mercoledì 27 luglio 2016

Un passo avanti e due indietro


Mi sto rendendo conto del perché il movimento per la liberazione animale faccia un passo avanti e due indietro: c'è ancora molta, molta confusione anche in moltissimi attivisti.
Ridurre il tutto al solo discorso della riduzione o eliminazione della sofferenza è sbagliato perché ciò significa che non si sta spostando di una virgola la percezione dello status ontologico degli altri animali che così continuano e continueranno comunque a essere considerati macchine produttrici o prodotti essi stessi. 
Gli animali non devono essere allevati (schiavizzati) perché sono individui che hanno tutto il diritto di non essere oppressi, dominati e uccisi e non perché, semplicemente e banalmente, non devono soffrire. 
Il principio del rispetto della libertà del singolo individuo è qualcosa di più del concetto così come viene attualmente inteso dalle norme giuridiche sullo sfruttamento animale (che lo intende solo come libertà dalla sete, dalla fame e nella soddisfazione di alcune esigenze fisiologiche primarie, ossia nel rispetto dei requisiti della mera sopravvivenza e non già piena esistenza).
L'unico discorso possibile da portare avanti per la liberazione animale è questo ed è per questo motivo che ogni "cambiamento" in un'ottica solo welfarista non può esser considerato un traguardo, bensì un passo indietro in quanto soddisfa unicamente il sistema che ha tutto l'interesse nel continuare impunemente a trarre profitto dagli animali. Finché nella mentalità comune non cambierà l'idea che essi siano macchine e quindi finché si avallerà qualsiasi iniziativa che non muti affatto la loro condizione esistenziale da res a individui, si rimarrà nell'ottica dell'ideologia carnista.
Dobbiamo portare avanti i principi libertari intesi come rispetto dei corpi animali, di tutti gli animali, non quelli della riduzione della sofferenza perché altrimenti si continuerà nel paradosso della macellazione etica, della carne felice e del "rispetto del benessere animale". 
Queste ultime (la carne felice ecc..) sono reazioni che ci si può aspettare dal sistema, ma che vengano sostenute e difese anche dalle associazioni animaliste è gravissimo. Peraltro ciò facendo si spacca il movimento in due con il risultato di far apparire all’esterno i singoli attivisti impegnati nella liberazione animale ancor più come estremisti ed esagerati. 
La gente, là fuori, non vede l’ora di poter dire che non c’è nulla di male nel mangiare le uova di galline allevate a terra perché anche le associazioni animaliste sostengono questa modalità di allevamento.
Peraltro gli allevamenti cosiddetti "estensivi" sottraggono ancora di più le già scarse precarie risorse del territorio contribuendo a inquinamento e sfruttamento del pianeta.
In ogni testo teorico e strategico che ho letto sulla liberazione animale si evidenzia quanto l'unico vero grosso ostacolo che possa sopraggiungere nel cammino della liberazione animale sia quello rappresentato proprio dalla cosiddetta carne felice, allevamento etico e "benessere animale"; ora, che questo sarebbe stato una carta giocata dal sistema ce lo dovevamo aspettare e difatti così è e facciamo una gran fatica ogni giorno per combattere le tante menzogne che vorrebbero le galline e mucche felici di continuare a "regalarci" i loro prodotti; purtuttavia, restando tutti uniti nello smentire questa enorme mistificazione possiamo anche sperare di superarlo; viceversa, se anche noi ci mettiamo ad avallarlo, allora veramente gli animali non hanno più speranza di uscire da quei lugubri capannoni entro cui sono relegati dalla nascita alla morte.

Questa riflessione segue e completa (per il momento!) il mio commento scritto ieri in risposta a questo articolo di Animal Equality, il quale, sfortunatamente, ha trovato sostegno anche in diversi (confusi!) animalisti o sedicenti tali; il commento, pubblicato sulla loro pagina FB e sulla mia pagina personale, è questo: 
Non concordo con questa presa di posizione decisamente welfarista di Animal Equality. 
Purtroppo l'abolizione delle gabbie non allevierà di un bel nulla la sofferenza di migliaia di galline che continueranno a essere comunque sfruttate e uccise quando la produzione di uova calerà, senza considerare il numero, altrettanto esorbitante, di pulcini maschi uccisi in maniere terrificanti.
Qui siamo al paradosso dell'allevamento felice e delle uova cruelty-free. Nell'articolo, oltretutto, non si fa minimamente accenno al fatto che si potrà parlare di un ragguardevole successo solo quando nessuno considererà più le galline al pari di macchine da sfruttare.
Mi spiace tanto leggere un articolo così sul sito ufficiale di un'associazione che ho sempre stimato e difeso e che solo qualche anno fa aveva portato in Italia attivisti come Chris DeRose o teorici come Melanie Joy, che ha raggiunto risultati importanti mostrando nei grandi media ufficiali il risultato di indagine investigative dentro i macelli e allevamenti e che continua a fare un ottimo lavoro portando nelle piazze un apparecchio che mostra l'orribile realtà di questi luoghi. Sì, probabilmente stare in gabbiette minuscole sarà sicuramente peggiore, questo non lo nego, ma peggiore rispetto a cosa? A stare comunque in ambienti sovraffollati, chiusi, perennemente esposti alla luce solare e a essere comunque sfruttate e uccise. In questo articolo ogni frase grida vendetta e anche la foto della gallina libera sul prato verde è mistificatoria. Poi ho notato che furbescamente, a voler fare l'analisi del testo sul piano semantico, ricorrete spesso al termine "abolizione", così da suggerire l'idea, nel lettore frettoloso, che si stia comunque parlando di abolizione. Mentre se ne parla solo relativamente alle gabbie.
Inoltre, ma non avevate fatto proprio voi un'investigazione che mostrava quanto le galline ovaiole negli allevamenti cosiddetti "bio" fossero comunque schiavizzate e provassero enormi sofferenze? Come potete scrivere che questo fatto allevierà la loro sofferenza? E vi rendete conto di quanti saranno coloro che non vedranno l'ora di poter impunemente continuare a comprare uova di galline allevate a terra sentendo di essere a posto con la coscienza perché, se lo dice anche un'associazione animalista come AE allora va bene? Io capisco la strategia dei piccoli passi, ma condotta comunque nell'ambito di una politica abolizionista e non solo riduzionista della sofferenza come state dichiarando adesso, ma di certo non capisco l'inganno a livello comunicativo quando esultate per questo che non è affatto un traguardo e dite che finalmente le galline non soffriranno più. Da vostra ammiratrice (ho partecipato con gioia a tante vostre manifestazioni) mi sento veramente tradita e delusa. Siete un'associazione molto seguita e come tale avete una responsabilità molto grande. State comunicando che mangiare uova di galline allevate a terra sia un bel traguardo. E, come volevasi dimostrare, leggo i primi commenti entusiasti: "Da tempo non compro le uova di galline allevate in gabbia. Se questa abitudine civile si diffondesse, i consumatori contribuirebbero a far calare le vendite di uova da galline allevate in gabbia e a far aumentare i consumi di quelle allevate a terra". Che bello, aumenteranno i consumi di uova di galline allevate a terra!"

domenica 24 luglio 2016

Biopotere


Il ciclo vitale degli altri animali cosiddetti da "reddito" è controllato dall'inizio alla fine, anzi, sin dalla procreazione. Si progetta quando farli venire al mondo e quale la loro destinazione d'uso.
Sui loro corpi il dominio è pressoché totale. Un biopotere assoluto.

