martedì 11 ottobre 2011

Carnage di Roman Polanski


Una delle caratteristiche dei film di Polanski è l’ambientazione in interni di appartamenti, talvolta concepiti come concrezioni della mente i cui confini si restringono sempre più (Repulsion, L’Inquilino del Terzo Piano) oppure si dilatano fino a divenire campo di battaglia su cui rievocare tragedie storiche di un passato tragico mai rimosso, storico e individuale insieme (La Morte e La Fanciulla); o ancora sono luoghi-emanazioni di inquietanti presagi in cui - dietro l’apparente tranquillità domestica - si nascondono e agiscono forze sovrannaturali (Rosemary’s Baby), ma anche costrizioni claustrofobiche scatenanti pulsioni autodistruttive (Il Coltello nell’Acqua, Cul de Sac, Luna di Fiele); oppure, come nell’ultimo lavoro del regista di origini polacche, ecco che lo spazio chiuso dell’appartamento - luogo per antonomasia del privato a partire dall’era moderna,  assurto a simbolo di una classe sociale, quella borghese - diviene catalizzatore di nevrosi e frustrazioni e di tutto ciò che è bene reprimere all’esterno in ottemperanza e ossequio alle leggi di un presunto e ostentato raggiunto certo grado di civiltà, ben presto poi smascherato quale solo ipocrita appretto di perbenismo spruzzato in superficie, a rivestire di una patina talvolta meramente ideologica la natura egoistica dell’essere umano.
In Carnage - interamente girato in appartamento e la cui vicenda si snoda in tempo reale per tutta la durata del film, esattamente 80 minuti - Polanski costruisce una dialettica a quattro voci (Kate Winslet, Jodie Foster, John C. Reilly, Christoph Waltz: il film merita di essere visto anche solo per la straordinaria prova attoriale del quartetto, una vera e propria gara di sfaccettata e poliedrica bravura) per smantellare e far crollare rovinosamente a terra tutto il castello delle convenzioni borghesi su cui poggia il mito della tanto decantata civiltà occidentale. Questo, almeno, è quanto apparentemente sembra avvenire. Ma se fosse solo questo, davvero il film sarebbe solo un’eccellente sfida virtuosistica di regia (stupefacenti certe inquadrature dei personaggi, ora ripresi frontalmente, ora che voltano la schiena alla telecamera, disposti in maniera da essere sempre rispettivamente - singolarmente, o a coppie - figurativamente e dialetticamente contrapposti): l’ennesima messa a nudo della vera natura dell’essere umano celata dietro l’ammasso sovrastrutturale della cultura, della buona educazione, dell’arte, delle etichette e norme sociali.
In realtà il confronto delle due coppie, determinato da un litigio tra i rispettivi figli, di cui uno accusato di un comportamento violento contro l’altro, diviene dapprima un confronto tra due nuclei matrimoniali espressioni di microcosmi a contrasto, per poi trasformarsi nell’inattesa rivelazione di singole e individuali solitudini e frustrazioni, frutto di incondivisibili percezioni e concezioni del mondo e della realtà, in cui solo per brevi sfuggenti attimi si può avere l’illusoria e fuggevole convinzione di essere sfiorati dal calore di una reciproca comprensione.
Ogni personaggio è drammatico e patetico a modo suo, ipocrita nell’indossare l’abito delle convenzioni e costrizioni sociali, cui lo status sociale cui appartiene ambisce a conformarsi, ma anche ingenuamente sincero nello sforzo di cercare pian piano di scoprire e di far emergere quel nucleo autentico del sé; ed è però nell'inatteso affiorare di questo nucleo individuale che si annida la percezione della propria solitudine esistenziale.
