venerdì 20 gennaio 2012

Ritratto di una Segretaria

È intenta a segnare gli appuntamenti sull'agenda, il capo chino, lo sguardo che segue l'andirivieni della penna sul foglio.
Quando si accorge della mia presenza si interrompe, il volto verso di me:
Mi dica - la voce ferma, decisa, in cui percepisco una malcelata nota d'impazienza, di fretta; la stessa che già mi era sembrato di scorgere al telefono.
- Salve, buongiorno, sono qui per all'appuntamento con il Prof. C.
- Nome? A  che ora era l'appuntamento?
Dico il mio nome e l'orario. Lei inizia a dare una sbirciatina al computer e all'agenda insieme, probabilmente per controllare se il mio nome fosse inserito nella lista delle visite del giorno.
La osservo meglio: strano come al solo aver sentito la sua voce al telefono mi fossi già immaginata esattamente quel tipo di persona.
La prima cosa che noto sono i capelli, corti ma non troppo, messa in piega di qualche giorno fa, ma che ancora tiene, un biondo discreto, molto bon ton, pettinati in modo da lasciare sgombro un volto serio, arcigno, lo sguardo duro e deciso, tagliente, le labbra sottili senza traccia di rossetto, le gote arrossate dal riscaldamento artificiale un po' troppo caldo, per i miei gusti, e già un po' cadenti, ad indicare una giovinezza già sfiorita.  Nel complesso una donna che da giovane avrebbe anche potuto definirsi piacente, se non fosse per un insieme spiacevole, di certa sgradevolezza, probabilmente dovuto più al carattere e ai modi di fare emanati, che non dalla durezza complessiva dei lineamenti.
Indossa il tipico tailleur, proprio quello che uno si aspetterebbe di vedere addosso a una segretaria formale ed efficiente: blu, con camicetta bianca, ben stirato, solo le maniche leggermente sgualcite essendo quasi arrivati alla fine della giornata lavorativa. Fa pensare a una tipica segretaria tedesca, dalla dizione dura e controllata, brava nel lavoro, molto organizzata ed efficiente, quasi impassibile nell'esecuzione del proprio dovere.
- Va bene, c'è da aspettare un po', si può accomodare su quel divano per l'attesa. La chiamerò io quando toccherà a lei.
Così a pelle, d'istinto, con quella sua voce decisa, sebbene affatto sgradevole, anzi, con una lieve nota di dolcezza quasi stridente con tutto il resto, mi suscita antipatia. Anzi, sarebbe più corretto dire che è la mia prima impressione di antipatia percepita al telefono a ricevere conferma.
Mi metto seduta e aspetto.
Ci sono diverse persone in sala attesa, trattandosi di un poliambulatorio medico.
Il telefono della segreteria squilla in continuazione e contemporaneamente arrivano altri pazienti che si rivolgono alla donna per chiederle informazioni.
Risponde sempre in quella maniera sbrigativa, quasi a voler risparmiare sulle parole e sul fiato, al limite tra l'efficienza formale e la maleducazione. Appare seccata. Ogni tanto rivolge al telefono squillante vere e proprie occhiatacce di odio.
Segna appuntamenti sull'agenda e poi prosegue ad aggiornare o cancellare files dal computer; ne deduco che, per far prima, preferisca scrivere gli appuntamenti, con i nomi, orari e tutto sull'agenda cartacea e che poi, pian piano, tra un cliente e l'altro, o tra una telefonata e l'altra, inserisca il tutto al computer.
Sono qui da circa un quarto d'ora e già lo squillo pressoché incessante del telefono comincia a darmi sui nervi, soprattutto perché lei non sempre risponde prontamente, a volte lo lascia squillare a vuoto cinque o sei volte, persino sette, fino a che dall'altra parte magari non riattaccano, ma tanto poi, ci riproveranno poco dopo, e gli squilli non faranno che aumentare, aumentare a dismisura; se la prende comoda, a volte risponde, a volte no.
E questo me la rende ancor più antipatica. Anche perché, nei giorni avanti, ricordo bene di aver dovuto attendere per quasi cinque minuti prima che il centralino mi mettesse in comunicazione con la segreteria: ora ho capito perché. Semplice! Non risponde!
A un tratto si spazientisce con un signore anziano, accompagnato dalla moglie, che a malapena si regge in piedi.
La segretaria, sempre con quel tono di voce sfrontato, secco, perentorio, gli chiede il tesserino medico, ma il signore non comprende, pare assente, poverino, è molto anziano, un po' sordo d'orecchie, e si capisce che sta soffrendo molto a dover reggersi in piedi.
La segretaria alza leggermente la voce, scandendo le parole così che il timbro di voce appare ancora più freddo e tagliente, lo sguardo indispettito, le gote - che, noto solo ora, non è il caldo a rendere arrossate, ma i tanti capillari evidenti - continua a ripetere indefessamente la domanda fino a che l'anziano signore capisce e con gesti lenti tira fuori dal portafoglio il tesserino medico.