Empatia Versus Desensibilizzazione


Purtroppo una volta che un individuo è stato desensibilizzato e ha perso la naturale predisposizione all'empatia, è molto difficile riuscire a fargli comprendere che quanto facciamo agli altri animali è ingiusto (anche se spesso la desensibilizzazione è selettiva: ad esempio un vivisettore riesce a torturare senza rimorso gli animali che si trova sul tavolo del laboratorio, però proverebbe dolore se qualcuno facesse del male al suo cane o gatto o riterrebbe ingiusto il maltrattamento come l'abbandono e il prendere a calci un animale senza motivo); però, nella maggioranza dei casi, secondo me, la questione è culturale: ossia, non si tratta di non avere empatia, ma di avere la profonda convinzione che gli altri animali non soffrano e non siano capaci di sentire ed esperire il reale come noi. Se ci si convince di questo, ossia che essi non siano consapevoli della loro schiavitù e morte e che non patiscano l'esser sfruttati, ecco allora che tutto diventa lecito, anche se non si può proprio dire che in molte persone manchi l'empatia. Posseggono cioè un'empatia selettiva, solo nei confronti dei propri simili o di alcuni singoli individui, ma non altri.

Where are you?


Il veganismo è la manifestazione più evidente dell'antispecismo; ma anche, per certi aspetti, il suo vetro oscurante perché viene troppo spesso ridotto alla sola dieta, al solo piano alimentare.
Quando ci si trova con persone nuove, non appena scoprono che sei vegano, subito ti vogliono rassicurare dicendo "oh, ma io mangio pochissima carne", "carne rossa mai, solo bianca"; ed è qui che capisci che la vera questione è sfuggita. Rimasta indietro chissà dove. 
Serve tutta la pazienza del mondo per controbattere: "un momento, chi sta parlando di carne? Il veganismo riguarda gli animali, il loro sfruttamento, l'ingiustizia dell'oppressione di questi individui senzienti".

giovedì 21 luglio 2016

L'utilità di trovare i "prodotti vegani" nei supermercati

Oggi vi propongo un articolo di Marco Cioffi sull'aumento esponenziale di un mercato vegan e su come questo fenomeno non sia da giudicare negativamente, ma abbia, indubbiamente, dei lati positivi.



