lunedì 28 novembre 2016

Massacro animale, censura, rimozione e stupore della singolarità

Noi siamo testimoni viventi di quello
 che voi cercate disperatamente di dimenticare” 
(The Leftovers – 8° episodio – 1° stagione)

(Foto di Jo-Anne McArthur scattata durante un presidio di Toronto Pig Save)

Parlavamo di censura, nel post precedente. 
Dicevo, nei commenti, che siamo abituati ad attribuire al termine un significato ben preciso, quale quello di proibire la pubblicazione di un libro, film, cancellare una scena, vietare che un personaggio compaia in tv e via dicendo. 
In realtà ci sono tantissime altre forme di censura, anche se meno evidenti.
La disinformazione voluta è un chiaro esempio di censura. Prendiamo l'argomento del veganismo. Apparentemente sembra che se ne parli molto, il termine compare in articoli dedicati, in programmi televisivi, in convegni, alla radio ecc.. Quindi non si ha proprio l'impressione che sia oggetto di censura o che non gli si dia spazio o non ci sia dibattito intorno ad esso. 
Ma c'è.
C'è perché se ne parla solo riducendolo a una dieta e confondendo le persone introducendo altre questioni irrilevanti. Inoltre lo si spettacolarizza ricercando l'audience. Si invitano a parlare personaggi poco preparati, li si spinge a fare affermazioni equivoche o che possono dare adito a fraintendimenti - quasi sempre estrapolando frasi e parole da un discorso molto più ampio - e li si mette a confronto con altri personaggi che dicono sciocchezze. Così il livello della discussione si abbassa e non è possibile fare un discorso minimamente serio o interessante. 
Se qualcuno riesce a dire qualcosa, subito il conduttore passa la parola ad altri o manda la pubblicità. Oppure, a fronte di un video fatto bene, si fanno passare titoli in sovraimpressione volutamente ingannevoli o mirati a focalizzare l'attenzione su altro.
Tutto questo equivale a censurare in modo bieco e subdolo le informazioni corrette sul veganismo e sulla lotta per la liberazione animale. 
Degli animali non si parla proprio, o, se se ne parla, subito interviene il rafforzo positivo sugli allevamenti a terra o la battutina dell'ospite o conduttore mirata ad elogiare il buon sapore del San Daniele. 
Un altro modo con cui si censura il veganismo è mettendo in evidenza solo alcuni episodi da cui chiunque prenderebbe le distanze: quello del tipo che dice che sputerebbe dentro il panino degli onnivori, quell'altro di tizio che augura la morte a caio, quello ancora della tipa che dice che si può guarire dal cancro bevendo acqua e limone e che è vegana per convinzioni personali che nulla c'entrano con la questione animale.
In pratica il veganismo viene associato a questioni secondarie e del tutto irrilevanti che non hanno niente a che vedere con il discorso dello sfruttamento degli animali, la critica all'antropocentrismo e la messa in discussione dello specismo (per esempio avete mai sentito parlare di antispecismo in tv? Mai! Eppure il veganismo non è altro che la conseguenza dell'essere antispecisti e quindi per un corretta informazione dovrebbe essere fondamentale dire almeno che cos'è e cosa significhi). 
Il pubblico che legge o guarda il tal programma, così volutamente disinformato, penserà che il vegano sia un frikkettone tutto yoga, peace & love che ama gli animali, è complottista, rifiuta la medicina ufficiale e si faccia lavaggi dello stomaco con acqua e limone. Per dirne una. 
Si è creato così nell'immaginario collettivo lo stereotipo del vegano cui corrisponde una serie di attributi e comportamenti che ne mina la credibilità. 
La maniera migliore per non prendere in considerazione ciò che qualcuno sta dicendo è farlo passare per pazzo, ingenuo, esaltato o poco credibile.
In realtà il veganismo è solo la messa in pratica individuale del rifiuto di voler continuare a prender parte al sistema che sfrutta e massacra sistematicamente individui senzienti appartenenti ad altre specie, ossia una presa di distanza dalle leggi e meccanismi sociali che giustificano la violenza sull'altro da noi solo perché diverso. E per rifiutare questo massacro non serve amarli, ma basta riconoscere che siano esseri viventi (non difficile, direi) e che sia sbagliato arrecargli danni e dolore trattandoli invece come fossero oggetti inanimati o facendogli cose che se venissero fatte a un animale umano sarebbero ritenute orribili.
La questione è molto semplice. Se uccidere qualcuno per trarne profitto è una forma di violenza, allora questa violenza non necessaria va rifiutata; e non regolata o moderata.
Non si può pensare che sia ammissibile violentare con moderazione. Fa ridere una cosa del genere. 
Ecco, i media censurano questo tipo di informazione e così anziché parlare di chi sono gli animali, come sono costretti a vivere e come vengono massacrati, si preferisce scherzare sul tipo che beve acqua e limone e che accidentalmente è pure vegano. 
Questa è censura.

