venerdì 1 luglio 2016

Di attivismo e dintorni


Giorni fa, mentre ero alla ricerca di alcune informazioni sulla vivisezione, mi sono imbattuta in alcuni video degli anni passati delle grandi manifestazioni che sono state organizzate in Italia. 
Mi riferisco in particolare a quelle contro la vivisezione e per la chiusura di Green Hill.
A quella di Roma del settembre 2010 parteciparono circa 10.000 persone. Numeri alti. Come non se ne sono visti mai più.
Mi sono chiesta spesso il perché, nonostante in Italia il numero di vegani sia aumentato in maniera esponenziale negli ultimi cinque anni, quello degli attivisti non solo si mantenga nella norma, ma sia addirittura calato. 

Ci sono varie considerazioni da fare, dopodiché, a fronte di un generico pessimismo e scoraggiamento, vorrei anche menzionare un fatto assolutamente positivo. 

- La battaglia per la liberazione animale è, tra tutte, la più ardua e quella che dà meno risultati a breve termine. Ciò è fonte di frustrazione e progressivo disinteresse. La vita dell’attivista medio sembra essere, statisticamente parlando, di tre/cinque anni. Dopo una fase iniziale di entusiasmo in cui si ha la sensazione di poter cambiare le cose in breve termine - quando ci si illude del fatto che se abbiamo capito una cosa noi, allora la capiranno anche tutti gli altri solo dicendogliela – segue una fase di scoraggiamento e disillusione, stanchezza -  non di rado si arriva a un vero e proprio “burn out” (detto in parole semplici: esaurimento) – calo di partecipazione e quindi abbandono. L’ho visto accadere con i miei occhi. Molti degli attivisti con cui ho iniziato, oggi non vengono più nemmeno a un presidio. Mancanza di tempo, lavoro, impegni familiari e altro. Sì, ma la vita è così per tutti ed era così anche prima. Prima però il tempo si trovava, poi improvvisamente non più.
Si verifica così un costante ricambio generazionale: i vecchi attivisti cedono il passo ai più giovani, i quali, se dalla loro hanno entusiasmo ed energie da vendere, purtroppo mancano però di esperienza e devono cominciare da zero nel capire cosa funziona, cosa no, quali modalità preferire e quali scartare e via dicendo. Ho visto attivisti giovani urlare slogan vecchi e ritriti, convinti di fare chissà quale cosa originale. Li ho visti impegnati in strategie che si sapeva essere fallimentari. In poche parole, a ogni nuovo ricambio, si ricomincia da capo con gli stessi errori. Ecco perché non si va avanti. 

- Le manifestazioni contro Green Hill e contro la vivisezione riscuotevano successo di partecipazione perché si lottava contro un nemico preciso e ben identificabile: c’era un obiettivo definito e c’era un referente cui rivolgersi. Inoltre si trattava di cani (difatti l’occupazione di farmacologia, che ha riguardato la liberazione di topi e conigli, non ha avuto lo stesso sostegno pubblico) e non si chiedeva alle persone di mettere in discussione le loro scelte e abitudini di vita. Di fatto a questi cortei c’era una partecipazione trasversale: canari, gattari, cittadini comuni, non soltanto quindi antispecisti o animalisti. In quel momento c’era un potenziale enorme che però non si è riusciti a convogliare in un salto di consapevolezza e politica. 
Cosa abbiamo capito però? Che individuare obiettivi e referenti ben precisi funziona e motiva di più che non lottare per un obiettivo troppo lontano e talmente vasto e capillare da risultare quasi astratto. Servono campagne e azioni mirate. Contro una singola azienda o contro una precisa forma di sfruttamento. 
Mi colpì molto cosa disse Chris DeRose durante una sua conferenza in Italia di qualche anno fa: bisogna individuare un obiettivo che deve essere come una stella contro cui puntare il nostro arco. Cosa si fa quando si mira un obiettivo? Si prende la mira, si dà la giusta direzione e poi si lancia. Senza esitazione, a testa bassa, fino a che l’obiettivo non è raggiunto. 
Invece noi lanciamo frecce a caso nel buio della notte. Brancoliamo come ciechi senza una guida.
Già, il problema della guida.