Trovare prodotti con ingredienti esclusivamente vegetali (per quanto riguarda il cibo), senza parti derivanti da animali (per il vestiario) e che non siano stati testati su animali (come per saponi e detersivi) è utile, non solo per i consumatori vegani. 
Avere una scelta di prodotti etici nei comuni supermercati influenza la percezione di normalità della “scelta critica” che si realizza per motivi etici. La sola esistenza sugli scaffali di questi prodotto facilita l’idea di prenderne in considerazione l’acquisto, rendendo questa scelta come normale e soprattutto possibile, alla portata di tutti. Ma chiarisco subito che l'acquisto, ovvero il consumo di prodotti veg è solo un mezzo, è una testimonianza evidente di una scelta che possiamo intraprendere ora e subito, uno strumento sociale, non è da considerarsi un fine ultimo.
Ad oggi, la percezione di questa scelta da parte del neofita è purtroppo di una rinuncia alla normalità, non a caso tra le prime domande poste in questi casi c'è: "E che cosa ti mangi?". Questa legittima preoccupazione (che come vedremo nasconde un'architettura complessa) contiene al suo interno la paura di un attacco a tutto un sistema di valori e al quotidiano agire individuale. È importante dunque mostrare una rassicurante risposta, convalidata da una sempre crescente e oltremodo visibile disponibilità a poter scegliere concretamente altri prodotti senza difficoltà, e senza privazioni. 
È altresì importante riflettere sulle "3N" che la psicologa Melanie Joy considera come i pilastri dell’ideologia carnista, ovvero che mangiare gli animali è considerato: Normale, Naturale e Necessario. L’esistenza di un’altra normalità, anche al supermercato, può sicuramente aiutare a supportare l’idea che ci si possa facilmente orientare e scegliere, tra le due normalità, quella che si considera più incline ai propri principi etici.
Desmond Morris, nei suoi studi sulla sociobiologia umana ha infatti verificato che “gran parte di quello che facciamo da adulti si basa sull'assorbimento imitativo che avviene durante l'infanzia. Spesso pensiamo di comportarci in un determinato modo perché questo comportamento si accorda con qualche codice di astratti e nobili principi morali, mentre in realtà non facciamo altro che obbedire ad una serie di impressioni puramente imitative, profondamente radicate e da lungo tempo dimenticate. La immutabile obbedienza a queste impressioni (insieme ai nostri impulsi istintivi accuratamente celati), rende molto difficile alla società cambiare le proprie usanze e le proprie "credenze". La comunità, anche quando viene messa di fronte a concetti nuovi brillanti e stimolanti, basati sull'applicazione di una intelligenza pura ed obiettiva, resta attaccata a pregiudizi ed abitudini familiari.”
Proprio perché è evidente, ormai quasi a tutti, che le abitudini alimentari derivano dalle nostre tradizioni culturali ed influenze ideologiche, che dobbiamo considerare "l'acquisto" anche in questo senso, ovvero come un'azione riguardante un oggetto avente un valore condiviso e contenente codici culturalmente acquisiti. Il cibo è inoltre un importante veicolo di emozioni, intrecciandosi con le nostre relazioni sociali, i nostri ricordi e legandosi fortemente con tutto l'immaginario ad essi collegato. Basterebbe soffermarsi anche solo sulle varie feste del calendario o sulle cerimonie religiose per comprendere che ruotano tutte attorno al cibo. La stessa idea di normalità gioca quindi un ruolo importantissimo nell’idea di cambiamento di prospettiva, rivestendo una serie di forti implicazioni sociali nelle nostre relazioni, per almeno 3 volte al giorno (colazione, pranzo e cena), in ogni singolo giorno della nostra vita, così come lo è stato nel nostro passato, già depositato nei nostri ricordi.
Lo scrittore Jonathan Safran Foer ha riflettuto sull'impatto che il comportamento ordinario di fare acquisiti può generare attorno a noi, infatti in un suo famosissimo libro si chiede proprio “che mondo creeremmo se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l'immaginazione morale e la volontà pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale? [...] Può sembrare ingenuo affermare che scegliere se ordinare un medaglione di pollo o un hamburger vegetariano è una decisione importante. D'altra parte, sarebbe di certo suonato incredibile se negli anni Cinquanta ti avessero detto che sederti in un posto o in un altro al ristorante o sull'autobus avrebbe potuto cominciare a sradicare il razzismo. Sarebbe suonato altrettanto incredibile se, all'inizio degli anni Settanta, prima delle campagne di Cèsar Chávez per i diritti dei braccianti agricoli, ti avessero detto che rifiutandoti di mangiare uva avresti potuto cominciare a liberare quei lavoratori da una condizione di semischiavitù. Potrà sembrare incredibile, ma se ci prendiamo il disturbo di soffermarci sulla cosa, è difficile negare che le nostre scelte quotidiane plasmino il mondo.”
Questa analisi vale ugualmente per la reperibilità dei prodotti come ad esempio: il caffè, il cacao e la cioccolata, prodotti distribuiti anche dal circuito del "commercio equo e solidale", dove varie cooperative lottano nei paesi del terzo mondo per contrastare lo sfruttamento umano, che spesso risulta essere vera e propria riduzione in schiavitù, con non pochi casi di lavoro minorile. L'accresciuta diffusione di tali prodotti equo e solidali nei normali supermercati, di fianco alle tradizionali marche (incriminate per le suddette condizioni) rende possibile e più facile la scelta etica (invece che doversi recare esclusivamente nelle botteghe equo e solidali), senza quindi dover ricorrere a rinunce.
Se non vogliamo rischiare che il diventare vegani diventi l'attitudine esclusiva dei soli attivisti che si impegnano concretamente nella causa antispecista, ma vogliamo che diventi la conseguenza di una presa di coscienza etica e politica su larga scala, alla portata di tutti gli individui, di ogni tipo e temperamento (caratteriale e sociale), dalle famiglie ai singoli, dagli studenti agli imprenditori, dai bambini agli anziani, nessuno escluso (anche quindi per i tanti, probabilmente la maggioranza degli individui non inclini all'attivismo, di qualsiasi forma), forse dovremmo accettare che la facilità di reperire “prodotti vegani” sia un bene (soprattutto per gli altri animali) per evitare che questa scelta rimanga circoscritta a pochi gruppi già fortemente e attivamente preparati sul consumo critico poiché hanno come obiettivo, tra gli altri, quello di contrastare il sistema di sfruttamento degli animali. La reperibilità è indubbiamente un vantaggio, un percorso facilitato per presentare l’attuazione di un diverso agire morale, sociale e politico. Se la scelta da compiere è semplificata dalla realtà in cui viviamo, allora si può auspicare che i diversi tentativi in quella direzione diventino più facilmente presentabili ed attuabili, ad esempio in un contesto familiare. Su questo punto è molto chiara la riflessione che fa il filosofo Guido Ceronetti quando dice che “meglio sia un’intera famiglia a nutrirsi vegetarianamente, e non un solo componente, perché così non c’è separazione a tavola, tutti unisce in un magico circolo l’ideale comune” e ribadisce ancora chiaramente che “il vegetarianismo familiare è un’ incrinatura sensibile dell’uniformità sociale, una piccola porta chiusa al male, in questa universale condanna a essere tutti uguali a servirlo.”
Tra l’altro, questa disponibilità di prodotti etici nei supermercati (che siano vegan, ma vale lo stesso discorso ad esempio per quelli "equo e solidali"), non è da considerarsi una "mercificazione della lotta", come in alcuni casi è stato affermato, ma sì una risposta del mercato, però ad una giusta domanda. Non si può certo subito proporre a una persona di rinunciare ai soliti acquisti, alle proprie abitudini: comportamenti che fanno parte di rituali acquisiti e che sono di fatto l’espressione di una cultura assorbita. È spesso utile proporre sostituti assimilabili a ciò che già si conosce, così la scelta avviene facilmente tra due prodotti simili, soltanto realizzati con ingredienti diversi, una sorta di sostituzione (ovviamente dove questo è possibile). Inoltre è poi quantomeno azzardato proporre da subito l'autoproduzione, come fonte esclusiva di prodotti, a un individuo estraneo a tutta una serie di prassi e implicazioni anticapitalistiche, vincolato, com'è prevedibile che sia, a ben solidi rituali sociali, e fortemente dipendente da comportamenti urbani stereotipati, ma gli si può certo suggerire e prospettare un percorso graduale di cambiamento, in modo realistico, soprattutto considerando le attitudini e possibilità del singolo soggetto o del gruppo familiare. In questa direzione si può sperare di promuovere il cambiamento verso la riduzione progressiva dei prodotti non etici fino alla completa sostituzione con prodotti etici. Certo, si può ipotizzare che questa direzione potrà al massimo ottenere la fine dello sfruttamento animale, e non smuoverà e non riuscirà ad interrompere la violenta macchina capitalistica, che nei suoi ingranaggi continuerebbe comunque a distruggere la natura e le sue risorse limitate; un discorso più globale, capace di tener conto di tutti gli aspetti distruttivi del capitalismo, andrebbe comunque affrontato, contestualmente o in separata sede, ma è importante tener conto, come viene dimostrato nel documentario Cowspiracy, che gli allevamenti (sia intensivi, che estensivi) e in generale la l’industria che sfrutta e uccide gli animali, sono proprio tra le principali cause di distruzione delle risorse, inquinamento, desertificazione, deforestazione ed estinzione di moltissime specie di flora e fauna. 
In un momento storico come questo - dove il numero degli animali uccisi al secondo va oltre i 5.400 individui al secondo, dove i responsabili di tale massacro sono semplici consumatori inconsapevoli, attori in preda a rituali tradizionali, individui scollegati dalla realtà dell'altrui sofferenza -, la diffusione in tv di immagini e video di investigazioni sulla realtà dello sfruttamento animale, diventa una speranza concreta per rendere comprensibili al grande pubblico tematiche importanti come quelle dello specismo e antropocentrismo: ideologie che generalmente vengono codificate e rafforzate in maniera subliminale proprio sui canali mediatici che hanno maggiore visibilità.
"Fare la spesa” certo non è fare attivismo, ma è sì una pratica ordinaria e necessaria che coinvolge tutti gli individui, anche quando questi non sono (o non si percepiscono) coinvolti in un atto consapevolmente politico capace di influenzare il mercato. Altro canto è invece un'azione di dichiarato boicottaggio, che trasporta un’anima spiccatamente rivoluzionaria in un gesto consapevole mirato a ottenere uno specifico risultato. È pur vero che, in ogni caso, ogni forma di consumo influenza e decide la direzione del mercato e le scelte aziendali; infatti noi, anche da semplici consumatori, indichiamo, con i nostri investimenti quotidiani (che costituiscono la domanda aggregata), cosa si deve vendere e cosa no, anche se a volte – per altri meccanismi - avviene il contrario. Questi numeri creano le curve che gli analisti finanziari studiano per modificare, creare e distribuire nuovi prodotti. In generale tutte le curve di domanda hanno pendenza negativa, questo significa che più il prezzo di un bene è alto, meno ne viene richiesto. Viceversa più un bene è a buon mercato, più ne viene venduto. La relazione tra quantità e prezzo è dunque inversa. Per questo è un buon segno l'aumento dei prodotti veg e la sua distribuzione su larga scala. Di fatti anche le S.p.a. dello sfruttamento, i grandi marchi che non si preoccupano certo dell'etica, stanno già investendo in tal senso solo per non perdere questa fetta di mercato; noi per loro possiamo solo auspicare che con il tempo siano costrette ad una totale conversione della produzione. Inoltre è chiaro che fare facilmente la spesa veg al supermercato, diventa il terreno per consolidare una nuova idea di normalità, poiché attraverso i consumi si modella anche la società nei suoi comportamenti, certo in un'ottica capitalistica tipica della società dei consumi, ma è questa attualmente la realtà in cui ci troviamo, nel bene e nel male, ed è per questo che dovremmo considerarla e manipolarla con giudizio. Anche perché qualsiasi rivoluzione sociale non potrà che avvenire per gradi e non certo dal giorno alla notte, quindi è importante fare oggi tutto ciò che è nelle nostre possibilità, anche se in vista di un risultato momentaneamente parziale, pena un immobilismo in attesa di chissà quale presunta azione definitiva che modifichi improvvisamente l’assetto sociale.
È inoltre davvero importante analizzare cosa il sociologo Emile Durkheim affermò sul concetto di normalità, che lui associava alla morale comune, e cioè che essa è la media dei comportamenti: ovvero, ciò che risulta normale è tale per un tipo sociale determinato, in un preciso momento e in un determinato luogo, consolidato dai fatti del passato. Inversamente, tutto ciò che mette in discussione l'ordine sociale e i valori dominanti della media della popolazione viene considerato patologico per quella società in quel momento, in relazione al grado di sviluppo raggiunto. Si deduce così che sia il normale sia il patologico sono infine effettivamente concetti relativi, connessi con il tempo e con l'evoluzione di una particolare società. Questo comporta dunque che i mutamenti sociali implicano un cambiamento dei valori dominanti, che di fatto influenzano, modellano e modificano le condizioni dell'esistenza collettiva.
Dobbiamo infine riconoscere anche l’esistenza di possibilità che nel mercato vanno oltre le nostre previsioni in merito, come analizzava l’antropologo Marvin Harris quando affermava che “il rapporto fra processi materiali e orientamenti morali sia costituito da probabilità e somiglianze, piuttosto che da certezze e identità, ritengo senz'altro sia che la storia è determinata, sia che gli esseri umani hanno la capacità di effettuare scelte morali e di agire liberamente. Insisto anzi sulla possibilità che si verifichino eventi storici improbabili, che comportano il rovesciamento imprevisto di normali rapporti di causa-effetto fra processi materiali e valori, e che pertanto siamo tutti responsabili del nostro contributo alla storia.
In conclusione, oltre la profezia di Harris, diventano altrettanto profetiche le parole di una grande donna, Jane Goodal la quale sostiene che: “dipende tutto da noi: siamo noi che possiamo fare la differenza. Se riusciamo a lasciare anche la più piccola impronta possibile, se compriamo ciò che per noi è etico lasciando indietro ciò che non lo è, possiamo cambiare il mondo in una notte.” 
In una notte certo questo risultato è improbabile, ma intanto dovremmo sfruttare bene il nostro tempo e non strizzare il naso se al supermercato guadagnano sempre più terreno le scelte vegane e/o cruelty free.