Un'altra forma di censura riguardo la questione animale (di cui, non mi stancherò mai di ripeterlo, il veganismo è solo una conseguenza) è quella che tutti noi, inconsapevolmente, mettiamo in atto ogni minuto della nostra vita. Tutti noi, anche noi vegani e attivisti.
Noi tutti sappiamo cosa avviene dentro i mattatoi, lo sappiamo vagamente. Molti di noi hanno visto video tratti da investigazioni. Ma se davvero ci concentrassimo su questo, non vivremmo più. L'orrore finirebbe per paralizzarci e così non possiamo fare altro che dimenticarcene. 
Questo meccanismo l'ho sperimentato io stessa durante i presidi NOmattatoio al momento del passaggio dei camion che trasportano gli animali. Ora, sappiamo che vengono uccisi e fatti a pezzi circa 5.000 animali al secondo, in tutto il mondo (e solo per fini alimentari; dal conteggio sono esclusi i pesci, che nemmeno sono considerati individui, ma vengono calcolati a peso), eppure nessuno di noi ha veramente contezza di cosa significhi questo.
Invece avvicinarsi ai tir e vedere questi individui, uno ad uno, nella loro esclusiva e irriducibile singolarità, fa tutto un altro effetto. Cioè, lì veramente si capisce che sono esseri viventi, ognuno diverso dall'altro, non solo fisicamente, ma anche nel carattere. C'è chi ha lo sguardo vitreo dal terrore, chi si avvicina in cerca del conforto di una carezza, chi tenta disperatamente di scappare dal camion, scalcia e morde le sbarre con i denti, chi, rassegnato, giace a terra senza più nemmeno la forza di muoversi, chi fugge spaventato e via dicendo. La cosa più disturbante è vedere i loro occhi. Ti guardano. E capisci che lì dentro c'è tutto un mondo. Un mondo che noi stupriamo, cancelliamo al ritmo di 5000 esecuzioni al secondo. Poi, e anche di questa cosa si ha poca contezza, tu vedi questi individui con cui hai brevemente interagito e poco dopo li ri-vedi uscire fatti a pezzi (quindi ormai irriconoscibili e privati di ogni riferimento alla loro precedente identità), dentro confezioni di polistirolo, belli impacchettati e pronti per andare a riempire gli scaffali dei supermercati. E vi giuro che sembra una cosa surreale. Tu guardi e ti dici "non è possibile"; non è possibile che quell'essere dallo sguardo gentile che prima mi ha leccato la mano, ora sia un pezzo di carne che tra qualche ora verrà distrattamente acquistato e poi digerito. 
Cancelliamo mondi, cancelliamo vite, cancelliamo respiri. 
E lo facciamo perché non vediamo i corpi da cui provenivano. Corpi come i nostri, con sangue, tendini, ossa, cervello, muscoli. E animati da una vita interiore, anche se diversa dalle nostre. 

Tutto questo la tv non ve lo mostrerà mai. E voi continuerete a comprare pezzi di carne incellophanati senza sapere quello che state facendo, di quale massacro vi state rendendo complici. 

Il veganismo è solo la manifestazione sul piano individuale dell'assunzione di responsabilità che deriva dal riconoscimento di quanto sia ingiusto lo sfruttamento e il massacro di altre specie. È il tentativo di far fronte a questa dimenticanza, a questa rimozione di un orrore collettivo cui tutti abbiamo preso o prendiamo parte senza esserne pienamente consapevoli.
Pensavamo di esserlo, ma non lo eravamo nella misura in cui non ci siamo mai abbastanza a lungo soffermati su cosa significhi stare appeso a un gancio a testa in giù sommersi da sangue, escrementi e urla di terrore. 