La segretaria - il telefono sempre squillante in sottofondo - incassa, per conto dei medici del poliambulatorio, discrete cifre in contanti, qualche assegno. Ricevute: pochissime. Lo studio medico è uno dei più noti e ci lavorano fior di dottoroni e luminari. E si sa come succede in certi casi, per favorire il cliente promettono un piccolo sconticino, una piccola defalcazione dalla cifra di partenza - che, è il caso di dire, appare talvolta come decisamente sproporzionata rispetto alla visita eseguita, a volte della durata di poco più di dieci minuti, a volte un semplice controllo o lettura dei referti medici - a patto che il cliente non si aspetti fattura. Come dire: ci si viene incontro. E poi, quale cliente oserebbe mai mettersi contro al proprio medico di fiducia richiedendo la fattura corrispondente all'importo esatto di quanto pagato? Si sa, il paziente si trova in una posizione di netto svantaggio, spesso di mera sudditanza psicologica, in fondo è dall'impegno che il medico metterà nel curarlo che dipende la sua vita. E con la vita, si sa, non ci si scherza. E non conviene, suvvia, indispettire il medico per una mera questione di principio!
Ma questa segretaria, che non voce e gesti professionali continua a sparare cifre altissime, imperterrita ed imperturbabile, e a incassarle senza nemmeno rilasciare uno straccio di ricevuta, a me indispone sempre più.
E poi perché non risponde a quel maledetto telefono? Ma si diverte forse a far risuonare nell'aria quegli squilli acuti, a far attendere la gente dall'altra parte della cornetta che magari sta in ansia, è malata, non vede l'ora di poter avere un appuntamento per potersi finalmente rilassare sapendo che il percorso di guarigione è proprio da lì, da quel semplice appuntamento, che  comincia?
È antipatica. C'è poco da fare. È, come dire, acida, indisponente, arcigna. E anche un po' stronza.
****                 ****                   **** 
Poi a un certo punto si alza.
Però... non è alta come mi sarei aspettata. Anzi, sembra curva, china, le spalle e le braccia, non più sostenute dal piano della scrivania, appaiono improvvisamente cadenti, come svuotate, come private della loro struttura interna.
Sbuffando si dirige verso la rampa di scale che porta al piano di sopra.
La osservo di schiena.
Il culo grosso che ondeggia di qua e di là, le cosce e i fianchi sproporzionati rispetto ai lineamenti aguzzi e taglienti del volto e alla parte superiore del corpo. E poi le gambe, quelle gambe. Gonfie, sformate, la pelle martoriata e segnata da grosse vene  varicose. Le caviglie ancor più gonfie che appaiono segnate e costrette dal bordo della scarpa. La gonna del tailleur è sgualcita, un po' logora nel punto in cui poggia sulla sedia, le scarpe dalla suola consumata solo nella parte esterna, segno di errata ripartizione del peso. Una macchia sul retro della giacca, che prima non si poteva vedere.
Sale a fatica le scale, un gradino dopo l'altro, un lieve affanno è già percepibile, come un sibilo sottile che si insinua nell'aria, le mani che si appoggiano al corrimano, a cercare di alleviare la fatica e sostenere un poco il corpo.
Si volta un attimo al rumore della porta che si spalanca e lascia entrare un nuovo paziente:
- Arrivo subito, mi attenda lì -
La voce è la stessa di prima, decisa, tagliente, dal timbro quasi asettico se non fosse per quella lievissima, sotterranea voce di dolcezza già prima percepita. Ma il volto. Quando si gira, il volto no. Il volto non è più quello di prima. Improvvisamente appare stanco, stravolto, di una stanchezza che non è, non può essere quantificabile, che non può dipendere dal semplice accumulo delle ore di lavoro. È una stanchezza pesante, una stanchezza che fa franare i lineamenti e sciogliere lo sguardo: il suo, ma anche il mio.
Ed è allora che dietro la maschera della segretaria efficiente intravedo la donna. La donna, forse madre, forse solo moglie, forse sola e basta, di mezza età, stanca di vita, che tutte le mattine si alza all'alba per attraversare la città e recarsi sul posto di lavoro, e poi la sera, dopo una giornata trascorsa a rispondere al telefono, prendere e segnare appuntamenti, aggiungere, cancellare, organizzare, ascoltare e rispondere alle richieste e informazioni dei clienti, eseguire mansioni di vario tipo per conto dei medici, salire le scale, quelle scale, con quelle gambe martoriate e doloranti di vene varicose, con quelle caviglie gonfie, a incassare cifre spropositate per conto dei medici, a sforzarsi di essere gentile ed educata controllando l'accento per far uscire un tono neutro, professionale, così come richiesto, e poi a controllare che tutto torni alla sera, e dopo, solo dopo, questa donna che si appresta a recarsi alla fermata dell'autobus che la riporterà a casa, dove altro lavoro domestico probabilmente l'attende e infine il letto, per una notte di sonno sempre troppo breve, fino all'indomani, dove tutto comincerà ancora da capo.
Ed è allora che ho provato un sentimento improvviso, tutto nuovo. Quasi, nuovo. È allora che al posto dell'antipatia fino a quel momento provata, è subentrato qualcos'altro: l'empatia, o forse solo un sentimento di semplice solidarietà femminile. Da donna a donna.
Dopo qualche minuto eccola che scende le scale, torna al suo posto.
Mi chiama:
- Signora R., tocca a lei, il Prof.C.  ora può riceverla.
- Grazie. Molto gentile. Davvero molto gentile. A dopo allora, quando passerò a pagare.