(Marco Cioffi)

Riferimenti bibliografici
Melanie Joy - Perché Amiamo i Cani, mangiamo i Maiali e indossiamo le Mucche?
Desmond Morris - La scimmia nuda. Studio zoologico sull'animale uomo
Jonathan Safran Foer - Se niente importa. Perché mangiamo animali?
Guido Ceronetti - La carta è stanca
Emile Durkheim - Le regole del metodo sociologico
Marvin Harris - Cannibali e re. Le origini delle culture
Jane Goodall - Cambiare il mondo in una notte

mercoledì 20 luglio 2016

E comunque sei estremista!


Ho notato che ogni qual volta si dà ai carnisti la spiegazione - dettagliata - del perché non mangiamo nemmeno uova e latticini, subito scatta l'accusa di estremismo.
Ma come, ti ho appena spiegato che i pulcini vengono tritati vivi, che le galline, anche quelle fantasticamente libere e felici (fantasticamente perché nella realtà non esistono, non se ancora considerate in quanto produttrici di cibo) cui vengono sottratte le uova giornalmente sono comunque sfruttate perché in natura non deporrebbero mai uova giornalmente e nemmeno settimanalmente, ma solo per un periodo limitato all'anno, così che questa forzata produzione sottrae loro calcio e altri preziosi minerali accorciandogli la vita e anche che le mucche non producono il latte per miracolo, ma solo dopo gravidanze forzate al cui termine il vitellino verrà separato dalla madre per poi essere macellato a pochi mesi e tu, dopo tutto questo (a parte lo sfruttamento dei singoli soggetti, inoltre, su cui non mi soffermo perché dovrebbe essere evidente), mi dici che sono estremista?
Ah, la bella abitudine di affibbiare parole a caso, di distorcere il significato dei termini adattandoli a quello che fa comodo dimostrare!
Il termine "estremismo" usato come se fosse una sorta di ombrello che mette al riparo da ogni nuova informazione aggiuntiva che potrebbe scardinare certezze acquisite da tempo. Una specie di "non ti vedo, non ti sento, non discuto. Però tu sei estremista!".
"Non so se quello che mi stai dicendo sia vero o no e comunque non mi prendo la briga di verificare, tanto sei estremista!".

martedì 19 luglio 2016

Cambiamenti sociali

Ne sento parlare, lo vedo con i miei occhi, ne parlano i giornali: sono sempre di più le macellerie al dettaglio che chiudono. Se prima, in quelle storiche c'era la fila, adesso ci passi davanti e le vedi che sono vuote. 

Quando cominciano dei cambiamenti sociali, le piccole attività son le prime a chiudere i battenti, poi seguono a ruota tutte le altre.
In economia è un meccanismo noto e assomiglia a quello delle pedine del domino che cadono una dietro l'altra.
Anticipo la risposta di chi mi dirà "migliaia di persone perderanno il lavoro": le società si evolvono e i cambiamenti socio-politici che trascinano con sé anche quelli economici (o viceversa, a volte i due fenomeni sono così strettamente collegati da non capire quale dei due sia causa e quale effetto) ci son sempre stati. È stato così per tante piccole attività artigianali o per tutte quelle che vendevano prodotti che sono stati poi soppiantati da tecnologie più recenti (penso ai negozi di dischi di vinile, ad esempio, o a quelli che affittavano videocassette, a quelli di macchine fotografiche a pellicola e via dicendo); in tutti questi casi sopravvive chi pian piano riconverte la propria attività. Magari chi oggi vende salumi, potrebbe mettersi a vendere prodotti veg o verdure.

In ogni caso, camminare per strada senza dover più correre il rischio di passare accanto a vetrine che espongono cadaveri sanguinolenti e budella, mi pare un gran bel passo avanti per una società che voglia dirsi (est)etica.


Cult movie


Sempre attuale. Un film che ha fatto la storia del cinema perché è riuscito a coniugare il prodotto di cassetta con una stratificazione di significati raggiungibili su più livelli (chiamasi polisemia).
Peraltro la coltivazione degli umani usati come batterie ricorda molto da vicino la "coltivazione" degli altri animali negli allevamenti intensivi (usati come cibo, vestiario, divertimento e altro). Del resto le sorelle Wachowski non sono estranee a riflessioni antispeciste, mi sembra, se non ricordo male, che una delle due (o addirittura tutte e due) sia vegana.

"Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d'affari, insegnanti, avvocati, falegnami... le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo"

"Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d'istinto sviluppano un naturale equilibrio con l'ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l'unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un'altra zona ricca. C'è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un'infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga."

sabato 16 luglio 2016

Luglio


(Flowing to the river - John Everett Millais) 

Mi chiedono in privato: che ne pensi di questi attentati? Non scrivi nulla, tu che sei sempre così puntuale?"

Mi vengono in mente solo dei versi. Quelli di Quasimodo. Asciutti e sintetici. Gli unici che si possano aggiungere al silenzio senza rischiare rovinarlo.

"Ognuno sta solo sul cuor della terra; trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera."

Mai come in questi giorni il mondo mi sembra solo orrore con qualche sprazzo di luce qua e là. La verità è che, tolto il conforto della fede in un'esistenza che non sia solo terrena, rimane ben poco. La vita non ha alcun senso se non quello che le attribuiamo noi. Poi è breve. A volte mi domando che senso abbia lottare per gli animali che crepano a migliaia e, in generale, lottare per difendersi dalla cattiveria, frustrazione, egoismo, stupidità, arroganza, ché tanto le cose non cambieranno mai e comunque io non sopravviverò abbastanza. 
Lo faccio perché mi piace mettere i bastoni tra le ruote a questo potere che pare inscalfibile. Mi sento come un granellino di sabbia che finisce in un ingranaggio. Mi illudo di poter inceppare qualcosa per un breve secondo e che in quel secondo magari il cielo si squarci, il mondo si fermi e poi riparta dopo essere stato resettato. 
Forse è vera la teoria dei multiuniversi per cui ad ogni nostra azione si apre un'altra possibilità che è come una biforcazione che crea un altro universo e in definitiva nessuno muore mai davvero. Però non ci credo davvero. Perché sono fatta così, non mi riesce di credere a nulla. Se anche vedessi accadere le cose più straordinarie del mondo troverei sempre una spiegazione razionale.
Poi torno a pensare a tutti quegli animali che crepano nei mattatoi e dentro gli allevamenti. E tutto torna al suo posto nell'ordine dei miei pensieri: il senso delle cose, del mio lottare, del mio esserci invano, ma non del tutto invano e comunque necessario e importante.

