre a stare nella giuria "racconti di merda" potrei candidarmi io stessa. :-D