Stranamente mi sorride, sì, è un sorriso quello che accenna.
Un sorriso stanco, ma pur sempre un sorriso.
Ed è così che la sto ricordando in questo momento. Il ritratto di una donna come tante, che lavora, che attraversa mezza città per andare a guadagnare una paga che a malapena basterà per arrivare a fine mese (di contro alle cifre spropositate incassate dai medici, e senza fattura!), una donna che meriterebbe di sorridere più spesso, anzi, di più, di ridere, che meriterebbe di ridere dalla mattina alla sera, e invece - indossata la sua divisa, la sua maschera - ogni giorno si trasforma nella segretaria efficiente.
Giorno dopo giorno, fino a che il tempo non li cancellerà entrambi: il ritratto della segretaria  e quello della donna.

(Rita Ciatti)

27 commenti:

Maura ha detto...

Sai,durante la lettura iniziale al tuo racconto ero pronta a scrivere un acido commento alla fine,perchè riconoscevo tra le righe tanti attegiamenti conosciuti telefonicamente e di persona di addetti al filtraggio-richieste (definiamoli così) di noi nella necessità.
Dal fissare un appuntamento medico al richiedere lo stato di avanzamento di una pratica a quant'altro, ti potrei fare mille esempi di quante telefonate a vuoto o quante fila interminabili ho dovuto fare per raggiungere lo scopo prefisso!
Poi però sono arrivata alla fine del tuo racconto e mi sono ammorbidita anch'io perchè effettivamente dietro ad ogni persona c'è una storia ed il più delle volte l'astio e l'arroganza in cui ci si imbatte, a volte non è altro che lo scudo dietro il quale persone fragili e sole si barricano.
Certo non le giustificherà a pieno, ma nella vita di tutti i giorni, turbinosa e sfrenata, siamo sempre più in balia della fretta, del poco tempo, degli orari da rispettare e così perdiamo il senso delle cose, il valore della comunicazione, della gestualità.
Un sorriso non costa nulla, ma dà tanto a chi lo riceve:)

Rita ha detto...

Ciao Maura :-)
la maleducazione e la strafottenza, da parte di chi lavora in un ufficio pubblico (ma anche privato) non dovrebbe mai essere ammessa, tuttavia a volte negli uffici ci sono così tanti casini e così tante richieste che un minimo di nervosismo può essere comprensibile.

Diciamo che il mio raccontino voleva più che altro evidenziare il volto umano dietro la maschera dell'efficienza e del ruolo. :-)

E restituire quel piccolo slittamento di prospettiva che ha reso possibile vedere la segretaria da persona efficiente, rigida, arcigna che era, a persona stanca, sofferente, frustrata.

