martedì 18 ottobre 2011

L'Ultimo Vero Bacio di James Crumley

Di questo romanzo, uscito nel 1978, è stato detto e scritto di tutto e di più: “il più grande noir degli ultimi quarant’anni”, “il grande romanzo americano”, “il libro che ha cambiato per sempre le carte in tavola del noir” e poi tante altre lodi e, immancabile, l’accostamento a Raymond Chandler, uno dei più grandi scrittori di noir di tutti i tempi - ma non solo, essendo le etichette di genere sempre riduttive quando si ha a che fare con la vera letteratura (e romanzi come “Il Lungo Addio”, e “Il grande sonno” rientrano a pieno titolo nella letteratura tout court, fuor da ogni riduzione di genere). 
È con grandi aspettative che mi sono quindi accostata a “L’Ultimo Vero Bacio”, aspettative che sono state in parte confermate, in parte disattese.
Confermate, perché? Perché è uno di quei romanzi capaci di insinuarsi progressivamente nell’esistenza del lettore, in grado di tenere compagnia, i cui personaggi da subito acquisiscono quella sorta di familiarità tale da farceli sembrare amici di vecchia data, anche quelli che appaiono solo per poche pagine. Crumley inoltre, sempre a proposito dei personaggi, compie qui il primo vero prodigio, che è quello di introdurre a poco a poco un personaggio - Betty Sue Flowers, una ragazza scomparsa da dieci anni e sulle cui tracce si mette il detective Sughrue dopo aver, apparentemente, risolto un primo caso - soltanto attraverso le descrizione indirette dei suoi amici, parenti e conoscenti, riuscendo a trasmetterne tutto la forza di un fascino - ambiguo e misterioso - che finisce per sedurre persino il detective stesso, nonché noi lettori, oltremodo sempre più incuriositi dai motivi della sua scomparsa e dallo sviluppo della sua vicenda.
La storia, una bella storia, è sempre molto avvincente, una di quelle che non danno mai tregua al lettore, piena di inventiva e di sbalorditivi colpi di scena in cui, fino alla fine, si è portati a dubitare delle intenzioni di ogni personaggio senza, tuttavia, che il loro fascino debba risentirne troppo .
Il secondo prodigio che compie Crumley, tutto stilistico stavolta, è quello di strabordare dalla serietà e dai toni cupi del genere (noir, appunto) costellando le pagine talvolta di una comicità esilarante, a tratti quasi farsesca, per poi improvvisamente tagliuzzarle con una satira spietata contro la società americana e contro l’umanità in generale, finanche a velarle di un romanticismo che, al momento giusto, giunge ad ammorbidirne i toni; i dialoghi sono serrati e spesso suggeriscono azione, ma poi, all’improvviso, sembrano come restare sospesi ad aprire un varco a riflessioni di ben più profondo spessore, vere perle di pura filosofia, sulla vita, sulla morte, sull’esistenza stessa che giungono tanto più inaspettate quanto più buttate lì, con leggerezza, oppure con inaudito cinismo e brutalità, talvolta puramente gratuiti, a sminuire il peso di un’inanità esistenziale - non a caso spesso affogata in litri e litri di birra e whisky, in una propensione all’alcolismo cui nemmeno un simpatico bulldog sembra sottrarsi - oppure, a ricordarne tutta la pesantezza.
In questo si può dire che “L’Ultimo Vero Bacio” sia un romanzo che scavalca i generi, che pur rispettando tutti i cliché del noir - senza nascondere peraltro di volerci giocare - spesso sembra volerli sovvertire o riprodurli quasi parodisticamente: a tratti infatti i personaggi, Sughrue, così come Traherne, lo scrittore inseguito dalle donne della sua estesa famiglia, o anche la stessa Betty Sue Flowers, sembrano essere  descritti volutamente come delle macchiette, degli stereotipi fin troppo marchiati ed esagerati, ma - ed è questo il terzo prodigio - senza che l’umanità degli stessi e la verosimiglianza letteraria ne abbia mai a soffrire. Un’indisponenza caricaturale che si fa appena in tempo a percepire per poi essere smorzata dall’assoluta serietà di una riflessione, di una frase, di un particolare, di un gesto o anche solo di un mezzo sorriso malinconico.
Quello che invece non mi ha convinto - ed è qui che le mie aspettative sono state deluse - è l’intento di delineare, al pari de “Il Lungo Addio” di Chandler, una parabola, amarissima, su un’umanità - ma potremmo dire sull’umanità tout court - che, nella decadenza di un’epoca, tradendo il prossimo, l’amicizia, l’amore, finisce per tradire sé stessa. Ecco, quest’amarezza, tipicamente chandleriana, io l’ho percepita in maniera molto soffusa, come fosse una copia sbiadita di un originale impossibile da imitare.
Le storie di Chandler sono sempre di un’amarezza incredibile, si trascinano dietro, pagina dopo pagina, il peso di valori - amicizia, amore, onore, senso civico - ormai fatti a brandelli e quello di una concezione dell’esistenza ormai svanita per sempre,  ma di cui si continua a percepire tutto il dolore nostalgico della perdita. In un certo senso il detective chandleriano Philip Marlowe è un cavaliere d’altri tempi, uomo di integerrima caratura morale seppure nello sprezzo delle convenzioni perbeniste,  costretto a confrontarsi con personaggi astuti ma che - nella loro assenza di etica, anche se apparentemente vincenti - irrimediabilmente rivelano il loro fallimento di esseri umani.
La storia di Crumley invece, pur sfiorando, nelle ultime pagine, la tragedia di un fallimento esistenziale, risulta una parabola attutita e forse proprio perché il mondo che egli ci presenta sin dall’inizio è già un mondo irrimediabilmente corrotto e privo di speranza, è già un mondo da cui non ci si deve aspettare più niente.
Il difetto allora, a mio avviso, sta proprio in questo eccesso di cinismo e pessimismo, dati, sembra, più per automatismo, per convenzione letteraria, che non come analisi di una condizione che pian piano affiora tra le pieghe della storia stessa.  
Un romanzo chandleriano che non riesce del tutto a sdebitarsi dell’originale, di cui ne ripropone il mondo ma senza quel quid necessario a donargli l’autenticità di un’anima individuale.
Giudizio complessivo: un ottimo romanzo che vale sicuramente la pena di essere letto e che gli appassionati di letteratura sapranno apprezzare anche per il gioco stilistico perfettamente riuscito, e che però, alla fine, lascia la sensazione di un lavoro imperfetto, non pienamente riuscito. Ma forse, questo è anche il suo fascino.