Diventare antispecisti e vegani significa ritrovare lo stupore del riconoscimento dell'altro da noi. Della sua irripetibile singolarità. Questo è il vero motivo per cui si diventa vegani. Chi lo fa per motivi di salute non ha capito cosa ci sia veramente in gioco: il rispetto per l'altro, la lotta di giustizia sociale. Chi lo fa per salute lo fa per se stesso. L'altro nemmeno lo vede. Continua a restare nell'oblio, nella censura, nella rimozione. Che invece è ciò che l'antispecismo combatte e con cui deve fare i conti.
L'antispecismo soltanto porta alla sola forma di veganismo che davvero abbia un significato e che è quella della scoperta e riconoscimento dell'altro, del ritrovamento della memoria dell'orrore quotidiano. Se non c'è questa apertura, se non lo si fa per l'altro, allora tutto resterà com'è, nonostante i cappuccini e cornetti vegani reperibili ormai ovunque. 

6 commenti:

Giovanni ha detto...

Che post, Rita! Dalla censura, questione avvilente in sé, hai spiccato il volo, e sei ritornata a esclamare a gran voce cosa sia davvero l'essenza della vita vissuta in modo vegano.

Rita ha detto...

Grazie Giovanni!
Eh sì, i due argomenti mi sembrano correlati perché è la censura, tramite la disinformazione, che impedisce di fare chiarezza su cosa significhi essere vegano.

Ludovico ha detto...

Complimenti per questa davvero lucida analisi. È vero, verissimo, sull'antispecismo c'è una censura incredibile nella nostra società, a tutti i livelli e in tutte le forme. Ma dopotutto questo non dovrebbe sorprenderci, perchè la censura parte dal non voler vedere, non voler sapere, non voler pensare a quel che accade agli animali negli allevamenti, nei macelli, nei laboratori, ecc., addirittura anche quando gli animali sono davanti ai nostri occhi la loro sofferenza viene censurata, nel circo, allo zoo, nel negozio di animali, persino negli animali che teniamo in casa e rinchiudiamo in gabbia, nell'acquario o sotto vetro. Ma la censura parte ancora prima, dal negare agli animali qualsiasi riconoscimento come esseri senzienti, come individui dotati di una vita propria e che per questo è importante per loro stessi. Allora è ovvio che la critica a tutto ciò venga censurato. Uno dei molti segni che forse ci fanno capire che il destino degli animali rimarrà segnato fino a quando l'umano continuerà a dominare il pianeta, non ancora per molto pertanto.

Credo poi che dovremmo fare una distinzione partendo innanzitutto dalle parole. Quando si parla di veganismo inteso solo come dieta si dovrebbe parlare di vegetalismo, è questo il termine corretto che la nostra lingua ci mette fortunatamente a disposizione, a differenza della lingua inglese, e allora sarebbe saggio approfittarne:
http://www.treccani.it/vocabolario/vegetalismo/
Questa distinzione credo che sarebbe utile per cominciare a rendere le cose un po' più chiare e creare meno fraintendimenti quando si parla di veganismo.

Rita ha detto...

Ciao Ludovio, grazie!
Sì, è vero, dovremmo cominciare a distinguere tra vegetalismo, che riguarda solo la dieta, e veganismo inteso come filosofia e movimento per la liberazione animale.

Sulla censura, io sono d'accordo anche con quello che dice la Joy a proposito delle lenti oscurate e del carnismo, discorso che si può applicare a ogni ambito dello specismo. Per esempio ieri sera mio padre mi raccontava di un video "buffo" in cui si vede un orango chiuso dentro uno zoo che ride dopo aver assistito a un gioco di prestidigitazione. A lui ha colpito il fatto in sé, a me la gabbia, il triste contesto in cui si trovava. E niente, chi indossa le lenti dello specismo non vede la gabbia, la prigionia, la schiavitù degli altri animali.

Ludovico ha detto...

Che poi è collegato anche alla nostra innata e disgraziata tendenza ad antropomorfizzare gli altri viventi, crediamo ad esempio che un animale in uno zoo stia bene perchè dopotutto sta in un posto tranquillo, non deve preoccuparsi di trovare il cibo, che gli viene servito su un vassoio, ha tutto il tempo per oziare, insomma se la gode alla grande: chi non vorrebbe fare una vita così? (tra l'altro, nel caso specifico, in una scimmia il "riso" può essere anche un segnale di paura)

Rita ha detto...

Vero. In particolare degli altri animali si pensa che basta che abbiano un riparo e del cibo e stiano bene. Lo dicono anche i vivisettori, pensa un po'.