Sì, ma importante per chi? Per te, per gli animali o per cosa? Non è l'ennesima illusione anche questa? E potrei proseguire per ore così, nella speculazione fine a sé stessa che tanto non dà risposte ma aggiunge solo domande, una sequela infinita di domande.

A quel punto capisco che devo smettere di pensare e che forse la risposta la posso solo trovare nelle cose in sé, nel fare, nell'esserci di ogni singolo istante.

lunedì 11 luglio 2016

Chi finanzia la violenza ne è sempre complice


Poi ci sono cose che ti arrivano così, come un pugno allo stomaco capace di lasciarti senza respiro per lunghissimi secondi e dopo, quando riprendi fiato, ti lasciano svuotata, priva di energie, come se ti fosse passato sopra un tram.
Il video di una foca che vomita dal terrore davanti al suo assassino poco prima di essere barbaramente trucidata a bastonate, consapevole di quello che sta per accaderle perché lo ha già visto fare ai suoi fratelli, per esempio, è una di queste.
E lo stesso accade dentro ai mattatoi a ogni singolo individuo che ha visto ammazzare i suoi simili.
Vi volete mangiare la carne perché è buona e perché pensate che sia una vostra libera scelta e vi volete mettere la pelliccia perché è figa? Però poi non vi lamentate se ci riteniamo moralmente superiori perché, di fatto, lo siamo.
Chi sostiene la violenza, chi la finanzia con i suoi acquisti, ne è sempre complice.


Rivoluzioni

Sulla pagina FB di NOmattatoio, sotto a una delle tante terrificanti immagini dello sfruttamento animale, ci chiedono come intendiamo porre fine a questo scempio. Questa la mia risposta:
stiamo promuovendo un cambiamento sociale che non potrà che avvenire per gradi, non dal giorno alla notte. Bisogna prendere coscienza che gli allevamenti e i mattatoi sono pratiche violente di dominio su altri individui senzienti e che una società più giusta non potrà che volerli gradualmente eliminare. Intanto facciamo informazione per far capire alle persone che mangiare animali e sfruttarli non è un qualcosa di così normale e naturale come ci hanno inculcato alla nascita, poi, quando saremo una massa critica rilevante, potremo studiare strategie migliori e più significative come anche combattere la disinformazione mediatica basata sul profitto (cosa che in parte, seppur con pochi mezzi e solo attraverso i social, stiamo facendo). Nessuno ha una chiave sicura per il successo, l'antispecismo è un work in progress, un ideale di convivenza sociale non più basato sul dominio del pianeta e degli altri individui, ma come tutti i grossi cambiamenti al momento è difficile prevedere gli ostacoli da affrontare man mano. Inoltre, poiché lo specismo è diffuso in ogni ambito della cultura umana, ossia è in tutto ciò che la specie umana ha prodotto, sia di intellettuale, che di materiale, secondo me è più utile affrontarlo da una prospettiva ampia, olistica, cercando di aprire piccole brecce e allentando, metaforicamente, qualche bullone di quelli che tengono insieme le strutture del potere verticistico e trasversale. Inoltre, poiché il pregiudizio specista è radicato da migliaia di anni, alla cause originarie si sono nel frattempo aggiunte concause e quelli che erano solo effetti son diventati essi stessi cause, per questo sostengo che solo a partire da una visione e prospettiva ampia si può pensare di elaborare una serie di diverse strategie, tutte inutili se prese singolarmente, ma efficaci se fatte lavorare in sinergia. Tutto può sembrare inutile, ma invece tutto può avere una sua importanza strategica. Sinergia è la parola chiave. Poi ci sono tante cose che possiamo fare, ma valutando ogni volta i diversi contesti culturali. Un'azione che magari funziona in un dato momento storico in un dato paese, non è detto che funzioni altrettanto in un altro paese e momento.

Ma potrebbe anche essere diversamente. Potrebbe essere che quando arrivi il tempo di una rivoluzione, questa procederà indipendentemente dal nostro controllo. 
Che ci sia un qualcosa che ci trascende tutti e di cui non siamo che semplici epifenomeni.



domenica 10 luglio 2016

Una boccata di cancro ogni tanto


Non scrivo mai post salutistici perché per me il veganismo è sempre stato solo una scelta dettata da motivazioni etiche contro l'ingiustizia dello sfruttamento degli animali, però non smetterò mai di stupirmi di quanto l'ideologia radicata del carnismo possa arrivare a negare e distorcere completamente la realtà.
Ora, se persino l'Oms ha dichiarato che la carne è cancerogena, come si può affermare che "mangiarne poca ogni tanto" non sia comunque rischioso?
E perché tutte quelle mamme che si preoccupano di far mangiare ai loro figli "di tutto un po'" - nonostante l'avviso di cancerogenità - non applicano lo stesso concetto anche al consumo di alcool e sigarette?
Le sigarette sono cancerogene e l'alcool fa male per altri motivi. E nessuna madre direbbe: "ok, faccio fumare una sigaretta ogni tanto a mio figlio perché tanto la giusta dose con moderazione che male può fargli?".
Se un alimento è cancerogeno, punto, è cancerogeno, non si dà così tanto per testarne un po'.
Vero, non tutti i fumatori muoiono di cancro, purtuttavia il fumo è una dipendenza che si acquisisce da adulti e di certo nessuna mamma penserebbe di far fumare una sigaretta a suo figlio ogni tanto. Però ritiene sano dargli il salame o la bistecca al sangue, ogni tanto.
Tutto ciò dimostra quando l'abitudine del mangiar carne sia radicata e quanto non riusciamo a scrollarci di dosso l'idea che mangiare corpi di animali morti e frollati sia una cosa normale, naturale, necessaria.

Sguardi


Non ci stancheremo mai di indugiare sullo sguardo rassegnato e straziante di ogni animale dietro le sbarre; non per masochismo, né per autocompiacimento del dolore, ma semplicemente per chiedere a noi stessi lo sforzo di provare a descriverlo, quello sguardo, di modo che attraverso le nostre parole si consegni al mondo la testimonianza della sua unicità. 

Prima di osservarli così da vicino, nei santuari e purtroppo sui camion della morte, non avevo mai fatto caso agli splendidi occhi cerulei dei maiali. La narrazione collettiva, quella grande menzogna dettata dalla cultura antropocentrica, li dipinge come  brutti, sporchi, stupidi. Invece sono creature dolci e gentili, affettuose, socievoli e molto molto espressive. 
Di tutti gli animali che ho visto andare al macello, loro son quelli che mi colpiscono di più e mi straziano il cuore ogni volta. 

Individui. Non cibo. 

sabato 9 luglio 2016

Sbatti il mostro in prima pagina (The same old story e la retorica del bambino)


Abbiamo capito la strategia dei media per fare del veganismo - e dei vegani - un mostro da combattere: strumentalizzano i bambini - sui quali, si sa, non ci si scherza - creando notizie fuorvianti sul loro stato di salute e facendo capire che in qualche modo c'entri il veganismo. 
La retorica del bambino del resto è già stata ampiamente collaudata dai sostenitori della vivisezione; anche qui si fa leva sul sentimento di protezione e tenerezza suscitato dai bambini e sulla salvaguardia della loro salute ricorrendo a giochini semantici che definire intellettualmente scorretti è poco ("vuoi salvare il topo o il bambino?", ove, ovviamente, l'alternativa e la posta in gioco è del tutto differente).