Grazie per il tuo commento. :-)

Maura ha detto...
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Maura ha detto...

si ma lo ripristino al volo!
dicevo che sono ancora sveglia nonostante manchi poco al nuovo giorno...
mi stò facendo qualcosa di caldo sperando di rasserenare i miei mille pensieri (preferirei fare piuttosto che pensare, ma prima di fare bisogna pensare)
insomma,vista l'ora ho corretto i refusi creati poco sopra..
un buon giorno a te, Biancaneve, al prossimo post!

Erika ha detto...

Io penso che se una persona ama davvero il proprio lavoro non sente le frustrazioni più di tanto ma anzi vede nel lavoro amato uno strumento per stare meglio. Io una volta lavoravo in un posto dove suonava sempre il telefono con richieste di persone che avevano vari problemi e vi posso dire che io, nonostante avessi i miei problemi, amavo da morire quel lavoro e amavo aiutare il prossimo, quando il telefono squillava ero felice di potere aiutare un'altra persona, non lo vedevo come un fastidio, anzi.

Masque ha detto...

Non è facile essere cordiali e disponibili nei lavori a contatto con la gente. Specialmente se ne sei constretto, pena lamentele da parte della gente, che riferiscono al boss, che le rigira su di te.
Oltretutto, dover essere continuamente interrotti da richieste e telefonate, ti riduce ad una macchinetta che funziona come a riflessi. Stimolo - reazione, stimolo - reazione. Aumentando lo stress e facendoti passare ogni voglia di metterci un po' di coinvolgimento in ciò che fai. In situazioni simili, arrivi a fine giornata che non ricordi nemmeno cosa sia successo durante il giorno. Ricordi spariti, tempo e quindi vita, buttati via.
Il brutto di questo è che chi incontra queste persone, le vede ostili e da a loro tutta la colpa del proprio comportamento. "Ma che carattere di merda che ha questa segretaria!" Quasi mai si pensa che un comportamento simile sia una reazione alle condizioni di lavoro.

Erika ha detto...

Masque non sono affatto d'accordo con te, questo mi sembra un comodo alibi, i problemi li abbiamo tutti ma se una persona ama il proprio lavoro è sempre ( o quasi sempre ) gentile. Discorso diverso se invece non ti piace il lavoro che fai.

Rita ha detto...

@ VeganaTrav

Sì, è vero che quando si ama il proprio lavoro e lo si svolge con passione, la stanchezza ed i problemi restano fuori e non diventano pretesto per essere scortesi e acidi.

Come ho risposto a Maura, a me interessava evidenziare la persona (felice o triste, realizzata o con mille problemi che sia) dietro la maschera del ruolo che stava ricoprendo in quel momento.
E, poi parlare dello slittamento di prospettiva offertomi dalla persona nel momento in cui, alzandosi, è apparsa goffa, curva, stanca, slittamento prospettico che ne ha evidenziato l'umanità.

E comunque, credimi, ci sono tante persone che non amano affatto il loro lavoro, lo svolgono con dovere perché gli è necessario per vivere, ma preferirebbero dedicarsi ad altro (magari altri tipi di lavoro, non dico l'andare a zonzo).

Io negli uffici scorgo spesso facce tristi, frustrate.
Il problema quindi, appunto, è amare il proprio lavoro o meno. E non sempre accade.

Un saluto, grazie del commento. :-)

Rita ha detto...

@ Masque

Sì, è il cosiddetto lavoro alienante (e non è che per lavoro alienante si debba pensare necessariamente alla catena di montaggio di una fabbrica, anche stare alla cassa di una banca può esserlo), quello in cui si svolgono mansioni quasi fine a se stesse (ossia, nel meccanismo produttivo hanno un senso, ma è difficile individuarlo nel momento esatto in cui le si svolge).

Io penso che tutto ciò sia accaduto nel momento in cui l'organizzazione del lavoro si è frantumata, si sono stabiliti ruoli e mansioni. Penso al lavoro artigianale invece, in cui effettivamente si realizza qualcosa, si partecipa di tutte le fasi, si capisce il senso complessivo di quello che si sta facendo così che anche le mansioni più noiose, fastidiose, faticose vengono superate e sopportate con gioia.