- Le masse scendono in piazza solo se chiamate a raccolta da qualcuno che organizza e le sappia motivare. Se penso ai movimenti per i diritti dei lavoratori che ci son stati negli anni settanta, ho ben presente l’impegno dei sindacati che organizzavano e decidevano scioperi e avevano spazio di manovra per fare richieste di un certo tipo. I lavoratori avevano comunque le spalle coperte perché non c’era nessuno che potesse licenziarli, pena altri scioperi e manifestazioni di massa fino all’ottenimento del risultato. 
Nel movimento di liberazione animale, come si suol dire, son tutti buoni col culo degli altri. Si parla di disobbedienza civile, ma nessuno è disposto a rischiare lavoro, denunce o rotture di scatole varie sotto il profilo giudiziario. Chi fa teoria si limita a quella, chi fa attivismo idem, ma manca un collante ben specifico, tra i due, che è la STRATEGIA. 

- Uno dei grandi mostri da abbattere è: l’illusione di fare attivismo tramite FB, ovverosia, l’attivismo virtuale. 
Sui social si comunica, si condividono post, articoli, idee, ma nemmeno il pensiero più brillante e geniale del mondo potrà sostituirsi alla vera azione. Inoltre, come già ripetuto altre migliaia di volte (ma: quod abundat non vitiat), le notizie che condividiamo rimangono circoscritte alla nostra cerchia di amici con interessi comuni. FB è composto da tanti piccoli microcosmi totalmente scollegati tra loro. Da ognuno di questi si ha l’impressione di star comunicando al mondo intero, ma non è così perché la cerchia di persone che possiamo raggiungere è molto limitata. I nostri post sono autoreferenziali, anche questo articolo che sto condividendo io con voi lo è, ma in questo caso va bene perché è rivolto infatti proprio a voi. 
Bisogna tornare sulle strade, riempire le piazze, partecipare di più ad eventi reali e non virtuali. 
I nostri corpi sono testimonianze preziose. Noi siamo portatori di storie, di un vissuto, di un messaggio e tutto questo deve uscire allo scoperto per contaminare la realtà. E più saremo, più gli altri ci guarderanno con curiosità. E se è vero che la maggioranza ha sempre ragione, noi otteremo ragione quando saremo maggioranza. O anche come minoranza, a patto che si sappia dimostrare che stiamo dicendo qualcosa che valga la pena di essere ascoltato e seguito da tutti (e di certo non ci riusciremo dicendo che con acqua, bicarbonato e limone si guariscono i tumori o che i vegani vivono di più).
I nostri corpi sono preziosi perché non possono essere zittiti (a meno che non si finisca sotto una dittatura violenta). Se i media possono controllare le informazioni e decidere se dare risalto o no a una notizia, una massa enorme di persone che scende in strada non potrà certo passare inosservata, alla lunga.
I corpi sono strumenti, sono mezzi. Mezzi di lotta nonviolenta. E allora usiamoli!

- Non possiamo fare richieste politiche e sociali di un certo tipo finché saremo in quattro. Dobbiamo diventare massa trascinante e per far questo dobbiamo aumentare il numero di attivisti disposti a impegnarsi concretamente. 
Come e dove “reclutarli”? Tra chi ci è teoricamente più vicino. Tra chi i gruppi di critica sociale già esistenti, tra chi è già contro il capitalismo (quindi contro la mercificazione e sfruttamento dei corpi) o chi è ecologista, ad esempio. 
Dobbiamo trovare il modo di far capire a questi gruppi che se davvero ci tengono all’ecosistema e a fermare il disastro ecologico in corso o se davvero credono che mercificare i corpi (schiavizzarli, sfruttarli, dominarli) sia sempre violento e crudele, non possono non aderire alla lotta per la liberazione animale. Non possono non diventare antispecisti. Non ha senso definirsi ecologisti e poi sostenere gli allevamenti. Non ha senso definirsi anticapitalisti e poi mercificare i corpi altrui.
Tra i canari e gattari, ovverosia tutti quei volontari che si impegnano per curare, far adottare, salvare i cani e gatti. Fargli capire che tra un maiale e un cane ci sono sì differenze etologiche, ma che una e identica è la volontà di vivere e il rispetto che si deve loro.
Che una cosa sia ben chiara, però! Dobbiamo stare attentissimi a non svendere o indebolire la lotta per la liberazione animale, che comunque mantiene (per ovvi motivi) una sua specificità. Il rischio di procedere a suon di slogan “liberazione totale!”  è quello di far finire gli altri animali ancora una volta in secondo piano con la scusa che prima dobbiamo pensare a liberarci noi e poi in seguito si vedrà, se, forse, come e quando.
Noi dobbiamo essere chiari e motivati nelle nostre richieste e argomentazioni.
Non dobbiamo parlare di riduzionismo con la speranza di acquistare più consenso, ad esempio. Di un consenso che però ritarderà la comprensione di cosa significhi rispettare un corpo o che addirittura potrebbe indebolire il nostro movimento stesso (dall’esterno potrebbero infatti dire: alcuni sono troppo estremisti, va bene ridurre, ma diventare addirittura vegani mi pare esagerato!), non saprei che farmene.
Ricordate Chris DeRose? Non bisogna perdere la rotta o perdere di vista la stellina che brilla nella notte. Non possiamo lanciare la freccia e poi ritirare la manina. 

