giovedì 11 luglio 2013

Lo sguardo di un vegano





Oggi riflettevo su quanto l’uso sempre più pervasivo che facciamo della tecnologia ci stia modificando le funzioni cognitive della mente. Rapportarci continuamente alle macchine indubbiamente dà luogo a una mutazione del cervello, non in senso strettamento biologico, non ancora almeno, ma sicuramente per ciò che concerne le sue funzioni e gli schemi cognitivi. Del resto siamo già oltre l’umano, viviamo con gli auricolari perennemente inseriti nelle orecchie, facciamo degli iPad e smartphone vari, estensioni dei nostri arti superiori e orizzonti visivi. Osservando le persone in strada è facile rendersi conto di come esse abbiano accesso a una costante duplice visione della realtà, quella che si sta svolgendo concretamente attorno a loro – e di cui a volte non sembrano nemmeno rendersene pienamente conto – e quella che si materializza virtualmente sugli schermi dei loro telefoni. Le persone sono materialmente sedute sugli autobus, ma interiormente sono proiettate quasi costantemente dentro un secondo universo parallelo, che è il virtuale visualizzato sugli schermi dei loro apparecchi. È in atto inoltre un’autorappresentazione dei singoli che è la maniera in cui scelgono di darsi nel virtuale.
Tutto ciò modifica inesorabilmente le funzioni mentali e procede nel costituire un’interiorizzazione del reale certamente diversa da quella che avevano i nostri antenati.
Questo è un discorso che certamente meriterebbe ben altri approfondimenti, ma qui ho voluto piuttosto usarlo come prologo ad introdurre una riflessione di ben altro tipo, quella sul veganismo, in analogia con quanto detto sopra proprio sul piano della modificazione delle nostre funzioni cerebrali e quindi dell’intera cornice cognitiva.
Penso a quanto l’essere diventata dapprima vegetariana e poi vegana abbia modificato nel tempo la mia percezione del reale, al pari di quanto possa averlo fatto ad esempio l’uso del pc e l’invadenza della tecnologia in genere.
Quando giorni fa parlavo dell’opportunità, se proprio non vogliamo dire necessità, per un antispecista di divenire vegano non mi riferivo infatti tanto al discorso della coerenza, né a una fantomatica purezza o atteggiamento di superiorità morale con tanto di condanna verso quanti ancora non lo sono, quanto piuttosto a questo graduale e progressivo processo che è la conquista dell’arrivare a vedere l’animale come effettivamente l’altro senziente che è e mai più come cibo o indumento vestiario. L’interiorizzazione di questa nuova consapevolezza non è un atto immediato, tuttavia: possono volerci anni, sebbene non è detto che sia sempre così.  
Quello che intendo semplicemente dire è che diventare vegani, smettere di mangiare animali, è sicuramente qualcosa di molto più complesso del mettere in atto una coerenza con quanto si professa a parole: è l’inizio di un atto costitutivo che ci muove a un nuovo e diverso sguardo sul reale.
Non mi interessa qui entrare nel discorso della sua efficacia o meno come mezzo di boicottaggio finalizzato ad abolire i macelli, non mi interessa nemmeno stare a calcolare se e quante vite animali il diventare vegani potrà salvare (non che non mi interessi in assoluto, dico relativamente a questa mia breve riflessione); quello che mi interessa è la considerazione del veganismo nel suo darsi come processo di lenta trasformazione del nostro sguardo sul reale. In questo senso esso è tra gli atti più rivoluzionari che un individuo possa compiere nella propria esistenza. E rivoluzionario perché esso rivoluziona la maniera di vedere le cose, nonché la percezione e considerazione che abbiamo degli animali e del resto dei viventi. E la rivoluziona perché fintanto che noi nelle vetrine dei negozi continueremo a vedere solo capi di vestiario e non quel che resta di un animale straziato a morte, non ci interrogheremo mai nemmeno a fondo sui meccanismi politici, sociali e culturali che consentono e legittimano questo stato di cose.
Non si diventa vegani per cambiare il mondo; bensì è il mondo che cambia – o meglio, la percezione che abbiamo di esso – nel momento in cui si diventa vegani. Diventarlo presuppone certamente un grande atto di volontà che è principalmente e preliminarmente intellettuale e che solo in un secondo tempo spalancherà anche i canali del sentimento.
Non si è vegani perché si è sentimentali, si diventa sentimentali – ossia pieni di sentimento di rispetto ed empatia nei confronti di tutti gli esseri senzienti – nel momento in cui si smette di vederli e percepirli come cibo.
Senza questo nuovo sguardo sul reale, la liberazione animale continua a rimanere svuotata della sua essenza.
Senza questo nuovo sguardo che realmente, empaticamente incontra lo sguardo dell’altro animale, la liberazione animale non ha inizio dentro di noi e se un qualcosa non ha prima inizio dentro di noi, difficilmente potrà attuarsi all’esterno. 