Purtroppo in Italia c'è l'enorme problema degli uffici pubblici, dove spesso vengono assunte più persone del necessario (con il risultato che non viene affidata loro una vera mansione, un vero ruolo) oppure troppo poche, così che una sola si trova a svolgere mansioni per due o tre persone e quindi per forza di cose si stressa.
Penso agli uffici postali dove vado di solito, tante casse, ma solo due o tre aperte, file assurde, clienti pure indisponenti (che spesso sono i clienti ad essere arroganti, cafoni, maleducati) e questi poveri impiegati che eseguono operazioni una dietro l'altra, che magari fanno straordinari non pagati.
In Italia dovrebbe essere rivista tutta la situazione del lavoro. Ma comunque, ripeto, nel raccontino non volevo parlare tanto di questo, quando proprio della persona nascosta oltre il ruolo. E poi anche del fatto che in questi studi ci sono medici che guadagnano, a nero, fior di soldoni e queste segretarie invece vengono pagate pochissimo (o almeno credo).

Un saluto. :-)

Masque ha detto...

Sì, infatti non è affatto scontato amare il proprio lavoro, e penso che non si dovrebbe nemmeno incolpare di questo la persona che non ama il proprio lavoro.
Spesso il lavoro che si svolge non è fatto per passione, ma per necessità. Oppure è un lavoro iniziato per passione, che poi è andata persa. Ma il lavoro, tocca tenerselo... Non è così semplice cambiare. C'è la paura di non riuscirne a trovare un altro, oppure di trovarne uno ancora peggiore. Questo significa che il lavoro non è più un diritto, ma viene considerato un privilegio. Ed in qaunto tale, il lavoratore si costringe ad accettare qualsiasi condizione pur di non perderlo... Anche continuare a fare un lavoro che non si ama.
Che colpa può avere una persona che si trova in una situazione simile? Certamente, se potesse scegliere di avere passione per il proprio lavoro e quindi poterlo svolgere più serenamente, lo farebbe. Ma evidentemente questa non è una cosa che dipende dalla volontà. E come si può esprimere un giudizio su qualcosa che non dipende dalla volontà?

Erika ha detto...

Ma una persona che fa un lavoro che non le piace è altamente pericolosa per la società, pensiamo ad esempio a uno psicologo che non ama il suo lavoro e che lo fa solo per i soldi, vi rendete conto dei danni che può fare? Ma la stessa cosa vale per un cuoco che non ama cucinare, per un medico che non ama aiutare il prossimo, per un parrucchiere che non ama tagliare i capelli, per un barista che odia fare il caffè.... ci vuole passione nella vita.

Rita ha detto...

Masque, hai detto una cosa importante:
oggi purtroppo il lavoro non è più un diritto, ma un privilegio; questo fa sì che la gente lavori anche gratis, o per pochissimo.
Ti racconto un breve episodio, molto significativo: ad un amico di mio padre, operaio con famiglia a carico, è stato chiesto di aumentare il numero di pezzi prodotti al giorno ed arrivare ad una cifra precisa (gli è stato proprio detto di quanti pezzi aumentare); tieni presente che lavora in una fabbrica di sanitari, dove il lavoro è molto duro e pesante perché i sanitari, lo capisci da solo, sono pezzi pesanti ed in ingombranti e maneggiarli è faticoso (tanto che in queste fabbriche lavorano di norma solo uomini, almeno in certi settori specifici). Lui ha risposto: "ma come faccio? Io più veloce di così non posso andare, il massimo che posso fare è aumentare di qualche pezzo, ma a quella cifra che mi avete chiesto è impossibile, impossibile umanamente, come faccio?"
Gli è stato risposto così: "come fai sono affari tuoi, e non mi interessano, a me servono quei pezzi in più, se non accetti ti licenzio e viene uno più giovane ed abile".
Risultato? L'amico di mio padre per non perdere il lavoro si alza un'ora prima e attacca a lavorare un'ora prima, alle quattro del mattino anziché alle cinque, così da raggiungere il numero di pezzi previsto; ovviamente ora lavorativa non retribuita perché è una sua scelta! Per non perdere il lavoro ha dovuto fare così.

Ora, mi domando, può una persona così essere soddisfatta, felice e contenta del proprio lavoro?
Ecco, dici bene, non si può, non si dovrebbe mai, mai giudicare nessuno.

Rita ha detto...

@ VeganaTrav

Hai ragione. Ma non sempre si può scegliere. Leggi il commento che ho scritto sopra a questo, in cui racconto di un amico di mio padre operaio.

