giovedì 6 ottobre 2011

Tomboy di Céline Sciamma

Oggi vorrei segnalarvi questo interessante film vincitore del Teddy Award al Festival di Berlino e di cui certamente si sentirà molto parlare anche qui da noi (il film uscirà nelle sale domani 7 ottobre, io ho avuto modo di vederlo in anteprima la scorsa settimana), divenuto già un “caso” in Francia. La regista è la giovane francese Céline Sciamma (di origini italiane) ed il tema che sceglie di affrontare in questo suo secondo lungometraggio è quello dell’identità sessuale nella tarda infanzia, (mentre nel suo primo lungometraggio, dal titolo Naissance des Pieuvres, purtroppo non uscito in Italia, ma reperibile in dvd con il titolo Water Lilies, affronta quello dell’identità sessuale nell’adolescenza).
Tomboy, girato in soli venti giorni, con un budget ridotto, riesce a conquistare per la freschezza e naturalezza delle scene, per la bravura e spontaneità degli attori bambini (degna di particolare nota è proprio la protagonista, Zoé Héran, dal visino espressivo e dalla fisicità in grado di aderire totalmente alle prestazioni che le esigenze filmiche le richiedono, scongiurando così ogni pericolo di artificiosità), nonché per gli interessanti spunti che riesce a suggerire in maniera leggera e divertente, senza cadere nel pedagogico e senza sciogliere quei quesiti cui, probabilmente, una risposta univoca e definita non possono avere; ed il bello del film è proprio questo lasciare lo spettatore nella sospensione di tutta una serie di riflessioni e domande inerenti il discorso della costruzione delle identità del maschile e del femminile: come si formano, a partire da quando, in che modo e perché, sono innate o soltanto riflessi ed imitazioni scaturiti dall’osservazione della cultura che ci circonda?
La regista ci prende per mano, quasi fossimo bambini anche noi, e ci introduce pian piano nel mondo e nell’atmosfera giocosa dei suoi piccoli protagonisti, rendendoci al contempo osservatori e partecipi di tutta una serie di comportamenti, i quali, a partire dal microcosmo del gioco - primo esempio di aggregazione sociale in cui si impara a sottostare al rispetto di regole, norme e ruoli - contribuiscono all’elaborazione ed alla formazione delle identità sessuali. E del resto, culturalmente, è proprio a partire dalla distinzione e differenziazione dei giochi e dei giocattoli che le femminucce iniziano a distinguersi dai maschietti, e che gli stereotipi dei comportamenti maschili e femminili iniziano a consolidarsi, rafforzandosi e trovando conferma a vicenda.
Chiunque avrà avuto modo di entrare in un qualsiasi negozio di giocattoli, a testimonianza di quanto dico, avrà certamente notato la separazione tra lo scompartimento dei giochi per i bambini e quello per le bambine: se sugli scaffali del primo è tutto un proliferare di automobiline, soldatini, armi dalle più svariate fogge, robot e guerrieri vari che si fronteggiano in guerre interplanetarie, nel secondo, dove è il colore rosa a predominare, l’illusione di essere una principessa delle fiabe, appannaggio dei primi anni di età,  (e sarà tutto un sommergerci di coroncine, tulle, bacchette magiche e cavalli bianchi), verrà presto soppiantata dall’imitazione di quel mondo domestico a confermare e ribadire il ruolo che ogni bambina - futura donna - dovrà occupare (ferri da stiro giocattolo, lavatrici giocattolo, fornelli giocattolo, supermercati giocattolo, più carrozzine, passeggini, lettini in cui riporre teneri bambolotti dalla fattezze quasi umane a ricordare quello che culturalmente resta ancora il ruolo principale della donna per antonomasia: quello di divenire madre e mettere al mondo tanti bei pargoli-cicciobello, donna che lavora anche fuori casa quindi, forse interessata a far carriera, ma senza che debba trascurare la cura della casa e quella delle tante mansioni che vengono appunto definite mansioni femminili).
Nel film della Sciamma il discorso tuttavia è molto più sottile, e più attento ai comportamenti sociali - imitazioni del mondo adulto da parte dei bambini - che alle induzioni di tipo consumistico dei ruoli sessuali; i protagonisti hanno un’età compresa tra i nove e gli undici anni ed il cammino verso la costruzione e definizione delle loro identità sessuali è nella fase in cui a contare sono gli abiti, i comportamenti e la gestualità (tipo di camminata, gesti, modo di atteggiarsi, reazioni).
La protagonista principale è Laure, una ragazzina di dieci anni, appena trasferitasi nel nuovo quartiere della periferia di Parigi insieme ai suoi genitori ed alla sua sorellina minore, la quale approfittando di un errore commesso da Lisa, una bambina vicina di casa, che la scambia per un maschietto, decide di fingersi e di farsi presentare ed introdurre al gruppo degli altri bambini, esattamente come Michael.
La scelta della sua identità sessuale quindi inizia a partire proprio dal nome, Michael anziché Laure, e prosegue poi nella scelta di abiti di foggia maschile, o quantomeno neutra, e nell’ostentazione di tutta quella gestualità, vezzi ed azioni che da sempre caratterizzano il mondo maschile (sputare per terra, fare a pugni, giocare a calcio, portare i capelli corti, mantenere le spalle rigide ed il petto in fuori, camminare con falcate ampie e decise ecc.: molti sono stereotipi sì, ma efficaci nella costruzione della propria identità, sessuale e non).
Laure riesce benissimo a farsi passare per Michael. Così tanto che la sua amichetta Lisa si prende persino una cotta per lei credendola lui. Ma le scuole stanno per ricominciare (il film è ambientato sul finire dell’estate)... e non rivelerò altro.
In quella fase di passaggio dall’infanzia alla pubertà, in cui tutto è ancora molto sfumato, a partire proprio dalla fisicità, in cui i segni esteriori dei caratteri sessuali secondari (barba, seno, tonalità della voce, peluria) non sono ancora manifesti, in sostanza, sembra suggerire la regista, si è ancora in quel mondo magico ed indistinto della favole in cui si può immaginare, credere, fingere di essere e di poter divenire qualsiasi cosa. Si può giocare - perchè forse solo di questo per Laure si è trattato - ad essere altro rispetto a quello cui la cultura e la società, più tardi, forse, ci costringeranno ad essere, imprigionandoci in ruoli e stereotipi che finiremo per assumere come naturali, pur essendo soltanto, in definitiva, mere costruzioni culturali.
Ed il bello del film sta proprio in questa aleatorietà del gesto della bambina, per la quale la scelta di fingersi maschietto potrebbe essere stata soltanto veramente una parentesi giocosa, ma anche invece il sintomo e la rivelazione della sua vera identità profonda che riesce ad emergere a dispetto dell’attribuzione dei caratteri primari femminili. La regista, volontariamente, non ce lo dice, lasciando un finale aperto a più di un’interpretazione ed alla grazia e poesia dello sguardo di Lisa che scruta Michael/Laure per una seconda/prima volta.
In Tomboy non c’è una condanna esplicità della costruzione culturale delle identità sessuali (è una riflessione che scaturisce secondariamente, semmai), quanto una divertita osservazione di questa attribuzione di ruoli di cui pian piano i bambini si appropriano, più ad imitazione di un mondo adulto, sembrerebbe, che non per esigenza naturale, più per gioco che non per rispondere ad una reale pulsione (essendo le pulsioni sessuali, a quell’età, ancora poco indirizzate, multiformi).
Ed è infatti sotto il dominio del gioco che avverrà la riappacificazione tra Laure/Michael e Lisa, i cui sentimenti e le cui emozioni alla fine prevarranno sulla definizione di qualsiasi identità sessuale; l’amicizia, l’attrazione, l’affetto, la complicità, la voglia di stare insieme, fortunatamente, non hanno sesso.
E’ un film semplice e girato con mano leggera, dal taglio quasi documentaristico,  interessante per la maniera divertente e diretta con cui affronta quella fase così particolare dell’esistenza in cui gli spettatori non tarderanno a riconoscere anche quelle prime curiosità, perplessità e turbamenti che hanno caratterizzato la loro stessa personale esperienza. Ed è facile identificarsi tanto in Laure quanto in Michael, in quello spazio ed in quel tempo che tutti noi adulti abbiamo perduto, quello infinito delle infinite possibilità.
   