Forse il personaggio più interessante di tutti è quello di Jodie Foster, specialmente nel momento in cui dice: “mi sono sforzata per tutta la mia esistenza di sollevarmi dalla mediocrità, per poi finire maltrattata ed incompresa da tutti”; autentica è infatti la sua spinta altruistica, il suo impegno umanitario verso i paesi del cosiddetto terzo mondo, il suo grado di empatia esteso oltre i confini del proprio elegante appartamento, ricco di libri e oggetti d’arte (esilarante la scena in cui cerca di recuperare le pagine del “suo Kokoschka” e si dispera - forse, potremmo dire, con lacrime pari a quelle versate quando cerca di parlare, con viva partecipazione, del conflitto del Darfur? -  dopo che la Winslet ci ha malauguratamente vomitato sopra, anche se minore empatia sembra però provare per la sorte del criceto di casa, dal di lei marito abbandonato in strada, anche se, a un certo punto, incalzata dalla Winslet, ammetterà l’inciviltà e ignobiltà del gesto), autentica la sua convinzione di combattere con ogni mezzo i gesti e i comportamenti violenti in quanto “civiltà significa affrancarsi dalla violenza”, salvo poi tirar fuori ella stessa un’inaudita natura privatamente esplosiva in cui arriva persino ad alzar le mani contro il marito, cedendo a una scomposta crisi isterica, dal basso della quale cominciare a intravedere le crepe di una civiltà  - quella occidentale - ormai prossima ad andare in frantumi, così come quelle della propria anima, una volta preso atto del fallimento di ogni tentativo di confronto con l'altro, compreso suo marito.
Ed a proposito di frantumi, un ruolo quasi di primo piano spetta - sintomaticamente - ad uno dei simboli per eccellenza della nostra avanguardistica civiltà ipertecnologizzata: il telefono (cellulare e non). Sarà infatti il suo ripetuto squillo a fare da contrappunto alle voci dei quattro protagonisti, a stabilire cambi di prospettiva e ad introdurre nuovi argomenti, rassicurante giocattolo a memoria di una dimensione ludica cui eventualmente rifugiarsi come ultima speranza.
In maniera ambigua sarà proprio il ricorso alla tecnologia l’ultima risorsa cui affidare infatti la speranza, non del tutto sopita, di rendere l’umanità in grado di responsabilizzarsi grazie allo sforzo congiunto di comunicare, anziché farsi la guerra.  
L’ultima scena è in fondo, a dispetto di tanto cinismo dispensato da mani adulte, di inattesa - seppure ambigua - speranza. I due bambini, di fronte allo schermo del telefonino, sembrano essere in procinto di riconciliarsi, mentre, nel chiuso di un appartamento (sintomatico il contrasto del luogo aperto - scena iniziale e finale - in cui si muovono i bambini e quello chiuso che appartiene al mondo degli adulti) i loro genitori continuano forsennatamente a litigare.
Forse i veri bambini irragionevoli sono gli adulti che non sono mai cresciuti e che non riescono a farsi carico delle loro responsabilità, più infantili dei loro stessi figli, compressi ed imprigionati nei loro microcosmi, tele di ragno che essi stessi hanno costruito per poi finire imprigionati. E cosa salverà l’umanità allora? L’accesso a una sana dimensione ludica, in cui, messa da parte la rivalità, non resta che affidarsi al progresso tecnologico come terreno comune per una comunicazione fra i popoli (siamo in fondo nella cosiddetta era della comunicazione e dei social network)? O non sarà, la sfida della comunicazione affidata alla tecnologica, l’ennesimo castello di carta a crollare sotto al peso delle ataviche e insopprimibili pulsioni egoistiche dell’essere umano e di quel nucleo incondivisibile del sé che alla fine ci condanna tutti ad una condizione di eterna solitudine?
E allora forse il vero messaggio di Carnage, o quantomeno una delle possibili letture, è proprio quello di rivelare l'intima natura dell’essere umano, che oltre a essere egoista e votata allo spirito di sopraffazione instillato dallo spietato istinto di sopravvivenza, è anche destinata a restare irrimediabilmente circoscritta entro le mura di un’atavica solitudine; così, nella cosiddetta era della comunicazione, beffardamente e paradossalmente ingannata ed illusa, la solitudine dell’anima è messa spietatamente e satiricamente  a nudo dai bagliori di questo piccolo tagliente gioiello che Polanski ci ha regalato.