A volte si è costretti a fare un lavoro che non piace, anche se solo per brevi periodi.

E sai quanti medici ho conosciuto senza alcun rispetto per i pazienti, senza nessun sentimento di umanità e comprensione. Purtroppo ci sono eccome persone che scelgono un lavoro, una professione solo per guadagnare bene, e infatti poi si vede i danni che fanno.

Martigot ha detto...

Negli ultimi mesi ho avuto modo di ricredermi su due persone che avevo sempre trovato piuttosto insopportabili. Ultimamente, costretta a passarci qualche giorno insieme per motivi di lavoro, e acquisendo dunque una conoscenza più profonda della loro personalità, sono giunta alla conclusione che non sono poi così male come credevo. Non li amerò mai alla follia, ma tutto sommato sono stata contenta di scoprire anche il loro lato buono. Immagino che questo valga per la maggior parte delle persone. Alcune invece, insopportabili lo sono davvero.

Un bel post, mi piace il ribaltamento del punto di vista. Mi fa venire in mente uno dei libri a me più cari quando ero piccola, e che tengo ancora nella libreria, Sembra Questo Sembra Quello, dove in modo semplice ma efficace, con disegni e piccole frasi si spiega che spesso le cose e, infine, le persone, sono diverse da come appaiono a prima vista.
Questa segretaria mi ricorda anche uno dei tanti personaggi secondari che popolano le storie di Dylan Dog, dove spesso il lettore viene portato ad andare oltre le apparenze, e a riscoprire il prezioso sentimento dell'empatia.

Masque ha detto...

L'episodio dell'amico di tuo padre, mi ha ricordato pericolosamente il film "La classe operaia va in paradiso"... Che queste cose accadano anche ora, significa che per qualcuno, tutte le lotte dei lavoratori fatte quarant'anni fa, non valgono più nulla. Tanto più se le situazioni si ripresentano tali e quali...

Secondo me, fra tutti i casi, bisogna anche considerare quelli delle persone che iniziano un lavoro per passione, ma poi si accorgono che non è quello che si aspettavano, oppure che ci sono delle cose sgradevoli che non avevano immaginato.
Penso che un caso tipico sia quello dell'insegnante che inizia il lavoro per amore verso la propria materia, ma troppo tardi si accorge di non essere in grado di relazionarsi con gli studenti.

Rita ha detto...

@ Martigot

Ti ringrazio per il bel commento.

Ed è vero che le apparenze il più delle volte ingannano, in particolare difficilmente lasciano trapelare il vissuto di ognuno.
A me piace molto, specialmente quando mi trovo in ambienti affollati (sale d'attesa, metro, autobus ecc.), fantasticare sulla vita "segreta" (segreta nel senso di inconoscibile ed inaccessibile a me, almeno in quel momento) delle persone, cercare d'indovinare dove abitino, che tipo di vita conducano, se sono felici ecc..
Infatti spesso prendo spunto da alcuni volti per poi immaginare delle storie.
E poi mi è sempre venuto abbastanza naturale mettermi nei panni dell'altro, provare empatia (immagino sia anche per questo che poi sono diventata animalista, perché mi metto sempre anche nei loro panni ed immagino le loro sofferenze o gioie... più spesso sofferenze, purtroppo).

Rita ha detto...

@ Masque

Purtroppo io credo che la situazione lavorativa in Italia (ed in molto altre parti del mondo) stia tornando alle condizioni pre-lotte sindacali, agli anni '50-60, ma anche buona parte dei '70, quando i diritti non erano affatto scontati.
Te ne racconto un'altra: ad un giovane avvocato, mio conoscente, è stata fatta una proposta di lavoro da parte di un grosso studio legale: per meno di settecento (700!) euro al mese avrebbe dovuto stare in studio senza limiti di orario, fare udienze in tutta Italia, preparare convegni per gli avvocati più anziani di cui però solo loro avrebbero ottenuto meriti.
Tanti imprenditori, professionisti ecc. stanno sfruttando la situazione di crisi, sanno che la gente ha bisogno di denaro, di lavorare e allora si permettono di fare le richieste più assurde. Bisognerebbe denunciarli, ma la gente invece dice: "meglio quello di niente" e subisce.
Oggi i lavoratori stanno divenendo nuovamente ricattabili e questo non mi piace nemmeno un po'.