Voglio ringraziare Eustaki per avermi incuriosita e convinta, con la sua recensione, a tentare la scoperta di questo nuovo autore, James Crumley, a partire da quello che è considerato il suo capolavoro, appunto: “L’Ultimo Vero Bacio”.

4 commenti:

eustaki ha detto...

molto interessante la tua lettura del romanzo in parallelo con chandler. acuto lo scarto da te individuato rispetto al maestro. io l'ho letto molto volentieri, mi ha preso, forse perchè al protagonista ho sovrapposto non tanto chandler quanto lo stesso crumley. leggendolo mi è piaciuto pensare che lo scrittore stesse descrivendo come avrebbe voluto che fosse il proprio carattere.
e la foto del mio post oggettivava questa mia idea.

quando si legge un libro, come vedi, non c'è solo il testo scritto e la nostra impressione dipende anche dall'alone indefinibile che lo circonda. nel tuo caso il confronto con chandler e chissà cos'altro.
ognuno di noi ha un suo proprio ed esclusivo alone che circonda le 'cose'.

non so se ho scritto cose sensate...

a presto

Rita ha detto...

Hai scritto cose sensatissime :-)

Non a caso nella storia della critica letteraria si distingue anche il filone del cosiddetto "reader's criticism" che sostiene che ogni lettura è imprendiscibile dal contesto - personale, sociale, culturale, esperienziale - in cui si muove lettore.

Diciamo che a influenzare il mio paragone con Chandler è stato molto il fatto che Crumley vi sia stato accostato dalla critica ufficiale; magari se avessi scovato quel romanzo tra una bancarella e non mi fossi preventivamente informata sull'autore, ne avrei ricavato suggestioni diverse.

Capita anche che quando siamo "ossessionati" da un pensiero, da un'idea, qualsiasi lettura facciamo ci appare come in qualche modo pertinente, il che ci fa supporre che a volte ci sia un "destino" che vuole che noi proprio in quel preciso momento leggessimo determinati libri, mentre in realtà accade semplicemente che la nostra visione delle cose è influenzata da quello che tu definisci "esclusivo alone".
Un saluto e grazie :-)

Luca Conti ha detto...

Salve.
Sono il traduttore Nonché autore della postfazione) dell'Ultimo Vero Bacio. Scrivo per dire che ho apprezzato molto questo post e la chiave di lettura del libro, diversa rispetto alla mia ma assai interessante.
Spero di trovare un po' di tempo per approfondire l'argomento, se mi darete ospitalità.

grazie, a presto
Luca Conti

Rita ha detto...

Ciao Luca,
è un onore ospitarti qui nel mio blog. Sono contenta che ti sia piaciuto il mio post e confrontare le diverse chiavi di lettura di un romanzo credo sia sempre un ottimo esercizio: contribuisce certamente ad arricchirne il senso ed ancor più si rende utile nei casi di romanzi che delineano parabole esistenziali, qual è il caso de L'Ultimo Vero Bacio (essendo l'esistenza, per sua natura, polisemantica e così i tentativi di darle forma attraverso la scrittura).
Colgo l'occasione per farti i complimenti per l'eccellente lavoro di traduzione che hai svolto e che ha restituito - e chissà, fors'anche aggiunto, come è sempre nella creatività dell'opera di traduzione - pienalmente tutte le sfumature dello stile poliedrico; immagino che anche mantenere sempre l'equilibrio tra i toni della farsa, della tragedia, della satira e della commedia ed insieme mantenere quell'atmosfera di soffusa malinconia che pervade tutto il romanzo, non sia stata un'impresa facile.
E complimenti anche per la postfazione, che pure ho letto ed apprezzato molto.
Torna pure qui quando vuoi ed hai tempo, così possiamo approfondire, insieme anche ad Eustaki. Hai letto anche la sua recensione (di cui ho messo il link), vero? Lui ne parla in toni anche più entustiastici di me.
A presto allora, e grazie mille per avermi lasciato il tuo commento.