In una settimana due ricoveri sono stati imputati al veganismo (qui e qui). In entrambi i casi, ad un approfondimento, è venuto fuori che il veganismo non c'entrava niente o che il bambino non era affatto vegano (qui e qui; ci sono poi altre fonti che sempre confermano che il veganismo non era la causa del ricovero, basta fare una ricerca in rete, qui, per comodità, ne ho riportate solo due). Falsa anche la notizia del bambino di Pisa che fu ricoverato a Firenze lo scorso anno (qui la smentita della madre, quando però ormai il danno era fatto e ancora oggi molte persone continuano a citare questo bambino convinte che la causa delle sue precarie condizioni di salute fosse il veganismo): non era vegano nemmeno lui. 
A tutto questo si aggiungono gli articoli di pessime riviste di gossip e attualità (F, numero del 15 giugno) in cui si lancia il caso "dieta vegana nei bambini: i pediatri lanciano l'allarme" che riprendono le notizie bufala dei quotidiani e ne fanno seguire una doppia interviste a pediatri dichiaratamente di parte (come l'onnipresente Calabrese, noto al grande pubblico per le sue partecipazioni a trasmissioni come Porta a Porta in cui ha rilasciato dichiarazioni a dir poco imbarazzanti "siamo fatti di carne e quindi dobbiamo mangiare carne"). 
Insomma, vero o falso che sia poco importa, i media italiani ormai badano solo a vendere (e si sa che con la spettacolarizzazione si vende di più!)* e ormai il titolone in prima pagina, sganciato come una bomba, ha fatto i suoi "morti e feriti": migliaia di persone convinte che i vegani siano dei pazzi estremisti simili ai fanatici di una setta che pur di rispettare il loro "credo" (ovviamente degli animali non si parla proprio), mettono a repentaglio la vita di bambini innocenti che non possono scegliere (come se i figli degli onnivori invece potessero!).

La tattica è la stessa che si usa per gli immigrati o i rom: prendi un immigrato o un rom che ha commesso un reato, sbattilo in prima pagina e crea il mostro sociale da combattere. In moltissimi casi poi queste notizie si sono rivelate false, inventate di sana pianta, ma cosa importa se poi tanto ormai nell'immaginario collettivo si è andata formando lentamente nel tempo questa idea - sostenuta solo da un pregiudizio atavico verso il diverso - che i rom e gli immigrati siano brutti e cattivi e ci rubino lavoro e bambini (notare come i bambini c'entrino sempre perché fanno leva sull'emotività, sono in pratica uno strumento retorico sempre efficace e ben collaudato)?

Ovviamente a queste notizie, poi rivelatesi false, non seguono smentite o rettifiche.
Questo giornalismo servo del potere, figlio di un conservatorismo bieco e ottuso e forse al soldo delle varie lobbies che guadagnano dallo sfruttamento degli animali, dedito solo alla spettacolarizzazione per vendere più copie o guadagnare più clic che portano soldi tramite i banner pubblicitari, mi fa schifo oltre misura.
Io penso che dovremmo farci sentire, scrivere alla redazione, scrivere all'ordine dei giornalisti, chiedendo a gran voce smentite (in prima pagina, esattamente come la notizia con informazioni errate).
E ovviamente, cosa più importante di tutte, non smettere mai, da parte nostra, di fare vera informazione, ossia documentare lo sfruttamento degli animali e diffondere l’etica antispecista.

P.S.: conosco diversi casi di bambini che nei primi anni di vita hanno avuto problemi di assorbimento dei nutrienti e per questo crescevano poco restando sotto peso, pur essendo onnivori. In tutti questi casi il problema non era l'alimentazione, ma una qualche disfunzione metabolica o nell'assorbimento del cibo, appunto. Però questi bambini, giustamente, non costituiscono un caso di cronaca. Invece se solo uno dei genitori è vegano (o anche solo vegetariano), ecco che subito si dà addosso al mostro e si sottolinea il fatto che fosse vegano!

Comunque, nei casi sbattuti in prima pagina in questi giorni, il veganismo non c'entrava proprio nulla. Non era proprio questione di alimentazione. Se un bambino vegano si rompe un piede, per dire, o ha una grave disfunzione cardiaca congenita, cosa c'entra l'alimentazione? Nulla. Però i giornali, per il solo fatto che è vegano, hanno scritto titoli fuorvianti per lasciar intendere (anche solo a chi legge frettolosamente o si ferma al titolo: e sappiamo bene quanto diffuso oggi sia l'analfabetismo cognitivo) che la causa della frattura sia il veganismo.

P.P.S.: l'alimentazione nei bambini è una cosa seria e va sempre seguita da specialisti (nutrizionisti e pediatri). Ormai sono sempre di più i medici che studiano, si preparano e dichiarano che anche i bambini possono seguire una dieta senza animali e derivati sin dallo svezzamento, a patto che siano controllati, così come devono essere controllati tutti i bambini perché tutti, a prescindere dalla dieta che seguono, possono avere problemi di assimilazione dei nutrienti o di assorbimento di particolari vitamine. E ovviamente la dieta deve essere varia e ricca. Un bambino nutrito solo a carne, morirebbe. Lo stesso dicasi per un bambino nutrito solo, che so, a fagiolini.
Questo si chiama buon senso. Ed è quello che assolutamente non deve mancare in ogni piano nutrizionale, specialmente in quello dei bambini.

In definitiva, quello che mi premeva rilevare (e scusate se sono ripetitiva, ma mai come in questo caso faccio valere il detto quod abundat non vitiat) è quanto sia vergognosa questa strumentalizzazione perché ci sono decine di bambini onnivori che vengono ricoverati ogni giorno anche proprio per motivi di malassorbimento dei nutrienti e però questi non costituiscono notizia di cronaca. Invece basta che un bambino vegano venga ricoverato - per qualsiasi motivo, che magari nulla c'entra con l'alimentazione - e subito si grida al mostro!

*L'elemento del vendere più copie c'è senz'altro, ma c'è altrettanto quella della difesa delle lobbies degli allevatori. Altrimenti come si spiega la campagna sul latte che sta passando in tv e per la quale sono stati investiti 120 milioni di euro e chiamati a partecipare volti noti della tv? Campagna menzognera in cui si dichiara(va) che il latte vaccino fosse un alimento necessario e contro la quale è intervenuta la Lav ottenendo la rimozione del termine "necessario" in quanto, semplicemente, falso.


giovedì 7 luglio 2016

Specismo e razzismo vanno sempre a braccetto


A uccidere Emmanuel è stato anche lo specismo, radice di tutti i mali. 
Perché è a partire dall'odio e denigrazione degli altri animali che poi si passa ad escludere chi, di volta in volta, si vuol tenere fuori dal cerchio degli eletti.
Usare il nome comune di un animale, in questo caso "scimmia", per offendere l'umano - ribadendo e confermando dunque la distinzione ontologica tra noi e gli altri animali - è quel meccanismo di esclusione e denigrazione dell'alterità che consente poi ogni forma di abuso e violenza.

mercoledì 6 luglio 2016

Corpi sì, ma quali?