Sì, è verissimo, ci sono anche tanti casi di passione perduta, tipica di alcune professioni (come l'avvocato, ma anche il medico, l'insegnante) in cui si inizia pieni di ideali, di propositi, di entusiasmo e spirito di iniziativa e poi tutto diventa abitudine, noia, si capisce di avere a che fare con una burocrazia spesso schiacciante che impedisce il realizzarsi della parte buona del lavoro, delle ambizioni ecc.

Erika ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Volpina ha detto...

Anche io sono una segretaria, e spesso e volentieri, essendo anche una "cliente", mi ricordo di come vengo trattata dalle altre segretarie e mi imponevo un po' di essere educata con gli altri.
Alla fine però questa educazione e dolcezza che uso con i clienti è divenuta automatica, e mi sento meglio con me stessa a comportarmi così e loro mi sono "grati" perchè comunque vedono che c'è un sincero interesse nei loro confronti.

Però anche io delle volte sbotto con alcuni. E si, come ho letto in alcuni commenti, a volte ci si può sentire frustrati per non aver realizzato i propri sogni, sfogandosi con chi in realtà non ne può nulla. Perchè tendiamo a dare la colpa a chi noi crediamo ci abbia rubato i sogni. E in effetti, magari per questa segretaria, i clienti del dottore le hanno rubato la possibilità di diventare...che sò io, una cantante.

E' stato bello leggere questo post. Così hai rinnovato in me la voglia di essere ancora più gentile e cordiale e di rendere i clienti di FantasticoTitolare ancora più contenti di venire qui. :)

Rita ha detto...

@ Volpina

Sono contenta che il mio post sia servito a rafforzare i tuoi propositi di essere gentile. Io dico sempre che essere gentili non costa nulla, costa molta più fatica ad arrabbiarsi e rispondere male.
Poi certo, ci sono anche casi in cui effettivamente è il cliente a meritarsi una rispostaccia, mica è vero che ha sempre ragione!

Un sorriso non costa nulla. E pare anche che il solo semplice atto di atteggiare i muscoli in un sorriso induca l'organismo a sentirsi meglio.

marco dalissimo ha detto...

Un vero racconto breve , un vero racconto che ho divorato con la curiosità di arrivare al finale insieme a R ,la protagonista , che dopo una spietata cronaca sull'aspetto di una segretaria acida maleducata e "decadente ", ci porta verso un luogo dentro di noi che può svelarsi improvvisamente e renderci migliori di ogni " malfunzionamento" italico tipico dei nostri uffici : la comprensione per un altra donna , un sorriso appena accennato , che cambia il finale , propio quando eravamo riusciti ad odiarla così tanto ! Brava Rita, brava davvero, ricordi? Ti chiedevo se ti sentivi anche scrittrice (......) lo sei eccome, moderna e poetica e mai ( mai ) scontata , anche quando potremmo intuire di aver .....previsto. Ti abbraccio MARCO.

Rita ha detto...

@ Marco

Queste tue parole mi riempiono di gioia. Come sai a me piacerebbe moltissimo poter essere anche una scrittrice, anzi è il mio sogno e la mia aspirazione più segreta e mastodontica. Ma, come ti dissi, mi sento poco portata proprio nell'inventare storie.
Come ho detto anche l'altro giorno ad un'altra mia commentatrice che mi ha rivolto dei complimenti e che mi esortava a scrivere un romanzo, scrivere decentemente non significa poter essere automaticamente scrittori di romanzi.
Tu hai molta capacià visionaria, ad esempio, che a me forse manca.
Io sono brava a descrivere le cose che vedo, conosco, i miei pensieri, e quel che ne vien fuori sono sprazzi di vita, come questo della segretaria, ma per scrivere un romanzo serve una storia, un intreccio, qualcosa che regga, un'intelaiatura forte insomma.
Forse ho studiato troppa letteratura, nel senso di critica letteraria ecc. e non riesco a lasciarmi andare, a sbloccarmi, temo il mio stesso giudizio, che sarebbe severissimo.
Forse sono io che sono troppo esigente con me stessa.
Forse ho solo paura. Tutto quello che ho provato a cominciare, negli anni, l'ho sempre distrutto.

Grazie Marco per le tue parole comunque, mi riempiono di gioia ed incoraggiamento.
Un abbraccio a te.

marco dalissimo ha detto...