12 commenti:

Cannibal Kid ha detto...

bene, segnato tra le future visioni ;)

Rita ha detto...

Buona futura visione allora :-)
Poi fammi sapere cosa ne pensi.
Un saluto.

Anonimo ha detto...

bene... a Monza era fuori venerdi' 7, e oggi non più... :( provinciali di M!

Rita ha detto...

Mi spiace. Ti capisco perché io ho vissuto a lungo in una piccola cittadina dove gli unici film che tenevano in sala per più di tre giorni erano i cinepanettoni :-(

Vabbè, dai, lo vedrai quando esce in dvd.

lupogrigio ha detto...

Androgina

In effetti la scelta della protagonista non poteva essere più felice, per quel suo mancato sviluppo che le consente di passare per un maschietto.
Eppure, a me non lo ha dato a bere. Si vedeva benissimo che era una bambina, magari un maschiaccio (Tomboy significa questo), ma non un maschio. L'abbigliamento viene descritto come neutro, invece i maschi veri erano vestiti in ben altra foggia.
Ma detto questo, il film è toccante e riesce ad eludere facili "pruderie" perchè l'argomento è molto delicato, maneggiare con cura, i pedofili sono dietro l'angolo.
Mi ha colpito la casualità di trovare nelle sale due storie, una di pre-adolescenti e una di freschi adolescenti (L'amore che resta).
Ecco, su quest'ultimo varrebbe la pena di spendere una parola.

