domenica 20 novembre 2016

Maschio, bianco, etero di John Niven


Come sottotitolo avrebbero dovuto scriverci: ovvero, come prendere un cliché e trasformarlo comunque in un bel libro.

Antefatto: Qualche volta ammetto di comprare libri anche perché attirata dalla copertina, o dal titolo (gli editori lo sanno e mettono apposta copertine e titoli accattivanti; mi è successo con Non lasciarmi di Ishiguro, ad esempio. Chissà, forse dovrebbero indire un concorso per la migliore copertina o il miglior titolo). 
Ovviamente poi leggo la sinossi sulla quarta di copertina e se mi convince è fatta. 
Non so cosa mi abbia colpita di Maschio, bianco, etero, forse il titolo, che mi ha fatto venire in mente storie di dominio e colonialismo, oppure la foto di questo tipo dentro una vasca da bagno, ricoperto di schiuma e che sembra spassarsela un mondo. L'espressione di "chi se ne frega" e via dicendo. O forse la sinossi che ricordava vagamente qualcosa. Nemmeno tanto vagamente, a dire il vero. Sembra la storia di Hank Moody, il protagonista della serie tv Californication, ho pensato non appena l'ho letta. Magari è il romanzo da cui è tratta la sceneggiatura, ho detto tra me e me. Ma no, la serie è uscita molti anni prima, quindi boh, chissà, prendiamolo. 
Dunque, la prima parte è effettivamente una mezza truffa. La storia sembra copiata di sana pianta da Californication, così come i personaggi principali e una parte consistente della drammaturgia. Mi domando come mai nessuno gli abbia fatto causa. 
E mi è sembrato anche tronfio, pieno di sé, denso di citazioni per far vedere che l'autore ha letto un sacco di libri. Poi però nella seconda parte cambia qualcosa, o meglio, viene fuori il talento di John Niven. 
Il punto è che anche qui non dice nulla di originale, parla dei morti e della morte e cita Joyce e Saul Bellow e anche la fine è un omaggio a Joyce (la furbata di aver pensato a un protagonista irlandese, eh, manco a farlo apposta), ma riesce comunque a infonderci qualcosa di personale e nell'insieme è un bell'affresco sulla vita di un debosciato che pensa che tutto gli sia dovuto per il solo fatto che abbia talento, ma che poi, a un passo dall'abisso, ribalta la propria scala di valori. C'è un deus ex machina abbastanza improbabile, ma che funziona. 
Sembra che l'autore dica: sì, c'è poco di originale in questa storia, ma il talento non sta proprio nel dire le stesse cose di sempre riuscendo a renderle ancora una volta interessanti?
Mi viene in mente quella frase detta non so da chi: tra una copia fatta bene e un originale fatto male, meglio la prima. 
Insomma, se vi è piaciuta Californication potete buttarci un occhio. Se non l'avete vista, meglio ancora. 

7 commenti:

Giovanni ha detto...

Ti consiglio , smepre di questo autore, il libro A VOLTE RITORNO: Gesù ritorna sulla Terra, nel XXI secolo, e ...

https://it.wikipedia.org/wiki/A_volte_ritorno_(romanzo)

Rita ha detto...

Ciao Giovanni,
sì, infatti vorrei prenderlo, ho visto che è ritenuto il suo miglior libro.
Grazie del suggerimento. Intanto ho iniziato Corri, coniglio di Updike (citato dallo stesso Niven), dietro suggerimento di un altro amico.

Giovanni ha detto...

Pensi che Updike potrebbe essere una specie di 'maestro' per Niven?

Ti auguro buona lettura.
Penso, tra l'altro, che non rimarrai delusa dal libro su Gesù... anzi!

Rita ha detto...

Non credo. Più Saul Bellow. Lo cita comunque in una lista di autori che il protagonista considera fondamentale aver letto.
A proposito di Gesù, tu hai letto invece Il vangelo secondo Gesù di Saramago? Siamo su tutt'altro genere, ma te lo consiglio lo stesso.

Giovanni ha detto...

Gesù ha sicuramente fatto da ispirazione a molti libri. Questo di Saramago non l'ho letto, ti ringrazio per il consiglio.

Ho scoperto, per inciso, di aver letto anche questo MASCHIO BIANCO ecc... di Niven. Ne avevo appuntato alcune frasi, sul significato della vita, che mi avevano colpito allo stomaco...

alexali ha detto...

Questo romanzo è un po' una cazzatina; lascerei proprio stare Saul Bellow. Comunque è buona norma, almeno di cortesia, fare il nome di chi l'ha tradotto, nel caso Marco Rossari.

Rita ha detto...

Nelle mie recensioni o pensieri su un libro che pubblico qui sul blog non scrivo mai il nome del traduttore.
Non sarà una buona norma, ma è la mia norma.
Così come nelle recensioni dei film non scrivo tutta la lista di chi ci ha lavorato.
Solo titolo e autore.