8 commenti:

Eloisa ha detto...

Venerdì 14 ottobre, alle 6.45 di mattina, un gruppo di attivisti è salito sul tetto dell'allevamento "Green Hill" di Montichiari (BS), specializzato nell'allevamento di cani beagle. In questa fabbrica degli orrori, i cuccioli vengono cresciuti in gabbie strettissime e privati fin dalla nascita della luce del sole, dell'aria fresca e di qualsivoglia forma di affetto. Vengono quindi rivenduti ai laboratori di vivisezione e alle aziende farmaceutiche, che compieranno su queste creature i più atroci esperimenti.
La protesta di venerdì 14 e sabato 15 ottobre 2011, messa in atto da un gruppo di animalisti, è FONDAMENTALE per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'argomento e portare finalmente alla chiusura di questo lager - come già accaduto con l'allevamento Morini.
Purtroppo, è in atto una manovra per mettere a tacere tutto e far sì che la notizia dell’azione contro Green Hill non si diffonda: il sito “Fermare Green Hill” sembra che sia stato oscurato (in ogni caso da ormai molte ore non è accessibile) e la Digos ha impedito ai giornalisti di avvicinarsi ai manifestanti.
Per questo è importante che TUTTI si diano da fare la presente notizia tra i propri contatti e-mail, sui blog e attraverso i principali social network.

Qui di seguito, un paio di link informativi:

http://natividad-blog.blogspot.com/2011/10/greenhill-questo-lager-deve-chiudere.html
http://www.greenme.it/informarsi/animali/5978-green-hill-blitz-vivisezione

Per i cani di “Green Hill” anche un semplice copia e incolla può essere importante!
Grazie a tutti coloro che vorranno collaborare.


Carissima, scusa se mi sono permessa di pubblicare questo avviso fra i commenti del tuo blog, ma ritengo che sia urgente e importante diffondere quanto più possibile questa notizia: Digos e polizia stanno cercando di evitare in tutti i modi che si sappia quanto sta accadendo a Montichiari! Se ti ho arrecato disturbo, cancella pure questo messaggio - e scusami.

Rita ha detto...

Cara Eloisa,
hai fatto benissimo a lasciare questo commento.
Peraltro nel settembre 2010 partecipai proprio ad una manifestazione, qui a Roma, contro Green Hill (che, a quanto pare, purtroppo è servita a poco).
Entro stasera scriverò sicuramente anche io un post, linkando ovviamente anche il tuo del tuo blog, per diffondere la notizia e manderò email a più conoscenti possibili sensibili alla questione.
Grazie di cuore per avermi informata.
In situazioni come queste noi animalisti dobbiamo essere più uniti che mai.
Un saluto.

Luciano ha detto...

Una recensione notevole di un film di grande qualità recitato da quattro grandi attori. A quanto vedo consoci l'intera filmografia di Polanski^^

Un blog interessante e ben fatto che mi colpisce per l'antispecismo da me pienamente condiviso. Anche se non sono attivista (purtroppo), cerco di aiutare e proteggere animali di ogni tipo ma ogni giorno devo lottare contro l'arroganza e la presunzione di persone che tra l'altro (quando non si tratta di animali) possono anche essere persone gradevoli. Ma a me non basta.

Ringrazio anche l'autore del primo commento a questo blog. Non consocevo il gruppo che lotta contro la vivisezione. A loro tutta la mia solidarietà.

Rita ha detto...

