giovedì 23 agosto 2018

She's beautiful when she's angry


Ogni tanto qualcuno o qualcuna mi chiede: ma cosa intendi per femminismo radicale, ha ancora senso oggi parlare di femminismo, o anche, cos'è esattamente il femminismo, perché chiamarlo femminismo, non possiamo parlare semplicemente di rispetto per tutti, uomini e donne?

FB è un spazio dove le discussioni non si possono approfondire più di tanto. Quando ci si azzarda a scrivere un post un po' più lungo spesso non viene nemmeno letto, o, peggio, viene letto di corsa, saltando paragrafi, fermandosi al titolo, così si creano fraintendimenti e distorsioni di pensiero. Su FB si possono dare suggerimenti, consigli di lettura, di visioni di film e poi, chi vorrà, approfondirà. Nei blog le cose non sono tanto diverse, i post lunghi non riscuotono la dovuta attenzione.
Parlando di prostituzione ho suggerito il libro di Rachel Moran, parlando in generale di femminismo radicale ho suggerito di recuperare le scrittrici degli anni sessanta e settanta, quelle che hanno dato vita alla cosiddetta seconda ondata del movimento femminista, ossia quella che ci ha permesso di arrivare dove siamo oggi, anche se stiamo facendo dei passi indietro.

Oggi vi consiglio, a tal proposito, un interessante, commovente, e ben fatto (anche se per forza di cose riduttivo) documentario proprio sul movimento femminista degli anni sessanta. Lo trovate su Netflix e si intitola "She's beautiful when she's angry".

Composto da filmati di repertorio dell'epoca, con tanto di interviste a donne che hanno fatto la storia del movimento negli Usa - tra cui anche la Firestone e la Millet - intervallate a interviste delle stesse donne oggi, narra l'origine del movimento, la sua formidabile ascesa nel giro di poco tempo con gruppi che fiorivano in continuazione, si univano e facevano rete e quindi i tanti aspetti e le varie forme di organizzazione della lotta fino all'ottenimento di alcune leggi, come quella sulla legalizzazione dell'aborto.

Due cose mi hanno colpito e di una faccio tesoro anche per quanto riguarda la lotta per la liberazione animale: noi siamo spesso portati erroneamente a pensare che i cambiamenti sociali avvengano per una sorta di evoluzione naturale. Come se ci fosse una sorta di giusnaturalismo, ossia che le leggi, la storia ecc. non fossero frutto di battaglie concrete e di uno scontro dialettico tra oppressi e oppressori, ma fossero cambiamenti naturali al pari di quelli climatici. Questo anche perché i libri di storia tacciono e non riportano nel dettaglio la storia di questi movimenti radicali. Per esempio riguardo le battaglie femministe si citano giusto le suffragette, con pochi cenni storici. Molti e molte non sanno nemmeno che è esistita una storia del femminismo. O lo sanno per grandi linee. Ebbene, non è così: la lezione che ci danno le nostre sorelle attiviste del passato è che ogni diritto che è stato ottenuto è stato il frutto di una rivendicazione radicale, di lotta, di attivismo organizzato e martellante. Queste donne, donne come noi, non rappresentanti politiche, non personaggi di spicco (anche perché all'epoca non avevano proprio la possibilità di occupare posti di rilievo), ma madri, sorelle, figlie, semplicemente donne appartenenti a ogni ceto e provenienti da varie realtà, semplicemente si sono messe in testa di fare la rivoluzione e l'hanno fatta. Hanno lavorato sodo, organizzato cortei (cui partecipavano decine di migliaia di persone), redatto volantini e testi, scritto libri, poesie, fumetti, manifesti, messo in piedi flash mob, presidi, fatto disobbedienza civile, interrotto conferenze. Interrompevano convegni, facevano disturbo, irrompevano negli spazi maschili, nei locali "solo per uomini", non avevano paura di dire la verità, di raccontare la loro oppressione, di chiedere le cose che gli spettavano. 
Le società cambiano perché qualcuno vuole cambiarle. Cambiano perché si fanno richieste radicali e si lotta per queste.
Oggi si usa il termine "radicale" e "estremista" in un'accezione negativa. Ma i diritti che abbiamo oggi li abbiamo proprio grazie a rivendicazioni e richieste radicali.

