lunedì 22 luglio 2013

Tra il dire e il fare, ci siamo in mezzo tutti




La nostra vita non è nostra, da grembo a tomba, siamo legati ad altri, passati e presenti, e da ogni crimine e ogni gentilezza generiamo il nostro futuro (Cloud Atlas – Lana and Andy Wachowski, Tom Tykwer)

L’animalista, di questi tempi, conduce una vita tutt’altro che semplice.
Osteggiato dalla pressoché totale maggioranza degli specisti – ossia le persone indifferenti allo sfruttamento e sofferenza degli animali – ritratto caricaturalmente come quel fannullone svitato che non ha nulla di meglio da fare se non occuparsi delle sorti di cani, gatti, mucche ecc., in aggiunta deve anche subire lo sprezzo e la denigrazione di alcuni antispecisti: i quali avrebbero in mente un archetipo dell’animalista che di fatto non esiste – applicabile al massimo solo a pochi elementi – o che, nella migliore delle ipotesi, non corrisponde nemmeno minimamente all’evoluzione di cui il variegato movimento per la liberazione animale è stato protagonista negli ultimi anni.
Spazziamo via subito alcuni fraintendimenti: per animalista qui si intende colui che realmente si impegna per porre fine allo sfruttamento degli animali, nonché colui che lotta contro la discriminazione morale di specie. Non chi vezzeggia il proprio cagnolino, ma poi indossa la pelliccia. Inoltre, poiché l’animalista si impegna a eliminare anche proprio la discriminazione morale di specie, va da sé che è anche, tautologicamente, antispecista, intendendo tale termine nella sua accezione etimologica originaria, la stessa poi divulgata dai padri dell’antispecismo stesso, ossia Peter Singer e Tom Regan. Le volontarie e i volontari dei canili, le gattare e i gattari –  i quali, per inciso, hanno tutto il mio rispetto, trattandosi sovente di persone che destinano quasi l’intero loro stipendio o pensione, nonché buona parte del tempo libero a nutrire e curare colonie createsi a causa dell’indifferenza e inciviltà di altri -  che però discriminano, con i loro comportamenti e scelte, le altre specie animali, non sono animalisti, ma semplici zoofili (provano cioè una passione smodata per gli animali, o per alcune specie animali; questo non significa che tale passione non possa un giorno evolversi in qualcosa di più compiuto e consapevole, come appunto l’animalismo).
Trovo quindi veramente ingeneroso il tentativo di spacciare l’animalista per una versione meno raffinata, quindi più gretta e meno evoluta, dell’antispecista, così come trovo supponente il volerlo dipingere con i tratti di un ingenuotto incapace di comprendere le complesse dinamiche di sistema.

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4 commenti:

Sara ha detto...

Io sono nata gattara.
E dei tratti caricaturali, francamente me ne frego, come di molte altre cose.

Rita ha detto...

E fai bene a fregartene.
Ma per amore di giustizia, questo pezzo lo dovevo a tutti gli animalisti che si fanno un culo così da mane e sera che ultimamente vengono un po' troppo bistrattati da alcuni antispecisti (non tutti, ovviamente, tanto che io mi definisco sia animalista, che antispecista e non ho mai guardato dall'alto in basso gli animalisti come se fossero "una categoria" inferiore.
Poi sono anche gattara. :-) E zoofila perché amo tutti gli animali, li amo e li rispetto.

Riccardo ha detto...

Brava Rita, condivido. Io comunque parlerei di animalisti antispecisti, animalisti zoofili, ecc. Fino a non molto tempo fa nemmeno io mi definivo animalista, ma poi mi è sembrato sbagliato, perchè così non si fa altro che creare una frattura interna al movimento e non si permette un buon dialogo che possa far sì che un animalista zoofilo "evolva" come animalista antispecista, che poi, se manca questo dialogo, come possiamo pensare di affrontare un dialogo con la comunità specista? Poi criticare va bene, ma penso che bisogna essere molto cauti altrimenti la critica difficilmente viene accolta in maniera costruttiva, e viene recepita come offesa. Vabbè, godiamoci sta botta di caldo... qua sto per svenire :-)

Rita ha detto...

Ciao Riccardo,
esatto, si parla continuamente di dialogare con l'esterno e poi però si mettono in atto meccanismi di esclusione verso le persone più direttamente coinvolte nel movimento: mi pare paradossale.
E soprattutto, come dici tu, esistono critiche costruttive, e sono una cosa, poi le offese, che sono altro.