Ciao Luciano,
sono contenta che apprezzi il mio blog e soprattutto di sapere che sei antispecista.
Aiutare e cercare di proteggere gli animali è già essere attivisti (ci sono tantissimi modi di esserlo, non solo andando a fare manifestazioni, organizzare presidi o aprire le gabbie). Conosco persone che ogni giorno dedicano tempo ed amore per nutrire e curare gli animali: volontari nei canili, nelle colonie feline e ovunque ci sia da dare un mano e anche questo è attivismo.
Il movimento contro Greenhill sta ottenendo qualche successo e più visibilità (ne hanno parlato anche al tg di RAI1 e, credo, anche su Striscia la Notizia), purtroppo pare che per farlo chiudere definitivamente servano delle motivazioni specifiche, in sostanza un sacco di cavilli e pretesti legali (dicono che ad un controllo della Asl risulterebbe tutto a posto, ma io domando come possa essere considerato "tutto a posto" un evidente caso di maltrattamento animale; forse per quel "tutto a posto" si riferiscono a licenze e simili).
In ogni caso se ne sta parlando, dimostrazione che se si vuole davvero, poi le cose cominciano a cambiare. Magari impercettibilmente, ma piano piano qualche conquista si otterrà.
E proprio come te anche io mi confronto ogni giorno con persone che sarebbero pure gradevoli per tanti motivi, ma che dell'argomento antispecismo proprio non ne vogliono sapere.
Tu pensa che non sei solo, che ci sono tante altre di persone invece che condividono il tuo amore e rispetto per gli animali e che provano spesso, proprio come te, a volte un senso forte di impotenza, di rabbia e di disagio.

Grazie di essere passato.
Un saluto :-)

Rita ha detto...

P.S.:
ah, scusami, non avevo collegato che tu sei "quel" Luciano che scrive su "cinemasema" (e pensare che sono stata io a lasciarti un commento proprio sul tuo blog), ma non ricordavo l'avatar.
Be', allora i complimenti per la mia recensione valgono doppio, vista l'altissima qualità delle tue :-)

Anonimo ha detto...

Visto ora (ricordavo che ne avevi parlato, e ho ricercato il post). Molto buono, mi è piaciuto.

L'ho visto in italiano: mi piacerebbe rivederlo in lingua originale, m'è parso che il doppiaggio lasci un po' a desiderare, soprattutto nella seconda parte (quando i 4 sono alticci).

Rita ha detto...

Ciao Gianluca,
addirittura sei venuto a ricercarti il post, mi lusinga. ;-)

Sì, sono d'accordo che in lingua originale renderebbe senz'altro di più, come sempre poi. Ora non ricordo esattamente i dialoghi della seconda parte, ma mi fido se lo dici tu.
Io adoro Polanski, raramente sbaglia un film. Ti consiglio anche questo documentario-intervista sulla sua vita, molto toccante: http://www.ildolcedomani.com/2012/05/roman-polanski-film-memoir-di-laurent.html

InLeagueWithSeitan ha detto...

Bello questo film!
L'ho appena finito di vedere e mi è davvero piaciuto, non posso che concordare con i tuoi pensieri riguardo ad esso.
Quei 4 mi sono sembrati 4 pagliacci, Jodie Foster ha anche lei le sue contraddizioni, ma comunque è il miglior personaggio tra quegli altri 3 morti viventi.
Ma vogliamo parlare di quel cielo grigio e triste che illumina tutta l'atmosfera delle scene all'interno della casa? Secondo me è stato una scelta astuta e non casuale, dà proprio l'idea del loro grigiore interiore.
Christoph Waltz e l'altro sono proprio pessimi e disgustosi, specialmente quando si beano del loro becero "machismo" da "legge della natura" guidato da idoli retrogradi e banali come John Wayne, sottolineato soprattutto dal gusto con cui sciorinano nomi di armi merdose, scandendo bene la ridondanza ed imponenza di essi con un tono da bifolchi gretto-maschilisti.
Bellissimo e grandi attori!