Posso dire che secondo me non si fa un buon servizio alla causa ribattendo a suon di "guarda quanto sei obeso!" a chi tenta di screditare il veganismo?
Per due o tre motivi: uno, è sempre di pessimo gusto riferirsi all'aspetto estetico delle persone, in generale, ma, soprattutto, i motivi dell'obesità sono tanti e non tutti imputabili al mangiare male;
due, si decentrano le istanze etiche del veganismo mettendo in primo piano le ragioni salutistiche, riducendolo a una dieta, uno schema alimentare;
tre, offendete pure tutti quei vegani che non sono interessati ad avere un figurino da top model.
Trovo sciocco anche il fare la cosa opposta, ossia postare selfie o foto scattate da altri per ostentare la forma fisica con la scusa che si stia promuovendo il veganismo. Badate bene, non ci trovo nulla di male nella vanità e nel postare foto di sé stessi in cui si è venuti particolarmente bene, lo faccio anche io talvolta, ma perché infilarci a forza il veganismo? Sembra che da una parte abbiate voglia di mostrarvi (ripeto, nulla di male!), dall'altra che vogliate giustificarvi per averlo fatto. Così apparite insicuri e anche un po' ridicoli.
(Per inciso: dovremmo mostrare i corpi di quegli animali che diventando vegani abbiamo deciso di non voler più vedere nei nostri piatti, anziché i nostri).
Per avere un bel fisico si deve fare sport e dieta. Sì.
Il veganismo invece è la logica conseguenza dell'aver preso atto dell'orrore e della profonda ingiustizia dello sfruttamento degli animali.
Non confondete i due piani, please.

martedì 5 luglio 2016

È tutto un complotto!


Il complottismo è una maniera di rendere intelligibile la realtà, di spiegarla, semplificarla e razionalizzarla. Ma le cose sono sempre infinitamente più complesse e sfuggono a qualsiasi tentativo di controllarle e dirigerle sin nei minimi particolari. 
Eco ci ha scritto un bellissimo libro su questo, forse l'unico suo libro davvero meritevole di essere letto e che è Il pendolo di Foucault.
Ovvio che i media non ci forniscono quasi mai la versione ufficiale dei fatti quando nascondono grossi interessi finanziari o movimenti internazionali che decidono di svendere o occupare alcuni paesi sotto il profilo economico e militare, però questo non significa che necessariamente allora si debba mettere in discussione tutto il reale.
Sul terrorismo: si chiama così apposta perché il suo carattere imprevedibile e incontrollabile lo rende impossibile da controllare o anticipare. La religione c'entra perché comunque è attraverso la sua strumentalizzazione che vengono plasmate le giovani menti. Che poi ad armare i terroristi siano stati gli Americani o altri paesi che hanno interesse nel controllare le risorse energetiche e quindi di trovare il pretesto per intentare una guerra contro l'Islam o per mettere il mondo occidentale contro quello islamico, è un altro discorso e non nega comunque i fatti.
Purtroppo ci frega sempre il ragionare in termini binari: se una cosa non è così come ce la raccontano, allora dev'essere il suo esatto contrario. 
No, magari è qualcosa di completamente diverso: il risultato di variabili infinite, di cause ed effetti che agiscono da lungo tempo e che sono ormai difficili da isolare separatamente.
Dubito sempre di chi osserva la realtà da un'unica prospettiva. Così come dubito di chi analizza lo specismo - per tornare a un tema a me caro - da un unico punto di vista (per esempio unicamente quello del materialismo storico e dei rapporti di forza tra le classi sociali, senza considerare tutto il resto e come nei secolo hanno agito alcune dinamiche ben precise così da trasformarsi in altro e da diventare, da effetti, esse stesse cause.
La realtà è sempre infinitamente complessa, intrigata, sfumata e tutto ha tantissime cause lontane nel tempo che non possono essere ridotte a un'unica visione o interpretazione.
La realtà è irriducibile a qualsiasi tentativo di semplificazione.
Ma, soprattutto, se una cosa è falsa, non è che allora lo diventa pure tutto il resto.

venerdì 1 luglio 2016

Di attivismo e dintorni


Giorni fa, mentre ero alla ricerca di alcune informazioni sulla vivisezione, mi sono imbattuta in alcuni video degli anni passati delle grandi manifestazioni che sono state organizzate in Italia. 
Mi riferisco in particolare a quelle contro la vivisezione e per la chiusura di Green Hill.
A quella di Roma del settembre 2010 parteciparono circa 10.000 persone. Numeri alti. Come non se ne sono visti mai più.
Mi sono chiesta spesso il perché, nonostante in Italia il numero di vegani sia aumentato in maniera esponenziale negli ultimi cinque anni, quello degli attivisti non solo si mantenga nella norma, ma sia addirittura calato. 

Ci sono varie considerazioni da fare, dopodiché, a fronte di un generico pessimismo e scoraggiamento, vorrei anche menzionare un fatto assolutamente positivo. 

- La battaglia per la liberazione animale è, tra tutte, la più ardua e quella che dà meno risultati a breve termine. Ciò è fonte di frustrazione e progressivo disinteresse. La vita dell’attivista medio sembra essere, statisticamente parlando, di tre/cinque anni. Dopo una fase iniziale di entusiasmo in cui si ha la sensazione di poter cambiare le cose in breve termine - quando ci si illude del fatto che se abbiamo capito una cosa noi, allora la capiranno anche tutti gli altri solo dicendogliela – segue una fase di scoraggiamento e disillusione, stanchezza -  non di rado si arriva a un vero e proprio “burn out” (detto in parole semplici: esaurimento) – calo di partecipazione e quindi abbandono. L’ho visto accadere con i miei occhi. Molti degli attivisti con cui ho iniziato, oggi non vengono più nemmeno a un presidio. Mancanza di tempo, lavoro, impegni familiari e altro. Sì, ma la vita è così per tutti ed era così anche prima. Prima però il tempo si trovava, poi improvvisamente non più.
Si verifica così un costante ricambio generazionale: i vecchi attivisti cedono il passo ai più giovani, i quali, se dalla loro hanno entusiasmo ed energie da vendere, purtroppo mancano però di esperienza e devono cominciare da zero nel capire cosa funziona, cosa no, quali modalità preferire e quali scartare e via dicendo. Ho visto attivisti giovani urlare slogan vecchi e ritriti, convinti di fare chissà quale cosa originale. Li ho visti impegnati in strategie che si sapeva essere fallimentari. In poche parole, a ogni nuovo ricambio, si ricomincia da capo con gli stessi errori. Ecco perché non si va avanti. 

- Le manifestazioni contro Green Hill e contro la vivisezione riscuotevano successo di partecipazione perché si lottava contro un nemico preciso e ben identificabile: c’era un obiettivo definito e c’era un referente cui rivolgersi. Inoltre si trattava di cani (difatti l’occupazione di farmacologia, che ha riguardato la liberazione di topi e conigli, non ha avuto lo stesso sostegno pubblico) e non si chiedeva alle persone di mettere in discussione le loro scelte e abitudini di vita. Di fatto a questi cortei c’era una partecipazione trasversale: canari, gattari, cittadini comuni, non soltanto quindi antispecisti o animalisti. In quel momento c’era un potenziale enorme che però non si è riusciti a convogliare in un salto di consapevolezza e politica. 
Cosa abbiamo capito però? Che individuare obiettivi e referenti ben precisi funziona e motiva di più che non lottare per un obiettivo troppo lontano e talmente vasto e capillare da risultare quasi astratto. Servono campagne e azioni mirate. Contro una singola azienda o contro una precisa forma di sfruttamento. 
Mi colpì molto cosa disse Chris DeRose durante una sua conferenza in Italia di qualche anno fa: bisogna individuare un obiettivo che deve essere come una stella contro cui puntare il nostro arco. Cosa si fa quando si mira un obiettivo? Si prende la mira, si dà la giusta direzione e poi si lancia. Senza esitazione, a testa bassa, fino a che l’obiettivo non è raggiunto. 
Invece noi lanciamo frecce a caso nel buio della notte. Brancoliamo come ciechi senza una guida.
Già, il problema della guida.