Rita ha detto...

@ lupogrigio

sai da cosa si capiva che era una bambina? Dal modo in cui correva e si muoveva quando giocava a pallone.

Può essere però che a te non l'abbia data a bere perché sapevi già che era una bambina? Io ad esempio l'avevo già letto nella sinossi.
Invece un ragazzo che era al cinema con me - e che non sapeva nulla del film - è rimasto sbalordito nel momento in cui lei è uscita dalla vasca da bagno nuda, perché non se l'aspettava proprio che fosse una femmina.

"L'amore che resta" è uno dei film che ho in mente di andare a vedere, anche perché Gus Van Sant è un regista che ho sempre seguito.

Tornando a Tomboy: mi sono ricordata di un episodio della mia adolescenza (anzi, pre-adolescenza, perché avrò avuto 12 0 13 anni): una volta vidi passare un ragazzo molto carino dall'altro lato della strada e chiesi alle mie amiche chi fosse, molto incuriosita. Mi risposero che veramente era una ragazza. Ci rimasi malissimo perché sembrava proprio un maschio. E me ne ero sentita anche attratta.
Forse è vero che - al di là delle identità sessuali che poi ci costruiamo e definiamo durante la crescita - esiste un periodo in cui siamo indifferentemente attratti da maschi e femmine e che però ci rivolgiamo - in linea di massima - solo verso il sesso opposto perché è così che ci insegnano a fare.
Domando. Argomento interessante. E credo che sia il vero tema del film.
Grazie per il tuo commento :-)

lupogrigio ha detto...

Beh, l'attrazione verso il proprio sesso nel periodo della prima adolescenza, non mi ricordo di averlo mai provato.
Ciò non toglie che a quell'età, da ragazzini che non riuscivano a giocare magari "al dottore" con ragazzine pari età o più giovani, ci fosse il gioco fra maschietti a masturbarsi in gruppo, o semplicemente in compagnia di un altro coetaneo.
Di lì ci sono passato, ma ti assicuro che non era l'attrazione verso l'altro, ma una specie di complicità che dava più gusto alle azioni proibite, oltre all'indubbia carica di testosterone che si aveva tutti.
Bisogna pensare agli anni 40, per quanto riguarda la mia esperienza, con tutto il corollario di tabù indotti dalla educazione cattolica, che allora era davvero impregnante i costumi della società e/o delle famiglie.
Beh, ho fatto un passo falso, adesso avete capito che il mio nick sarebbe Matusalem.

Onesto e Spietato ha detto...

Un bel filmettino. Ma, come scrivo anche sul mio blog, rimane tutto troppo candido, innocente, adolescenziale...

Rita ha detto...

Ciao e benevenuto sul mio blog :)

Eh beh, sì, è candido, innocente e adolescenziale proprio per trasmettere il candore e l'innocenza tipici di quella specifica età (siamo in fase pre-puberale, quindi i turbamenti ormonali, se ci sono, sono ancora indefiniti essendo il bambino, come diceva Freud, un "perverso polimorfo").

La regia è lieve, all'apparenza, ma dietro invece secondo me si nasconde un grande lavoro.
Io lo definirei un film fresco.

Sarei curiosa invece di vedere il primo film della Sciamma, spero di trovarlo in dvd.

Poi vengo a leggere la tua recensione.
Ciao :-)

Volpina ha detto...

Ahh questo assolutamente da vedere!

Anonimo ha detto...

Bello e delicato il film e bellissima e delicata anche la recensione. Bravi anche gli attori, sebbene in miniatura! Io poi di lei mi sono un po' innamorata (in senso buono, eh, prima che qualcuno interpreti male): anch'io da bambina volevo sempre giocare a calcio, e soffrivo maledettamente quando mia madre mi costringeva in quegli orribili fuseaux. Le bambole smisero di regalarmele presto, nonostante mia zia tentò il tutto per tutto spendendo un capitale per un'edizione limitata di Barbie - mi pare Barbie modella - : niente, non volevo neanche quella. Rubavo gli Action Man ai miei due fratelli, e pensavo fosse proprio un'ingiustizia dovessi venire rimproverata per questo. Quanto avevo ragione lo capisco solo ora...

Rita ha detto...

Ah, ma l'hai visto allora! :-)

Io vorrei vedere anche il primo della Sciamma, dicono che sia altrettanto bello.

In effetti è sin da piccoli, attraverso l'imposizione dei giochi, che si costruiscono e definiscono le identità sessuali.
Io di Barbie ne avevo una caterva, come anche di bambole, però quello che preferivo fare era starmene seduta in un angolino a leggere (favole, fumetti, la mitica enciclopedia de I Quindici) e se ero in compagnia mi piacevano i giochi da tavolo, già allora ero un tipo "riflessivo". :-D