Pubblicato anche su Asinus Novus.

6 commenti:

Alessandro Cassano ha detto...

Circa dieci anni fa un mio amico mi raccontò di aver assistito alla morte di un gattino, investito da un'automobile. Ricordo che risi divertito, come un imbecille.
Oggi, prima di lavare il pavimento verifico che non ci siano formichine in giro. Nel caso, le raccolgo con attenzione e le accompagno in giardino. Sono una persona totalmente diversa e provo spesso vergogna per quello che ero. Semplicemente, c'è stato chi con tatto e discrezione mi ha informato e sensibilizzato sul tema del rispetto per ogni forma di vita. Credo che ognuno di noi possa cambiare. Il punto è esser disposti all'ascolto e mettere in gioco le proprie certezze, molto spesso muri quasi invalicabili di difesa che erigiamo sentendoci insicuri, temendo che il nostro sistema di valori venga stravolto.

Rita ha detto...

Ieri sera, per sbaglio, per mera disattenzione, ho pestato un piccolo scarafaggino tornando a casa, dopo aver trascorso peraltro una bella serata, tutta all'insegna dell'antispecismo, con amici vegan.
Mi sono sentita morire, mi sarei ammazzata io stessa. Ho provato un senso di colpa devastante.
Povera creatura.
Io anche sto attenta a non uccidere le formiche o altri insettini quando lavo i pavimenti. Purtroppo siamo così mastodontici, rispetto a loro, che come ci muoviamo distruggiamo vita, anche non volendo. E questo è un problema irresolvibile. Il problema ontologico del male, direbbe qualcuno.

Emanuele G ha detto...

Io invece tornando a casa ieri sera, ho visto due animaletti in mezzo alla strada (che in quel tratto è anche stretta), ma sono riuscito prontamente a schivarli. Sembravano due ricci o comunque di una dimensione simile. 500m dopo ho fatto inversione e sono tornato indietro per vedere che tutto fosse a posto, invece giunto nel punto incriminato ho trovato un ratto grigio steso per terra con il sangue che gli era uscito dalla bocca. Il corpo pareva intatto ma sicuramente aveva preso un colpo fatale in testa da una macchina che era passata appena prima di me. A quel punto ho capito che l'altro animaletto che avevo visto doveva sicuramente essere un suo amico che tentava di spostarlo dalla strada per non vederlo dilaniato da altre macchine.
Ho preso un asciugamano che avevo in macchina e l'ho spostato dal centro della strada al ciglio erboso. E' la prima volta che mi succede di dover spostare un ratto morto, l'anno scorso mi era capitato con un gatto.

Mi domando poi come la gente solo a sentire la parola ratto si metta le mani nei capelli e urli, neanche la obligassi ad andare dal dentista senza anestesia. I roditori sono oggettivamente belli esteticamente, hanno un musino davvero simpatico.

Rita ha detto...

Ciao Emanuele,
credo che ci siano ragioni culturali per cui la gente provi ribrezzo per i ratti: in passato sono stati veicolo della peste (tramite le pulci) e poiché vivono nelle fogne rimandano a un'idea di sporco ecc., anche se in effetti le fogne sono, a tutti gli effetti, un prodotto della civiltà umana.
Io li trovo adorabili, come tutti gli animali del resto. ;-)
Grazie per il tuo gesto di gentilezza verso il corpicino del povero ratto investito. Chissà, l'altro magari era la sua compagna o il suo compagno... che tristezza. :-(

Emanuele G ha detto...

Ciao ancora,
purtroppo devo aggiornare questa serie di commenti, martedì stavo andando in ufficio quando sulla strada principale (dove si va forte) c'era un cane morto in mezzo alla strada. Ancora una volta sono dovuto tornare indietro per spostarlo. Era un cane di taglia piccola (fai conto appena più pesante di un gatto, forse 6-7kg), ma la scena era veramente da film horror: avvicinandomi non riuscivo a capire se l'avessero decapitato oppure no, quando sono stato proprio vicino ho visto che la testa era totalmente fracassata e oltre a una grossa pozza di sangue c'era anche molta materia cerebrale. In qualche modo sono riuscito a spostarlo con l'aiuto di uno straccio che mia mamma aveva messo in macchina. :(

Rita ha detto...

:-(
Che tristezza.
In estate le morti aumentano perché gli animali si muovono di più, anche ai fini dell'accoppiamento.
La colpa, as usual, è dell'uomo che lascia diffondere il randagismo abbandonando i cuccioli.
Non sai qui a Roma le mie amiche attiviste quanti ne trovano, cani e gatti gettati nei sacchi della spazzatura, lasciati dentro scatoloni, a soli pochi giorni dalla nascita. Alcuni sopravvivono, poi vengono dati in adozione, ma tantissimi altri muoiono.

Grazie per il tuo gesto, almeno da morto quell'esserino ha avuto l'attenzione che ognuno meriterebbe.