Insomma, al momento in Italia non stiamo messi bene. Ma c’è un dato incoraggiante.
Nel mondo sta crescendo e sta acquisendo sempre più consapevolezza politica un movimento che si chiama “The Save Movement”. Si tratta di gruppi e movimenti che vanno davanti ai mattatoi, riprendono i tir con dentro gli animali per documentarne le condizioni, li seguono, danno visibilità a questi luoghi oscuri e nascosti. Sono corpi di persone che scendono in strada a testimoniare con la loro presenza l’immane violenza perpetrata su altri corpi. Ed è a questo movimento, per certi versi inedito e dal potenziale dirompente, che ci siamo ispirati noi di NOmattatoio.
Questi gruppi stanno crescendo e si è creata una rete che interagisce e ha voglia di unirsi e collaborare; sono all'attivo in diversi paesi: Canada, Germania, Francia, Australia, Inghilterra e molti altri. E oltre ad andare nei pressi dei mattatoi poi fanno anche attività in luoghi strategici (piazze, supermercati ecc.). A prescindere dalle modalità e iniziative, che poi magari si differenziano minimamente da paese in paese, tutti questi gruppi, come anche Direct Action, hanno qualcosa in comune: l'andare in strada con i propri corpi, l'aver capito l'importanza fondamentale della testimonianza che è ciò che "il carnismo teme di più" (cit. Melanie Joy).

Si sono fatti diversi presidi e azioni in contemporanea. E se ne stanno organizzando altri (uno è previsto per il prossimo 28 agosto). Siamo corpi che comunicano in maniera trasversale e orizzontale attraverso i continenti per dare voce e visibilità a chi grida e muore nell’oscurità.
Non siamo soli. In ogni paese ci sono gruppi di attivisti che pensano strategie, si incontrano, parlano, intersecano idee e pensieri e li migliorano.
Volete restare esclusi da tutto ciò o volete partecipare?
E allora forza, è tornato il momento di scendere in strada. 
Partecipate, credete nei vostri corpi. Sono l’unico mezzo che abbiamo per salvarne tanti altri, tutti quelli degli animali che crepano nell’invisibilità totale.

4 commenti:

Giovanni ha detto...

Un bellissimo articolo, Rita! Posso dire: militante! Spieghi, e lanci appelli e incoraggiamenti allo stesso,tempo. È molto significativa l'immagine del,ricambio generazionale. Siamo come onde, che si infrangono, sempre nuove è sempre uguali, contro i bastioni. Bisognerebbe anche trovare il modo di conservare la memoria e l'esperienza passata, e anche trovare i modi di trattenere i "vecchi" attivisti, neutralizzando la depressione da sensazione di impotenza e marginalita

Rita ha detto...

Grazie Giovanni. Spero che ci scuota un po' tutti dal torpore.

Unknown ha detto...

Ciao Rita, leggo con piacere che sei anche tu di Roma... chissà se si potrà mai organizzare un'uscita?

Rita ha detto...

Ciao Francesca,
perché no? Volentieri.