- Le masse scendono in piazza solo se chiamate a raccolta da qualcuno che organizza e le sappia motivare. Se penso ai movimenti per i diritti dei lavoratori che ci son stati negli anni settanta, ho ben presente l’impegno dei sindacati che organizzavano e decidevano scioperi e avevano spazio di manovra per fare richieste di un certo tipo. I lavoratori avevano comunque le spalle coperte perché non c’era nessuno che potesse licenziarli, pena altri scioperi e manifestazioni di massa fino all’ottenimento del risultato. 
Nel movimento di liberazione animale, come si suol dire, son tutti buoni col culo degli altri. Si parla di disobbedienza civile, ma nessuno è disposto a rischiare lavoro, denunce o rotture di scatole varie sotto il profilo giudiziario. Chi fa teoria si limita a quella, chi fa attivismo idem, ma manca un collante ben specifico, tra i due, che è la STRATEGIA. 

- Uno dei grandi mostri da abbattere è: l’illusione di fare attivismo tramite FB, ovverosia, l’attivismo virtuale. 
Sui social si comunica, si condividono post, articoli, idee, ma nemmeno il pensiero più brillante e geniale del mondo potrà sostituirsi alla vera azione. Inoltre, come già ripetuto altre migliaia di volte (ma: quod abundat non vitiat), le notizie che condividiamo rimangono circoscritte alla nostra cerchia di amici con interessi comuni. FB è composto da tanti piccoli microcosmi totalmente scollegati tra loro. Da ognuno di questi si ha l’impressione di star comunicando al mondo intero, ma non è così perché la cerchia di persone che possiamo raggiungere è molto limitata. I nostri post sono autoreferenziali, anche questo articolo che sto condividendo io con voi lo è, ma in questo caso va bene perché è rivolto infatti proprio a voi. 
Bisogna tornare sulle strade, riempire le piazze, partecipare di più ad eventi reali e non virtuali. 
I nostri corpi sono testimonianze preziose. Noi siamo portatori di storie, di un vissuto, di un messaggio e tutto questo deve uscire allo scoperto per contaminare la realtà. E più saremo, più gli altri ci guarderanno con curiosità. E se è vero che la maggioranza ha sempre ragione, noi otteremo ragione quando saremo maggioranza. O anche come minoranza, a patto che si sappia dimostrare che stiamo dicendo qualcosa che valga la pena di essere ascoltato e seguito da tutti (e di certo non ci riusciremo dicendo che con acqua, bicarbonato e limone si guariscono i tumori o che i vegani vivono di più).
I nostri corpi sono preziosi perché non possono essere zittiti (a meno che non si finisca sotto una dittatura violenta). Se i media possono controllare le informazioni e decidere se dare risalto o no a una notizia, una massa enorme di persone che scende in strada non potrà certo passare inosservata, alla lunga.
I corpi sono strumenti, sono mezzi. Mezzi di lotta nonviolenta. E allora usiamoli!

- Non possiamo fare richieste politiche e sociali di un certo tipo finché saremo in quattro. Dobbiamo diventare massa trascinante e per far questo dobbiamo aumentare il numero di attivisti disposti a impegnarsi concretamente. 
Come e dove “reclutarli”? Tra chi ci è teoricamente più vicino. Tra chi i gruppi di critica sociale già esistenti, tra chi è già contro il capitalismo (quindi contro la mercificazione e sfruttamento dei corpi) o chi è ecologista, ad esempio. 
Dobbiamo trovare il modo di far capire a questi gruppi che se davvero ci tengono all’ecosistema e a fermare il disastro ecologico in corso o se davvero credono che mercificare i corpi (schiavizzarli, sfruttarli, dominarli) sia sempre violento e crudele, non possono non aderire alla lotta per la liberazione animale. Non possono non diventare antispecisti. Non ha senso definirsi ecologisti e poi sostenere gli allevamenti. Non ha senso definirsi anticapitalisti e poi mercificare i corpi altrui.
Tra i canari e gattari, ovverosia tutti quei volontari che si impegnano per curare, far adottare, salvare i cani e gatti. Fargli capire che tra un maiale e un cane ci sono sì differenze etologiche, ma che una e identica è la volontà di vivere e il rispetto che si deve loro.
Che una cosa sia ben chiara, però! Dobbiamo stare attentissimi a non svendere o indebolire la lotta per la liberazione animale, che comunque mantiene (per ovvi motivi) una sua specificità. Il rischio di procedere a suon di slogan “liberazione totale!”  è quello di far finire gli altri animali ancora una volta in secondo piano con la scusa che prima dobbiamo pensare a liberarci noi e poi in seguito si vedrà, se, forse, come e quando.
Noi dobbiamo essere chiari e motivati nelle nostre richieste e argomentazioni.
Non dobbiamo parlare di riduzionismo con la speranza di acquistare più consenso, ad esempio. Di un consenso che però ritarderà la comprensione di cosa significhi rispettare un corpo o che addirittura potrebbe indebolire il nostro movimento stesso (dall’esterno potrebbero infatti dire: alcuni sono troppo estremisti, va bene ridurre, ma diventare addirittura vegani mi pare esagerato!), non saprei che farmene.
Ricordate Chris DeRose? Non bisogna perdere la rotta o perdere di vista la stellina che brilla nella notte. Non possiamo lanciare la freccia e poi ritirare la manina. 

Insomma, al momento in Italia non stiamo messi bene. Ma c’è un dato incoraggiante.
Nel mondo sta crescendo e sta acquisendo sempre più consapevolezza politica un movimento che si chiama “The Save Movement”. Si tratta di gruppi e movimenti che vanno davanti ai mattatoi, riprendono i tir con dentro gli animali per documentarne le condizioni, li seguono, danno visibilità a questi luoghi oscuri e nascosti. Sono corpi di persone che scendono in strada a testimoniare con la loro presenza l’immane violenza perpetrata su altri corpi. Ed è a questo movimento, per certi versi inedito e dal potenziale dirompente, che ci siamo ispirati noi di NOmattatoio.
Questi gruppi stanno crescendo e si è creata una rete che interagisce e ha voglia di unirsi e collaborare; sono all'attivo in diversi paesi: Canada, Germania, Francia, Australia, Inghilterra e molti altri. E oltre ad andare nei pressi dei mattatoi poi fanno anche attività in luoghi strategici (piazze, supermercati ecc.). A prescindere dalle modalità e iniziative, che poi magari si differenziano minimamente da paese in paese, tutti questi gruppi, come anche Direct Action, hanno qualcosa in comune: l'andare in strada con i propri corpi, l'aver capito l'importanza fondamentale della testimonianza che è ciò che "il carnismo teme di più" (cit. Melanie Joy).

Si sono fatti diversi presidi e azioni in contemporanea. E se ne stanno organizzando altri (uno è previsto per il prossimo 28 agosto). Siamo corpi che comunicano in maniera trasversale e orizzontale attraverso i continenti per dare voce e visibilità a chi grida e muore nell’oscurità.
Non siamo soli. In ogni paese ci sono gruppi di attivisti che pensano strategie, si incontrano, parlano, intersecano idee e pensieri e li migliorano.
Volete restare esclusi da tutto ciò o volete partecipare?
E allora forza, è tornato il momento di scendere in strada. 
Partecipate, credete nei vostri corpi. Sono l’unico mezzo che abbiamo per salvarne tanti altri, tutti quelli degli animali che crepano nell’invisibilità totale.