Credo che dobbiamo davvero rivederci.
Mi vedo davanti alla pagina bianca , dubbioso, pauroso, incerto,Severo con me stesso.
Stasera camminavo sui resti lucenti della neve e facevo voto agli dei, mi dicevo: sei il solito pigro indolente e piccolo sognatore, hai di nuovo paura , adesso che gli amici ti hanno dato il loro supporto, adesso che hai avuto i tuoi primi lettori , che cosa fai?? " Distruggi " le intenzioni del progetto , rimandi a domani l'ispirazione , aspetti .."Stanotte però scrivo " è stata la mia ennesima promessa ...paura certo, poi torno a casa e ti leggo nel dolcedomani...." Tutto quello che ho provato a cominciare , negli anni , l'ho sempre distrutto " e questo mi ha toccato dentro, perchè sono io. Ti vedo mentre cancelli senza il supporto dell'amore quel poco che hai scritto, mi vedo davanti allo schermo che torna bianco dopo il fruscio del cestino svuotato..E quelle parole ?...perse, quella storia che doveva essere svelata? L'esigenza Rita è un ottimo incipit !! Sono contento di averti conosciuto, sai volevo dirti....ne parliamo in pizzeria. Marco

Rita ha detto...

@ Marco
Anche io sono contenta di averti conosciuto e non appena il tempo si rimette ci vediamo senz'altro; l'altra sera sarebbe stato impossibile, di mezzi ne passavano pochi, con la macchina, senza catene, nemmeno a pensarci.

Sai una cosa? In me so pure cosa ha agito negli anni: l'insicurezza certo, la severità verso me stessa, l'essere troppo esigente, ma anche la paura di realizzarmi e così facendo di essere felice.
Oggi ho imparato ad autogestirmi meglio, ma la felicità mi fa sempre un po' paura. :-)
Ci sto lavorando comunque, su certi aspetti di me.
La vita è una continua crescita spirituale, evoluzione, un romanzo di formazione in progress continuo.
A presto, un forte abbraccio.

marco dalissimo ha detto...

Un fortissimo abbraccio anche a te....Stanotte poi ho scritto davvero.....Ti vorrei parlare di questo nuovo lavoro; e altro ancora....La felicità, si, sarebbe troppo, ma è interessante ......a presto dunque :-)

Giuseppe Pili ha detto...

Bello questo ritratto. Mi ha colpito molto.
Trovo che ci sia molto più Cristo nella tua empatia che nelle vecchie, logore e inascoltabili omelie dei sacerdoti cristiani.
Rassegnati: sei molto più spirituale di quanto vuoi darci a bere. :)

Rita ha detto...

Eh, ma infatti io non ho mai detto di non essere spirituale, anzi, tutt'altro. Non sono religiosa, che è diverso, ove per religione si intende il seguire una dottrina specifica, un corpus di leggi imposte dall'alto.
Mi piace coltivare invece l'idea di una spiritualità laica, libera da dogmi o da pretese di verità inconfutabili.
Guarda, diciamo che ho una mia fede, ossia la fede nel mistero dell'esistenza in quanto tale. Accetto l'idea della mia limitatezza intellettuale la quale non mi permette di accedere a determinate conoscenze. E del resto sappiamo così poco dell'universo. Non ne conosciamo che una parte, pensa solo alla questione della materia oscura e su quanto ci sarebbe da lambiccarsi il cervello.
E, in tutta sincerità, questo dell'ammissione di non poter sapere oltre ciò che la mia mente consente trovo che sia un pensiero da preferire alla supponenza di chi invece asserisce: "Dio è, Dio pensa, Dio ha detto, Dio ha vuole".
I cattolici dicono di essere umili, ma io già in questa pretesa di voler definire e parlare di Dio trovo che ci sia supponenza. ;-)

L'empatia per me è stato un sentimento innato, acquisito sin da piccola (non so se hai letto un mio precedente post, quello in cui racconto di quando sin da bambina mi commuovevo per un cartone animato, per un film, nel senso che mi era facilissimo immedesimarni negli altri, anche solo nella finzione), ma si può apprendere a tutte le età, per questo parlo spesso degli animali, dell'antispecismo, perché penso che possa essere utile far capire che l'altro - chiunque esso sia, uomo o animale non importa - siamo noi (che può suonare un po' retorico, come pensiero, ma io lo penso davvero).

Sono contenta che ti sia piaciuto il mio raccontino. :-)