Nel vedere queste donne oggi noi sembriamo delle mollaccione. Dei fantasmi. Scriviamo su FB e va bene perché dire la verità, raccontare come stanno le cose è già rivoluzionario (e infatti guardate lo scalpore che ha suscitato il movimento metoo, semplicemente grazie a testimonianze di persone che finalmente hanno rotto il silenzio sulle molestie sul lavoro), ma dobbiamo anche ritrovare l'energia per confrontarci direttamente nei luoghi dove si esercita l'oppressione. 
L'oppressione si gioca ancora sul terreno del nostro corpo e allora noi dobbiamo tornare sulle strade con i nostri corpi; e così per gli altri animali, dato che la loro ribellione viene messa a tacere più facilmente perché non viene nemmeno raccontata, se non da noi.

La seconda cosa che mi ha colpito è che dobbiamo sempre vigilare sui diritti ottenuti perché essi sono rinegoziabili e possono essere revocati in qualsiasi momento, giacché spesso sono diritti ottenuti grazie a riforme e richieste pressanti, ma che non hanno modificato sostanzialmente la struttura patriarcale della società. Spesso sono contentini che chi detiene il potere ha concesso per mettere a tacere le istanze più radicalmente rivoluzionarie. Come dice un'attivista a un certo punto nel documentario, noi non vogliamo soltanto avere qualcosa che hanno anche gli uomini, ma cambiare radicalmente le relazioni con gli uomini. "Non vogliamo un'altra ricetta, ma cambiare gli ingredienti." La dialettica dei sessi è politica perché abbiamo a che fare con un genere, quello maschile, che ha sempre oppresso e sfruttato un altro genere, quello femminile. Ed è ancora così, anche se in modo molto più subdolo e sottile.
Gli stupri sono un esercizio di potere, di dominio. Così i femminicidi. E anche la ribellione e denigrazione del movimento metoo lo è, una forma di potere perché molti uomini non voglio perdere i privilegi di poter continuare a trattare le donne come oggetti sessuali o da sfruttare sul lavoro di modo che a loro rimanga la fetta più grande. Molto uomini vogliono ancora le donne a casa perché così loro avranno più tempo libero per dedicarsi alla carriera e a coltivare i loro interessi. Molti uomini vogliono ancora esercitare il potere sui nostri corpi, lo vediamo con la continua richiesta di rinegoziare la legge sull'aborto. Non è così tra noi progressisti, oggi le cose sono cambiate, ma non ovunque, non nelle province, non nei paesi, dove pregiudizi e mentalità maschilista ancora prevalgono. Lo vediamo su FB. Un coacervo di misoginia, maschilismo e sessismo da spavento. Per non parlare delle nostre sorelle musulmane di cui il niqab o burqa o velo sono solo l'aspetto più evidente, la punta dell'iceberg: ci sono paesi teocratici in cui le donne sono schiave degli uomini. Non hanno spazio in società. Non lavorano, non guidano, non possono uscire da sole, vengono lapidate. Se questa non è oppressione di un genere sull'altro, cos'è? 
In occidente le cose sono diverse, ma solo apparentemente. Veniamo educate sin dalla nascita a spendere energie enormi per essere belle, sexy, seducenti. Non siamo ancora considerate pienamente come individui, ma solo come madri o mogli o oggetti sessuali. Veniamo educate a coltivare sottomissione, gentilezza, accondiscendenza, bellezza, sensualità. Ci dicono come dobbiamo essere, vestirci, sorridere, pettinarci, truccarci per essere sexy.
Direi che è ora di scalzare il mito della bellezza.

Guardate il documentario per capire meglio cosa significa essere femministe, quanta strada abbiamo fatto, ma quanta ancora dobbiamo fare perché oggi la nostra oppressione è più subdola, meno evidente, ma esiste ancora. E continuerà a esistere finché esisterà l'industria del porno, la prostituzione, le molestie sul lavoro e per strada, gli stupri, i femminicidi, l'ignoranza sul proprio corpo, il doppio standard con cui si giudicano i comportamenti maschili e femminili, i linguaggio discriminante e sessista, l'oggettificazione sessuale e finché continueranno a essere rimesse in discussione le leggi sull'aborto e finché continueranno a esistere i valori che formano la società patriarcale, i tanti miti sulla femminilità e l'educazione differenziata di genere e tanto altro ancora. Finché uomini e donne non saranno realmente considerati come pari, in ogni aspetto della loro esistenza, nel privato, così come sul lavoro. Finché continueranno a dirci che dobbiamo essere belle e sexy.

Io sono bella quando sono arrabbiata. E ho tutto il diritto di essere arrabbiata.

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