sabato 2 maggio 2015

Perché l'antispecismo è libertario

Credo che tutti concordiamo sul fatto che la violazione dei corpi altrui costituisca sempre un esercizio arbitrario di potere e dominio e una negazione della libertà. Eppure questo assioma viene a cadere quando parliamo degli animali non umani. Tenendo a mente la metafora del grattacielo di Horkheimer della struttura verticistica e gerarchica del potere che trae la sua linfa dallo sfruttamento del vivente – non dimenticando che esso è anche trasversale e orizzontale – ci è possibile affacciarci per un attimo “sull’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali.”.

La questione è senza dubbio sociale e politica, eppure nessuno sembra disposto ad ammettere la propria responsabilità nel mantenimento di questa struttura; peggio ancora, nessuno è capace di riconoscere che lo sfruttamento degli animali sia ideologico e non “naturale, normale, necessario” come la cultura in cui nasciamo ci fa credere.
Scrive la psicologa Annamaria Manzoni nel suo “Noi abbiamo un sogno”: “Che cosa allora permette che tante persone assolutamente per bene, rispettose e che mai metterebbero consapevolmente in atto comportamenti lesivi nei confronti degli altri, con il loro silenzio accettino e con le loro abitudini incentivino tutto questo? 
Tra i meccanismi che entrano in gioco, un posto prioritario è occupato dalla cornice cognitiva all'interno della quale questi comportamenti vengono posti: semplicemente si parte dall'idea incontestabile che gli animali non sono persone. Il ragionamento prosegue: siccome la nostra cultura si ostina a considerare l'uomo al centro dell'universo, chi umano non è, è portatore, con la sua stessa diversità, di un'essenza priva di valore quando non addirittura gravida di pericoli e minacce: in altri termini o è inferiore o è pericoloso e come tale può e deve essere trattato. Quindi la cornice cognitiva permette a cacciatori, pescatori, toreri, vivisettori di non riconoscere sadismo, crudeltà, aggressività in ciò che fanno; permette a chi si nutre della loro carne di non provare rimorso o senso di colpa". E aggiungerei: permette alla collettività di considerare normali determinate pratiche di violenza e abuso di corpi animali, con il beneplacito dei media che abilmente ne nascondono gli aspetti più efferati  e del sistema conservatore (anche quando si traveste da progressismo) che mira a perpetuare se stesso.

Continua sul sito dei RadicaliAnarchici.

Nessun commento: